Ambiente  |  marzo 13, 2024

Una montagna diversa è possibile, anzi necessaria

I dati del dossier Nevediversa 2024 di Legambiente con la mappatura degli impianti sciistici in difficoltà e un focus sulle Olimpiadi Milano Cortina, tra ritardi e opere costose finanziate con un importo superiore a 30 milioni di euro. In Italia aumentano gli impianti temporaneamente chiusi e aperti a singhiozzo censiti da Legambiente . Oltre 200 quelli dismessi, 158 i bacini di innevamento. Appennino in forte affanno con il maggior numero di strutture aperte a intermittenza e sottoposte ad “accanimento terapeutico”. Osservati speciali Piemonte, Emilia-Romagna e Toscana.

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Il report di Legambiente Nevediversa 2024 suona come un campanello d’allarme, per chi avesse ancora bisogno di una sveglia, sullo stato della montagna italiana in relazione ai cambiamenti climatici. Secondo il rapporto dell’associazione ambientalista è “urgente un cambio di rotta a livello politico e territoriale, più risorse al turismo montano invernale sostenibile e azioni di mitigazione alla crisi climatica accompagnando gli operatori del settore in questo percorso di riconversione”. I dati esposti nel rapporto annuale parlano chiaro: 177 gli impianti temporaneamente chiusi nella Penisola (+39 unità rispetto al report precedente), di cui 92 sull’arco alpino e 85 sull’Appennino. Salgono a 93 gli impianti aperti a singhiozzo (+9 rispetto al report precedente), il grosso, ben 55, si concentra sugli Appennini. Le strutture dismesse, altro dato in forte crescita, raggiungono quota 260 di cui 176 sulle Alpi e 84 sulla dorsale appenninica. Legambiente parla di “accanimento terapeutico” presentando gli impianti, sono 241 quelli censiti dal report, che sopravvivono solo con forti iniezioni di denaro pubblico. Il grosso, ben 123, è sugli Appennini. Dati allarmanti a cui va aggiunta la crescita dei bacini idrici per l’innevamento artificiale: 158 quelli censiti (+16 rispetto al report 2023) di cui la gran parte in questo caso, ben 141, sulle Alpi, e il restante, 17, sulla dorsale appenninica.

Lo scorso anno il Ministero del Turismo ha stanziato ben 148 milioni per l’ammodernamento degli impianti di risalita e di innevamento artificiale. A fronte di questa cifra appare decisamente marginale la somma di 4 milioni destinati alla promozione dell’ecoturismo. E se si guarda alle singole regioni si scopre che finanziamenti per la neve artificiale non accennano a diminuire.
In Appenino la crisi climatica ha pesanti impatti. In Emilia-Romagna, ad esempio, la stagione 2023/24 è iniziata con 4milioni e 67mila euro stanziati dalla Regione per indennizzare le imprese del turismo invernale danneggiate dalla scarsità di neve. Legambiente ricorda anche il finanziamento a fondo perduto di 20 milioni di euro per il nuovo impianto di risalita verso il lago Scaffaiolo, un’infrastruttura osteggiata da associazioni e comitati locali. Per quanto riguarda la Toscana, è stato depositato lo Studio di fattibilità dell’impianto funiviario Doganaccia-Corno alle Scale con un costo del progetto ad oggi di circa 15.700.000 euro, di cui 5,7 milioni a carico dello Stato e 10 milioni a carico della Regione Toscana.

“I numeri in aumento degli impianti dismessi, aperti a singhiozzo, smantellati” – dichiara Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – “rappresentano l’ennesimo campanello d’allarme di un turismo montano invernale sempre più in crisi a causa della crisi climatica e che deve avere il coraggio di andare oltre la neve sempre più rara e cara. La pratica dell’innevamento artificiale è, infatti, insostenibile e comporta ingenti consumi d’acqua, forte dispendio di energia, oltre alla realizzazione di più bacini per l’innevamento e quindi un consumo di suolo in territori di pregio naturalistico. Per questo è fondamentale che si avvii un cambio di rotta e una conversione verso un modello di turismo montano invernale più sostenibile in grado di andare oltre la monocultura dello sci in pista, tutelando al tempo stesso le comunità locali e chi usufruisce a livello turistico della montagna. Non si perda questa importante occasione, partendo dall’Appennino e dalle basse quote delle Alpi dove non ha più alcun senso la neve artificiale.”
“Da parte nostra” – commenta Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente – “non c’è alcuna contestazione nei confronti degli operatori del settore, ma più un’obiezione contro la resistenza al cambiamento. Un inverno senza neve per questo mondo rischia di diventare un inverno senza economia e sbaglia chi continua a affermare ‘abbiamo sempre fatto così’. Come per altre industrie del secolo scorso occorre avviare un processo di transizione trasformando e diversificando, puntando ad un turismo sostenibile e dolce che rappresenta il futuro della montagna. Il dialogo e il confronto con gli operatori del settore è fondamentale per contribuire a questo nuovo orizzonte di cui ha bisogno la montagna. Per questo nel report di quest’anno di Nevediversa abbiamo raccolto anche le testimonianze dei rappresentati del mondo del sindacato, dell’economia e del settore impianti”.

Legambiente, a fronte dei dati esposti nel report, chiede un cambio di rotta a livello politico e territoriale, superando la pratica insostenibile dell’innevamento artificiale, lavorando ad una riconversione degli impianti e puntando ad un turismo invernale più sostenibile. Una richiesta che non rappresenta un’utopia ma che, al contrario, è fondata sulla testimonianza delle buone pratiche alle quali il rapporto 2024 dedica la chiusura.
Queste best practises, per Legambiente, “raccontano innanzitutto di un rapporto con la neve incentrato sulla sostenibilità ambientale dello sviluppo. Alcune di queste sono particolarmente rappresentative e emblematiche di quel mondo che vorremmo si affermasse un po’ ovunque in quanto nuovo modello di abitare e vivere la montagna nell’era dei cambiamenti climatici.”
La top ten delle buone pratiche racconta la capacità di innovare l’offerta turistica in armonia con la valorizzazione dell’ambiente naturale, delle professionalità a largo raggio, del patrimonio storico e architettonico nella sua unicità. Buoni esempi che, se emulati, permetterebbero di prefigurare uno sviluppo montano capace di trarre dal turismo dolce quegli elementi di forza per dare corpo alle speranze delle comunità montane che giustamente rivendicano il diritto al benessere e a posti di lavoro stabili e dignitosi.

 

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La Redazione

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