Una Montagna di Parole, Non solo libri  |  settembre 23, 2021

Quelle faccine (emoticon) hanno radici lontane nel tempo

Si dice l'inventore sia l'ingegnere informatico statunitense Scott Fahlmann e la loro data di nascita il 1982. A ben vedere, però, c'è una tradizione antichissima legata alle maschere. Nell'antico Egitto era costume realizzare maschere funerarie, nell'antichità greco-romana furono associate al teatro e la tradizione delle maschere è continuata nella Commedia dell'Arte, tra il 1600-1700

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“Non c’è mai nulla di nuovo sotto il sole”, così recita l’Ecclesiaste.

In gran parte questa è una verità indiscutibile, specialmente se la rapportiamo alle architetture del pensiero umano.

Ma spesso è applicabile anche a vari aspetti della creatività artistica e tecnologica.

Prendiamo le faccine (emoticon), la cui origine è di solito associata alla rivoluzione digitale per tradurre in immagini facilmente comprensibili stati d’animo e umori da trasmettere attraverso app di messaggistica istantanea.

Si dice che il loro inventore sia un ingegnere informatico statunitense, Scott Fahlmann, e la loro data di nascita il 1982.

A ben vedere, però, c’è una tradizione antichissima legata alle maschere, cioè a quell’artificio artistico con cui si è inteso interpretare una condizione fisica, sociale o spirituale a fini rituali, religiosi, scenici ecc.

Già nell’antico Egitto era costume realizzare maschere funerarie che costituivano ritratti idealizzati dei defunti; le loro espressioni erano varie e interpretavano gli stati d’animo di coloro che si apprestavano a varcare il mondo dell’aldilà.

Nell’antichità greco-romana, poi, le maschere furono associate al teatro e avevano una varietà espressiva molto più ampia: nella Commedia esse riproducevano l’ilarità, l’arguzia, la burla ecc. mentre nella Tragedia la tristezza, l’odio, il dolore o l’angoscia… In ogni caso rappresentavano stati d’animo definiti nelle più svariate modulazioni.

Nella Commedia dell’Arte, tra il 1600-1700, è continuata la tradizione delle maschere che incarnavano tipi umani e sociali di quel tempo, legandosi anche a caratterizzazioni regionali; pensiamo ad Arlecchino, Brighella, Pantalone e via dicendo.

Anche in Oriente è stato comune l’uso delle maschere; come esempio si può ricordare il teatro NŌ giapponese, in cui esse cambiano espressione a seconda dell’inclinazione del volto dell’attore o in relazione al tipo di luce che le illumina.

Allora, cosa sono le emoticon se non riproduzioni moderne di maschere stilizzate che indossiamo al bisogno e che spesso sono di circostanza, proprio come quelle antiche?

Quindi aveva ragione Pirandello, quando diceva che in giro ci sono tante maschere e pochi volti!


Maurizio Ferrari

Maurizio Ferrari, sambucano di origine, ha insegnato Lettere per 38 anni nelle Scuole superiori pistoiesi. Ora è imprenditore agricolo e si sta impegnando nella promozione e nel rilancio del territorio appenninico come Presidente dell'Associazione "Amo la montagna APS" che si è costituita nel 2013 e che ha sede a Castello di Cireglio.Ha collaborato per 25 anni alla rivista "Vita in Campagna", del gruppo "Informatore Agrario". Recentemente ha pubblicato alcune raccolte di racconti ispirati alla vita quotidiana di Sambuca, dal titolo :"Dieci racconti sambucani"; "La mia Sambuga" e "Cuori d'ommeni e di animali", nonché una favola per bambini, "La magìa della valle dimenticata" illustrata dagli alunni della scuola elementare "P.Petrocchi " di CIreglio (Pistoia)