Editoriale  |  marzo 13, 2020

LA RIFLESSIONE: vivere in montagna al tempo del coronavirus

La diversità e i piccoli vantaggi dei territori montani in un momento di grande crisi. La quotidianità meno stravolta rispetto alle città. Il silenzio non avvertito come vuoto da riempire a tutti i costi, con qualsiasi rumore. La solitudine come compagna non necessariamente sgradita. E un invito a tutti: cogliamo questa pausa forzata per leggere buoni libri, guardare qualche bel film, riprendere in mano cose lasciate a metà. E, soprattutto, riordinare le vere priorità

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La famiglia umana nel corso della Storia ha avuto a che fare con pandemie anche gravissime che ne hanno falcidiato il numero.

Testimonianze di questi contagi sono rimaste in molti documenti giunti fino a noi e, fra gli altri, anche in due tra le più importanti opere della letteratura italiana, cioè il Decamerone di Boccaccio e I Promessi Sposi di Manzoni, ambientate entrambe in tempi di epidemie.

Gli antichi rimedi al contagio

I rimedi più comuni contro il contagio sono stati di due tipi: le chiusure ermetiche delle città e il rifugio in luoghi più appartati.

Per non allontanarsi troppo dal nostro territorio, Pistoia fu una delle poche città della Toscana ad evitare la furiosa peste del 1477-1479, perché dispose un efficace cordone sanitario che impedì l’ingresso ai forestieri, specie a quelli provenienti dalle zone colpite.

Il secondo rimedio, del tutto diverso, è stato emblematicamente tradotto nelle pagine del Decamerone, in quanto l’Allegra brigata, per evitare la peste del 1348, scelse di rifugiarsi in un luogo lontano dalla città di Firenze, cioè in una bella villa di campagna, dove l’isolamento era assicurato e lì, per esorcizzare la morte, i 10 giovani cominciarono a raccontarsi le famose novelle.

Alle prese col Corona-virus

In queste settimane è arrivata un’epidemia inaspettata che ha messo in ginocchio le certezze scientifiche, la Borsa, la panacea del denaro e la vita quotidiana di ognuno di noi. Insomma, il Corona-virus ha reso finalmente palese la fragilità nostra e della civiltà della globalizzazione.

A nudo le nostre fragilità

Il massiccio inurbamento della popolazione e le abitudini legate a forme di socializzazione sempre più traboccanti stanno favorendo l’espansione del contagio, anche perché a nulla vuole rinunciare l‘homo tecnologicus che ha scambiato i diritti per la licenza più assoluta, ha anteposto l’egoismo individuale al rispetto del prossimo, ignorando ogni più elementare buonsenso.

I divieti e le restrizioni di questi giorni stanno costringendo la gente a muoversi il meno possibile, ma è forte, specialmente per chi vive in città, la tentazione di uscire perché di fatto non ci si è disabituati a stare con se stessi, a guardarsi nel profondo, fin nelle pieghe dell’anima, a riflettere su ciò che siamo o che siamo diventati.

Magari scopriremmo quanto il flusso di una vita stressata ci abbia allontanati da un più nobile senso del vivere, fatto di appagamento spirituale oltre che materiale e quanto il nostro parlare sfrenato sia diventato superficiale, fatuo e privo di humanitas.

Forse alla nostra frenetica civiltà è mancato l’Otium che ci hanno trasmesso i Classici, cioè il tempo dedicato alla meditazione ed allo studio; eppure il nostro livello di istruzione è aumentato e moltissimi giovani e meno giovani sono diplomati o laureati. Ma evidentemente questo tipo di studio poco “filosofico” non apre le menti e bisogna concludere che la vera cultura è un’altra cosa.

I possibili “effetti benefici”

Allora auguriamoci che questa pausa forzata imposta dalle Istituzioni abbia risvolti positivi: ci faccia riordinare le priorità ponendo ai primi posti gli affetti familiari, le amicizie, i rapporti umani in genere, e valori come la comprensione, la tolleranza, il rispetto; ci aiuti a renderci conto di quanto siamo fortunati a vivere in una realtà quotidiana piena di comodità, opportunità e vantaggi di ogni tipo, che sono stati abbondantemente negati ai nostri avi; ci convinca a smetterla di bofonchiare, giudicare e lamentarsi in ogni momento della giornata; ci induca a dedicarci anche al nostro spirito che ha bisogno di essere nutrito come il nostro corpo.

La diversità di vivere in montagna

La vita in Montagna è stata ed è ancora diversa.

Intanto le dimensioni del tempo e dello spazio si dilatano, la naturalità prevale sulla virtualità, il silenzio non è avvertito come una sindrome da curare o come un vuoto da riempire a tutti i costi, con qualsiasi rumore, poi stress e noia non sono parole tanto comuni, nel vocabolario della Montagna e infine la solitudine (a meno che non sia dovuta a cause particolari) non è una compagna così sgradita.

Una scelta di fondo

Insomma, vivere fra i monti è una scelta prima di tutto filosofica, almeno per chi l’ha fatta coscientemente, e impone per definizione sacrifici e rinunce.

Pertanto quassù, in questo tempo di ristrettezze e di segregazione, la quotidianità non subisce un grande stravolgimento e gli ampi spazi all’aria aperta consentono a chi lo desidera e a chi ha tempo a disposizione di muoversi in luoghi amici: nei sentieri in mezzo ai boschi, anche in questi giorni, è facile incontrare chi passeggia da solo o col proprio cane, quelli che fanno trekking a piedi o in bike, chi lavora la legna o coloro che intorno a casa curano l’orto o il giardino, oppure chi semplicemente si ferma a guardarsi intorno e a pensare, come dovrebbe fare ognuno di noi in qualche momento della giornata.

Meno fatica a stare da soli

Spesso in solitudine, perché il montanino è per natura incline alla ritrosia e talvolta alla scontrosità e non fa fatica a star da solo.

Del resto, a ben vedere, solitudine e socialità sono spesso complementari perché una serve all’altra e la giusta miscela di entrambe è di grande utilità nella vita dell’uomo.

Ce lo hanno insegnato filosofi e santi; ma se non vogliamo credere a loro perché li percepiamo ormai troppo estranei al sentire comune, si creda almeno ad uno dei pochi veri poeti della canzone italiana.

L’elogio della solitudine di De André

“Quando si può stare da soli con se stessi io credo che si possa più facilmente entrare in contatto col circostante. Il circostante non è fatto soltanto dai nostri simili, direi che è di tutto l’universo, dalla foglia che spunta di notte in un campo, fino alle stelle e ci si riesce ad accordare meglio con questo circostante, si riesce a pensare meglio ai propri problemi, credo addirittura che si riescano a trovare anche delle migliori soluzioni, e siccome siamo simili ai nostri simili, che si possano trovare soluzioni anche per gli altri… Infine mi sono reso conto che un uomo solo non mi ha mai fatto paura, invece l’uomo organizzato mi ha sempre fatto molta paura”.

Questo elogio della solitudine di Fabrizio De André ci indica la strada per una catarsi individuale e collettiva capace di costruire un mondo più a misura d’uomo.

L’opportunità di questi giorni

Allora auguriamoci che in queste poche settimane di quarantena ci avviciniamo un po’ alla dimensione dell’otium, leggendo dei buoni libri, guardando qualche bel film, magari riprendendo in mano cose lasciate a metà, ma soprattutto recuperando se stessi e il rapporto coi propri cari senza che interferiscano i ritmi frenetici della vita quotidiana, le preoccupazioni voluttuarie, il cellulare e i social.

Questo diventerebbe un salutare bagno collettivo di umiltà e la migliore ricetta contro la noia.


Maurizio Ferrari

Maurizio Ferrari, sambucano di origine, ha insegnato Lettere per 38 anni nelle Scuole superiori pistoiesi. Ora è imprenditore agricolo e si sta impegnando nella promozione e nel rilancio del territorio appenninico come Presidente dell'Associazione "Amo la montagna APS" che si è costituita nel 2013 e che ha sede a Castello di Cireglio.Ha collaborato per 25 anni alla rivista "Vita in Campagna", del gruppo "Informatore Agrario". Recentemente ha pubblicato alcune raccolte di racconti ispirati alla vita quotidiana di Sambuca, dal titolo :"Dieci racconti sambucani"; "La mia Sambuga" e "Cuori d'ommeni e di animali", nonché una favola per bambini, "La magìa della valle dimenticata" illustrata dagli alunni della scuola elementare "P.Petrocchi " di CIreglio (Pistoia)