Ambiente  |  agosto 1, 2017

Il bosco abbandonato: la miccia ideale per gli incendi

L'analisi dell'esperto. Tanti i fattori alla base del propagarsi delle fiamme: vento, clima caldo e asciutto, pessima viabilità forestale. Ma soprattutto le condizioni dei boschi, da decenni privi di alcun intervento selvicolturale. Fondamentale la prevenzione: taglio secondo il turno, diradamenti, spalcature. E promozione dell'uso del legno: fonte per riscaldamento e materiale da costruzione

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L'incendio a Tobbiana

La premessa

In passato l’uomo ha usato il fuoco per cacciare, liberare spazio per coltivazioni e pascoli, addirittura fare la guerra. Ancora oggi l’incendio resta una delle maggiori minacce per la conservazione delle foreste: ogni anno accadono migliaia di eventi e solo una percentuale trascurabile di questi, meno dell’1%, è attribuibile a cause naturali: l’incendio è allora un fatto legato a comportamenti superficiali dell’uomo, oppure a una deliberata volontà criminale.

La violenza scatenata dal cosiddetto “incendio di chioma” si è materializzata anche sulle colline pistoiesi, nello scorso mese di luglio, e la condivisione di immagini terribili quanto spettacolari ha colpito la sensibilità di tanti, suscitando un moto di sgomento per l’ambiente distrutto e un senso di impotente desolazione per l’estensione del fronte di fiamma che sembrava inarrestabile.

Non è questa la sede per esaminare tecnicamente la dinamica dell’incendio, così come per valutare la risposta dell’insieme delle forze coordinate dalla centrale operativa della Regione Toscana: è senz’altro uno degli scenari più complessi che negli ultimi anni hanno interessato questa parte di Toscana, ma altrove vi sono stati, nel tempo, esempi anche più drammatici.

I tanti fattori scatenanti

Sono molteplici i fattori che maggiormente hanno “preparato il campo” al propagarsi delle fiamme: le condizioni meteo di ventosità, il perdurare del clima caldo e asciutto, le caratteristiche orografiche, la viabilità forestale dell’area colpita. Ma il fattore che, forse, ha contribuito di più a rendere duro il lavoro di spegnimento, è il tipo di soprassuolo.

Il bosco abbandonato

Un vecchio adagio dei tecnici forestali dice che l’Italia è un paese ricco di boschi poveri.

Naturalmente vi sono a giro moltissime splendide ed ampie foreste ma, nel nostro caso, stiamo parlando di boschi cedui, spesso invecchiati (vale a dire che hanno superato il turno consueto di taglio), frammisti a conifere (qui, il pino marittimo), talvolta in precarie condizioni vegetative (attacchi parassitari, danni da vento, ecc) con un fitto sottobosco di erica, ginestra, rovi, ed altri arbusti. Si tratta di boschi che non hanno ricevuto da decenni alcun intervento selvicolturale. Per questo si sono accumulate grandi quantità di combustibile, distribuito sia in senso orizzontale (quindi boschi che potemmo definire in modo intuitivo “fitti” o “impenetrabili” ) che in senso verticale (continuità di vegetazione tra gli strati più vicini al suolo dove, per capirsi, c’è l’innesco del fuoco e le parti dove ci sono le chiome degli alberi).

Quando il bosco si trova in tali condizioni favorite, lo ripeto, dalla mancanza di interventi colturali, il rischio di propagare molto rapidamente dei focolai è altissimo, così come è facile che le fiamme si incrementino sino a diventare “incendio di chioma”: una brutta bestia per tutti gli operatori antincendio.

Cosa fare? Prevenzione, prima di tutto

Incrementare l’acquisto di mezzi e attrezzature, in un quadro di risorse economiche limitate, non è oggettivamente una strategia perseguibile (né utile, poiché il sistema AIB è sostanzialmente efficace per le tipologie di incendi che si verificano in Toscana). Ciò che è immediatamente fattibile è la prevenzione, cioè principalmente promuovere la selvicoltura: ad esempio i proprietari privati delle aree boscate dovrebbero essere consapevoli che, oltre il legittimo diritto di disporre liberamente della proprietà, vi è un interesse collettivo superiore, che consiste nel tutelare il bosco quale risorsa per contrastare i cambiamenti climatici (solo per citare, tra le tante, la funzione più a la mode). Dunque, quando i padroni dei boschi non abbiano la possibilità di intervenire in prima persona, dovrebbero affidarsi alle imprese boschive (e ce ne tante sono sul territorio, professionalmente preparate ed attrezzate). Quindi, oltre all’ordinario taglio secondo il turno, diradamenti, spalcature, creazione di fasce a minore densità di vegetazione lungo la viabilità: tutti esempi di interventi di ordinaria gestione.

Promuovere l’uso del legno

Gli amministratori dovrebbero promuovere e premiare l’uso del legno come fonte rinnovabile per il riscaldamento (anche di edifici pubblici, perché no, visto che possono esserci importanti risparmi in bolletta), ma anche come materiale da costruzione, scoprendo che i boschi ben gestiti diventano una risorsa strategica: creano bellezza e aiutano la crescita delle comunità.

In Italia, pur mancando da decenni una qualsiasi politica forestale, esiste un sistema di incentivi (ad esempio il Piano di Sviluppo Rurale) e sono disponibili adeguate competenze per poter pianificare e intervenire.

Occupiamoci delle foreste

Occorre superare l’idea decisamente cittadina del bosco come bene da cristallizzare e da lasciare a una sua evoluzione naturale poiché, al contrario, stiamo parlando di selve che hanno subito l’azione dell’uomo per millenni: se vogliamo che le foreste continuino ad assolvere a certe funzioni ambientali, siamo tutti chiamati a occuparcene.
Lorenzo Vagaggini

Dottore forestale, libero professionista


La Redazione

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