L'intervista  |  novembre 13, 2016

Il fotografo della Montagna Pistoiese con l’obiettivo sulle calamità naturali

Andrea Nannini, marescano, racconta la sua lunga esperienza con il Nucleo di Documentazione della Croce Viola di Sesto Fiorentino. Un gruppo di fotografi, operatori e giornalisti attrezzato per intervenire nelle località colpite da terremoti e alluvioni. "Ma noi non cerchiamo la spettacolarizzazione, ci limitiamo a documentare". Le esperienze straordinarie di Lourdes e del campo profughi a Idomeni, al confine greco-macedone.

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MARESCA (SAN MARCELLO) – C’è un legame particolare fra la Montagna Pistoiese e i luoghi colpiti da calamità naturali. Non solo quello di tanti volontari che in più momenti, e a più riprese, hanno dato il loro aiuto, si sono messi a disposizione, hanno donato tempo ed energia. C’è anche un’esperienza del tutto particolare, perché unica nel suo genere, quella del Nucleo di Documentazione della Protezione civile della Croce Verde di Sesto Fiorentino. Sì perché uno dei due fotografi di quel nucleo è Paolo Andrea Nannini, professionista del settore, montanino doc, residente a Maresca, unico di quel gruppo che non vive nella cittadina a ridosso di Firenze. Sono tutti sestesi quelli che ne fanno parte, compreso il suo ideatore e coordinatore, Davide Costa, giornalista, anche lui con un forte legame con il territorio pistoiese: da alcuni anni lavora nella redazione di Pistoia della Nazione ed è da sempre un appassionato frequentatore della Montagna.

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Nannini proviamo a partire dall’inizio. Com’è cominciata questa attività di volontario nella Protezione civile?
“La prima volta nella Protezione civile fu nel Saharawi, nel 2007, in aereo, una missione di aiuti con scatoloni pieni di medicinali. Poi il primo vero e proprio intervento su un calamità naturale, due anni più tardi, all’Aquila duramente colpita dal terremoto. In quell’occasione ci muovemmo come Pubblica Assistenza di Maresca. La coincidenza incredibile fu che proprio in quei giorni stavamo facendo un’esercitazione a Pistoia: era tutto pronto, tutto testato, tutto funzionava. E l’intervento fu rapidissimo”.
Poi è arrivato il Nucleo documentazione della Protezione civile della Croce Viola di Sesto Fiorentino.
“Sono con loro dal terremoto di Modena, poi di nuovo l’alluvione di Genova, i campi profughi a Idomeni, al confine greco-macedone, quindi il terremoto ad Amatrice“.
Come vi siete preparati per creare questa struttura?
“Tutte le persone che fanno parte del gruppo hanno effettuato un corso. Ci muoviamo con mezzi attrezzati compresa una parabola per trasmettere immagini in diretta. La particolarità è che l’informazione che arriva dai soccorritori, in questo caso anche giornalisti, non è informazione filtrata ma diretta: da soccorritori ai cittadini”.
C’è poi un capitolo a parte al quale lei tiene molto. Ce ne vuole parlare?
“Sì è quello di Lourdes, con i malati. Un viaggio che mi interessava fare, una storia parallela al mondo che siamo abituati a vivere. Un altro mondo, davvero. Un’esperienza molto importante. Mi ci è voluto qualche mese per metabilizzarla. Ho anche realizzato un piccolo film su quell’esperienza ma è molto difficile rendere l’idea”.
Lei dice che sembra di vivere una dimensione alla quale non siamo abituati. Cioè?
“Lourdes è un altro mondo, a partire da come è concepita la città, a totale misura di disabile. Con una carrozzina si può andare ovunque ed è normale che sia così ma non è la normalità che noi conosciamo. Per tutto il giorno, dalla mattina alle 6,30 fino alla sera alle 19, tutte le persone sono in giro a messa, a pregare, ad aiutare i malati negli spostamenti. Cambia la prospettiva: è il malato che ti dà la possibilità di fare qualcosa, di essere utile. Ma non c’è alcuna differenza fra abili e disabili. Un mondo senza problemi, dove tutti si aiutano e stanno bene e si vogliono bene”.
Torniamo all’ultimo terremoto nel centro Italia e, più in generale, ai vostri interventi in situazioni del genere. Qual è il vostro compito?
“In genere gli interventi di Protezione civile vedono impegnati i volontari per una settimana, noi come Nucleo di documentazione abbiamo tempi diversi, più brevi, a volte anche 3-4 giorni. Il nostro compito è quello di documentare, quindi fotografare e fare riprese, ma poi come tutti i volontari aiutiamo ad allestire il campo e a svolgere le altre attività. Sia chiaro, non c’è niente di eroico, è una cosa utile che si può fare anche sotto casa per un incidente stradale o per una persona dispersa in un bosco”.
Quanto conta la formazione? E quanto contano le diverse professionalità?
“La formazione ha un peso e ne facciamo molta ma conta molto anche la pratica sul campo. Le funzioni sono diverse perché diversi sono anche le professionalità che servono. Ci vogliono i cuochi come gli elettricisti o gli idraulici. E nel decidere anche come gestire le presenze bisogna tenere conto di queste necessità. A volte si devono prendere decisioni scomode perché nel decidere chi resta e chi va si rischia di illudere e deludere. Mi piacerebbe fare il corso per capo campo. Per adesso sto in prima linea poi vedrò”.
E quale vera differenza esiste fra il lavoro che fate voi giornalisti per il Nucleo e quello che fanno colleghi giornalisti per le loro testate?
“L’approccio è diverso. Il giornalista che lavora per un giornale o una tv cerca spesso la spettacolarizzazione anche del dramma. Per noi è diverso. E’ lo scenario su cui si deve intervenire. Noi dobbiamo documentare non fornire versioni particolari”.
Com’è la vita nei luoghi colpiti dal terremoto?
“Molto faticosa. Intanto il sonno; si deve dormire in tende, quando va bene. A volte le scosse forti durante la notte svegliano tutto il campo. Più volte è capitato di trovarsi tutti assieme, volontari di diverse associazioni e diverse parti d’Italia, a fare colazione di primo mattino dopo un brusco risveglio. Devo dire, però, che quello che paghi in termini di stanchezza lo recuperi in termini umani”.
E le reazioni delle popolazioni colpite dal sisma o da altri fenomeni di calamità naturale come le alluvioni?
“Ho visto di tutto, pianti, risa, disperazione, speranza. Una situazione diversa per esempio a Genova, dopo l’alluvione. Tanti ragazzi erano coperti di fango fino agli occhi ma erano felici di quello che stavano facendo. Non ho visto gli occhi spauriti o spaesati come è spesso capitato da altre parti, piuttosto un sacro furore. Il terrore? Certo, anche quello. Per la prima volta all’Aquila. Ci sono diversi episodi legati a quella volta. Me ne viene in mente uno in particolare di un signore che voleva in tutti i modi recuperare la propria auto, nel cuore della città, nella zona inaccessibile e mi sono raccomandato ad un amico di Maresca perché lo fermasse”.
Le calamità naturali, soprattutto i terremoti, si compongono di più momenti. Come li descriverebbe in base alla sua esperienza?
“Il primo giorno non ci si rende conto di cosa è successo davvero, non si capisce niente. Il secondo giorno è lo smarrimento. Poi la realtà prende il sopravvento su tutto e realizzi cosa è successo: la casa crollata, i feriti, i dispersi, i morti. Infine c’è l’ultima fase, il dopo, che per tanti significa la perdita di fiducia, il senso di solitudine, di abbandono”.
Un altro caso particolare che avete vissuto come Nucleo di Documentazione è quello dei campi profughi al confine fra Grecia e Macedonia, a Idomeni. E’ così?

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“Lì ho trovato una percentuale altissima di laureati, una conoscenza diffusa della lingua inglese. Fra i profughi siriani c’era un’alta scolarizzazione e si trattava di persone molto civili. Ho visto sgombrare il campo con l’esercito, 10-12mila persone sono state spostate altrove. C’erano tante donne, tanti bambini alla mercé di tutti. C’erano etnie diverse, afgani e curdi, tante storie particolari, tanti drammi umani fatti di persecuzione, prigionia, morte. Mi hanno colpito molto le donne, dolci ed estremamente femminili, ma altrettanto decise e pronte a difendersi. Fra quella gente c’era chi aveva pagato anche mille euro per superare il confine e poi ha dovuto rinunciare, ha comprato la tenda ed è rimasto lì in attesa di non si sa cosa. Un’ultima cosa davvero particolare, un bambino che mi ha preso per mano e portato in giro per il campo. Dopo un po’ era stanco e mi ha fatto capire che voleva essere preso in braccio. L’ho fatto e abbiamo continuato così il nostro giro…”

IMG_2856Nannini con la sua piccola “guida” a Idomeni

LA MOSTRA SUL CAMPO PROFUGHI DI IDOMENI

L’esperienza del campo profughi è raccolta in immagini e video in una mostra “Ai confini dell’accoglienza. Dalla toscana a Idomeni” nella Basilica della Madonna dell’Umiltà a Pistoia, inaugurata domenica 6 novembre e visitabile fino a martedì 15. L’inaugurazione è avvenuto in occasione della 34ª edizione della Giornata internazionale della pace, della cultura e della solidarietà “Giorgio La Pira”, come testimoniano le immagini pubblicate qui sotto. A sinistra Nannini con Pietro Bartolo, medico di Lampedusa e protagonista del film Fuocammare (orso d’oro a Berlino), nella foto accanto con il segretario di Stato Vaticano, Cardinale Parolin.

Le prossime esposizioni della mostra saranno nella chiesa di Marliana, nelle prime settimane di dicembre, e nella biblioteca comunale di Sesto Fiorentino, dal 18 dicembre all’8 gennaio. A seguire, Genova, Roma e Milano, tutte entro giugno.

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Paolo Vannini

Laurea in scienze politiche, giornalista professionista dal 1998, ha lavorato nei quotidiani La Nazione e Il Giornale della Toscana (edizione toscana de Il Giornale), è stato responsabile dell'Ufficio comunicazione del Comune di Firenze, caporedattore dell'agenzia di stampa Toscana daily news, cofondatore e vice direttore del settimanale di informazione locale Metropoli. Ha lavorato presso l'Ufficio stampa di Confindustria Toscana, ha collaborato e collabora per diverse testate giornalistiche cartacee e on line - fra queste il Sole 24 ore centronord, Il Corriere Fiorentino (edizione toscana del Corriere della Sera), Radio Radicale - si occupa di uffici stampa e ghost writing.