La ricerca  |  luglio 17, 2020

Negli anni ’60, quando i bambini a merenda mangiavano… il vino

Era uno degli ingredienti tipici degli spuntini pomeridiani dei più piccoli, insieme a pane e zucchero. Il pane era elemento centrale e imprescindibile: con solo burro e zucchero, ancora con burro e acciughe, bagnato con il succo di pomodoro fresco. E poi c'era l'uovo sbattuto, il gelato e le prime "importazioni" con la marmellata australiana "Letona". Fino alla nascita dei Buondì e il via libera a tutti le merendine industriali

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Iniziamo subito a dire che era già un privilegiato quel bambino al quale la mamma diceva: “Che vuoi col pane?”. Ciò voleva dire che l’offerta di ingredienti non mancava.
Spesso la merenda era a base di pane, zucchero e vino. Il pane raffermo inzuppato di vino rosso e zucchero semolato era anche dal punto di vista cromatico una merenda che i bambini aspettavano con trepidazione.

In alcuni casi il vino veniva fatto bollire per far evaporare l’alcol, in altri casi si usava il vino novo o il vino novello ma sempre predominava la convinzione comune che il “vino facesse buon sangue” ed avesse effetti ricostituenti. Ricordo di averlo bevuto poche volte ma mai a casa mia, bensì a casa di altri, preparato da altre mamme o da altre nonne. Anche se non mi piaceva un granchè avevo la sensazione della trasgressione (stavo bevendo il vino, una roba da grandi) e forse per questo motivo la mia fetta di pane di colore rosso granata la ricordo con grande piacere.

PANE BURRO ACCIUGA

Pane, burro e acciuga non era la regola ma un’eccezione dovuta in gran parte all’effetto collaterale di ungersi maglietta e calzoni. I calzoni poi erano rigorosamente sopra il ginocchio in estate e sotto il ginocchio nei mesi invernali. Per ovviare a questo inconveniente spesso si usava la pasta d’acciuga. In entrambe le versioni la semplicità di questa merenda è entrata nella tradizione familiare. Il burro più era bianco e più era buono e poi il sapore salato delle acciughe portava i bambini a bere alle fontanine dei paesi. Io personalmente andavo alla fontanina del “Becca” a Marliana imboccando la via tra la scuola elementare e la stazione dei carabinieri. Nelle mattinate calde durante l’estate in attesa del pranzo una fettina di pane, burro e acciuga allontanava i morsi della fame e stuzzicava l’appetito anche a chi era debolino di stomaco.

PANE E POMODORO STRUSCIATO

Il pane in casa non mancava mai e rappresentava inoltre l’ingrediente da recuperare a tutti i costi. Il pane come sappiamo perde la sua freschezza con il tempo trasformandosi in raffermo o addirittura secco. Ed è qui che spunta una nuova opportunità, una nuova vita anzichè di baciarlo buttandolo via. Bagnandolo con il succo del pomodoro fresco e bello maturo dopo averlo strusciato con la giusta pressione delle dita e condendolo con olio e sale, il pane raffermo o persino secco si rinnova in una gustosissima merenda. Semplice e naturale ricca di carboidrati, vitamine e fenoli (potenti antitumorali) la merenda a base di pane e pomodoro non tramonterà mai. Altra versione gettonatissima era il classico Pane e Olio con pizzico di sale e magari due gocce di aceto.

PANE BURRO E ZUCCHERO

Come abbiamo visto le merende erano degli spuntini semplici, genuini e soprattutto fatti in casa. C’era una varietà di proposte, ma molto dipendeva da quello che era disponibile nella dispensa. Una merenda classica era il diffusissimo pane, burro e zucchero. Generalmente si trattava di una fette di pane tagliata grossolanamente sul quale si spalmava il burro. Il tutto veniva spolverato con zucchero abbondante (il suo costo è sempre stato abbordabile). Da sottolineare che questi tre ingredienti non sono mai mancati nel paniere Istat e in qualche modo si potrebbe dire che rappresentano un pò quello che siamo.

L’UOVO SBATTUTO

I bambini degli anni ’60 mangiavano spesso l’uovo sbattuto. Era una tradizione che funzionava molto e che “faceva bene”. Ricetta regina dell’infanzia, si presentava molto cremoso, profumato e colorato di un giallo molto intenso. Indispensabile era disporre di uova freschissime e questo non era un problema. Il guscio veniva rotto avendo cura di separare il tuorlo dall’albume e mentre la chiara d’uovo era destinata ad altre ricette il tuorlo veniva messo in un bicchiere e sbattuto con vigore con due/tre cucchiaini di zucchero. Penso di averlo provato anche con un cucchiaino di caffè liquido e perfino con vin santo.
Qualcuno lo vedeva come una golosità, altri come punitivo ma alla fine penso che fosse molto utilizzato come valido ricostituente dopo un’influenza o un forte raffreddore.

DALL’AUSTRALIA LA MARMELLATA LETONA

Ve la ricordate la marmellata “Letona”, quella in barattolo di latta che si apriva con l’apriscatole? Io ne andavo pazzo. Nella dispensa di casa, oltre a pacchi di pasta, barattoli di pelati, olio e tanto altro ancora quello che più mi colpiva erano proprio queste lattine nere con immagini di albicocca. Era una marmellata gustosissima che veniva spalmata in modo abbondante su pane fresco. Irresistibile!
L’ho dimenticata per molto tempo e poi all’improvviso mi è tornata in mente e così ho cercato di ritrovarla e mangiarla di nuovo. Ho scoperto che la fabbrica “Letona”, con sede in Australia, produttrice di questa marmellata, dopo una grave crisi finanziaria è entrata in amministrazione controllata e nel 1994 ha definitivamente cessato l’attività.
Ancora oggi su internet troviamo annunci da ogni parte del mondo come questo: “Please can I find a product as good as old Letona apricot jam?” (Posso trovare un prodotto così buono come la vecchia marmellata di albicocche Letona?).

LUCIO BATTISTI E IL GELATO

Ricorderete benissimo come inizia la canzone di Lucio Battisti “I giardini di marzo” ma ricantiamola insieme: “Il carretto passava e quell’uomo gridava gelati, al ventuno del mese i nostri soldi erano già finiti…..”. Cosa dire? Una storia che non c’è più (il gelataio ambulante) e una storia che si ripete (i soldi che finiscono prima della fine del mese).
Non ho ricordi particolari, anche se me ne sono stati raccontati, del carretto che trasportava gelati. Il gelato lo compravo con le mie sorelle al bar sotto casa al costo di 50 lire, in casi eccezionali si poteva arrivare ad acquistarne uno da 100 lire. Spesso mi cadeva in terra e con i lacrimoni agli occhi tornavo dalla bottegaia che non esitava a colmarmi di nuovo il cono.
I gusti erano pochi; crema, cioccolato e limone quelli che vagamente ricordo.

SVOLTA CULTURALE CON IL “BUONDI'”

Una svolta culturale, per qualcuno positiva e per altri negativa, si ebbe con la nascita delle merendine industriali. Il Buondì fu tra le prime merendine confezionate a proporsi sul mercato. Il suo successo fu dovuto in gran parte all’impasto soffice e alla glassatura con granella di zucchero. I tempi stavano cambiando, le mamme andavano sempre più a lavorare, la maggiore industrializzazione del nostro Paese e i messaggi pubblicitari accattivanti hanno contribuito ad annullare la ritualità della merenda anni ’60. Con la merendina industriale viene meno il valore ed il contesto spaziale come la casa ed il giardino.
La merendina contemporanea è senza dubbio un salto culturale e antropologico che ha di fatto sancito il passaggio tra il piacere gustativo e l’esigenza di nutrirsi con l’aggravante di farlo in fretta.

NUOVO PROVERBIO: SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA MEGLIO

Un proverbio molto comune ci dice che “si stava meglio quando si stava peggio” intendendo con questo che le novità non sempre portano ad un miglioramento. Più semplicemente credo che sia un rimpianto per i tempi passati. Rimpianto inteso come nostalgia, come qualcosa che ci è sfuggito e scivolato via nel tempo.
Prendendo spunto da Massimo Catalano (musicista e personaggio televisivo) e dai suoi aforismi surreali (“Meglio vivere bene con due pensioni che male con una sola”, “Meglio essere promossi a giugno che bocciati a settembre”, “Meglio essere giovani, belli e ricchi che vecchi, brutti e poveri”) direi che è il caso di dire “Si stava meglio quando si stava meglio”.
C’erano vere relazioni sociali, rispetto per gli insegnanti, aria pulita, un benessere diffuso, un debito pubblico basso basso, poco traffico e stress assente, famiglie unite, etc.
Eravamo liberi e più moderni di oggi e soprattutto senza limitazioni nei rapporti con l’ambiente. L’incuria e l’abbandono del territorio non sapevamo nemmeno cosa fossero, il mostro della burocrazia repressiva lo potevamo immaginare solamente attraverso orribili incubi notturni.
E quindi ripeto “SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA MEGLIO”.


La Redazione

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