La ricerca  |  maggio 18, 2019

I bimbi di montagna giocavano così

In alcune decine di anni è cambiato tutto. Prima i divertimenti erano prevalentemente all'aperto, nelle aie, nei boschi, lungo i corsi d'acqua, per le strade. Si giocava a Bandiera, Campana, Palla prigioniera, Sbarbacipolla, Saltacavallo, Un due tre.. Stella, Le belle statuine... Quando c'erano solo maschi erano più spericolati e senza regole, con cerbottane, fionde e bastoni, carretti costruiti in proprio. In casa andavano forte i Quattro cantoni, il Gioco dell'anello, le Carte, la Dama, gli Scacchi, il Meccano

di

Tempo di lettura: circa 3 minuti

In due-tre generazioni è cambiato veramente tutto.

Molti aspetti della vita quotidiana sono migliorati e lo status economico delle famiglie si è innalzato.

Insomma, si sta materialmente meglio. Ma il benessere ha avuto risvolti anche meno positivi: uno di questi, a parer mio, è la inibizione della creatività individuale e della manualità. Tutto è preparato altrove e viene distribuito in un mercato globale popolato da “consumatori” proni, liberi di scegliere tra scelte già preconfezionate.

E questo vale anche per i giochi dei bambini, un settore che ha conosciuto una grande espansione e muove interessi economici molto rilevanti.

L’educazione alla realtà e all’ambiente

La prima cosa che viene in mente a chi appartiene alla metà del secolo scorso è che allora i giochi erano prevalentemente all’aperto, nelle aie, nei boschi, lungo i corsi d’acqua, per le strade, ovunque si potesse stare liberi e ritrovarsi insieme. Educavano, dunque, alla realtà, insegnavano ad interagire con l’ambiente circostante, a vivere coi piedi per terra e, di conseguenza, l’ottica deformante della virtualità, tanto cara al mondo di oggi, era completamente estranea ai bambini di allora.

Il secondo aspetto era l’inventività: i giochi si inventavano e nascevano dal nulla con le variabili più ampie e divertenti; si era protagonisti attivi, direi anzi registi, per usare un linguaggio cinematografico, in grado di dettare regole e scrivere canovacci in un teatro interattivo rappresentato dall’ambiente naturale.

L’ultima considerazione è che la maggior parte dei giochi di allora non costava nulla, o quasi, anche perché le condizioni economiche familiari non permettevano spese “superflue”.

Nei casi in cui si poteva comprare qualcosa, la spesa era di poche lire, per acquistare un pacchetto di figurine, qualche biglia colorata, una palla, una bambola di pezza ecc.

I giochi all’aperto

La varietà dei giochi all’ aperto era infinita e le regole si dettavano lì per lì; dipendevano dal numero dei partecipanti, dalla stagione e anche dalla presenza o meno della componente femminile.

Quando nel gruppo c’erano tante bambine, i giochi prescelti fra quelli regolamentati erano Bandiera, Campana, Palla prigioniera, Sbarbacipolla, Saltacavallo, Un due tre.. Stella, Le belle statuine, Bastoni e cerchietti, tanto per fare qualche esempio .

Se, invece, c’erano solo “maschiacci”, ci si orientava su quelli più spericolati e senza regole, con cerbottane, fionde e bastoni, carretti costruiti in proprio, slittini rustici ecc. o su altri un po’ meno movimentati, come murella, tappini, biglie e buchette ecc.

E spesso bastava un coltellino per costruirsi oggetti anche raffinati: come piccoli artigiani, ad esempio, si ricavavano zufoli dalle cortecce dei rami o si realizzavano archi e frecce dagli intarsi più svariati, per poi organizzare scontri fra bande nei boschi o nei campi.

Chi aveva, come me, la fortuna di disporre di un corso d’acqua sotto casa, uno dei giochi più gettonati, oltre la pesca con le mani e con la forchetta, era rimbalzello e consisteva nel lanciare una piastrella e farle fare il numero più alto possibile di salti sulla superficie dell’acqua.

Anche quello era un gioco basato sull’abilità manuale.

I giochi casalinghi

Quando la stagione non lo permetteva, i giochi diventavano casalinghi e una stanza si prestava a giocare ai Quattro cantoni, al Gioco dell’anello oppure dai cassetti uscivano fuori le solite Carte, la Dama, gli Scacchi, il Meccano che, come diceva la didascalia sulla scatola,”preparava la strada agli ingegneri meccanici del futuro”.

Allora le piccole mani si esercitavano con viti, bulloni e barrette di metallo forate di tutte le forme e misure, a costruire improbabili marchingegni che a volte si reggevano in piedi e altre sfidavano, spesso soccombendo, le più elementari leggi della fisica.

Tuttavia nei giochi casalinghi era più facile che femmine e maschi si separassero a causa degli interessi naturali diversi. I bambini tiravano fuori i soldatini, di piombo o di plastica, e le bambine le bambole di pezza con le quali esercitavano la propria femminilità.

Quando, però, si avvicinava l’ora della cena o del pranzo, tutti a lavarsi e ad aiutare a far le faccende. Se eravamo a giocare fuori, si aprivano le finestre e risuonavano le voci di richiamo delle madri. Se poi l’aria era sferzata dai fischi acuti dei padri, c’era davvero da preoccuparsi; allora abbandonare la combriccola e correre a casa era tutt’uno, con la speranza di non riscuotere qualche poderoso calcio int’al culo.


Maurizio Ferrari

Maurizio Ferrari, sambucano di origine, ha insegnato Lettere per 38 anni nelle Scuole superiori pistoiesi. Ora è imprenditore agricolo e si sta impegnando nella promozione e nel rilancio del territorio appenninico come Presidente dell'Associazione "Amo la montagna APS" che si è costituita nel 2013 e che ha sede a Castello di Cireglio.Ha collaborato per 25 anni alla rivista "Vita in Campagna", del gruppo "Informatore Agrario". Recentemente ha pubblicato alcune raccolte di racconti ispirati alla vita quotidiana di Sambuca, dal titolo :"Dieci racconti sambucani"; "La mia Sambuga" e "Cuori d'ommeni e di animali", nonché una favola per bambini, "La magìa della valle dimenticata" illustrata dagli alunni della scuola elementare "P.Petrocchi " di CIreglio (Pistoia)