Nuovi progetti  |  gennaio 15, 2017

“Baste lamentarsi e attendere. In Montagna serve una Cooperativa del Fare, fuori dagli schemi della politica”

Lo scrittore Federico Pagliai prende spunto dalle strade gelate di questi giorni, i pochissimi mezzi spargisale e gli incidenti a raffica sulle strade, e lancia sulla “Voce” la sua proposta-provocazione: "Creiamo un’associazione di uomini e donne di montagna” per mettere in pratica “forme di autogoverno” e “autosostentamento economico di tipo virtuoso”. Pura utopia? “Basta consultare esperti che hanno già seguito queste strade come in Piemonte o in Molise”. Obiettivo: far arrivare sul territorio "milioni di euro che la Comunità Europea stanzia ma che la politica centrale non intercetta”

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Federico Pagliai presidente di LetterAppenninica

MONTAGNA PISTOIESE – L’ultimo fatto accaduto, quello delle strade gelate e i pochissimi mezzi spargisale in giro, ha provocato incidenti stradali a ripetizione, danni a persone e oggetti, e sollevato sentimenti di rabbia, delusione e ironia e la solita (e inevitabile) ridda di lamentele, proteste e invettive, con i social che sembrano essere il terminale privilegiato e ultimo, come il canto del cigno, di quelle stesse rimostranze.

Non solo sfogo sui social

E’ stato così per l’ospedale, le poste, le buche nelle strade, i marciapiedi malmessi e altre faccende. Ma, mentre, ci sfoghiamo in chiacchiere e qualcuno perde anche tempo a fotografare panchine rotte, erbacce alte e cartelli sbiaditi, la montagna ha avviato e forse anche concluso un percorso di fine vita che non si risolve battagliando su facebook o fotografando l’ ultima buca sulla strada.

Le colpe della politica non siano un alibi

Le responsabilità della politica centrale, a prescindere dal colore e ideologia, sono palesi e lo sono in tutta Italia, per lo meno in riferimento a quella delle periferie. I disservizi perpetrati alla terre alte sono misurabili ovunque e pertanto anche la nostra, di montagne, non fa difetto.

Ho atteso anni in silenzio nella speranza che qualcosa potesse cambiare. Adesso, però, prendersela con la politica centrale è giusto, ma attenzione a non far si che tutto ciò non diventi un comodo alibi.

Non è la sola politica la responsabile del decadimento, ancor prima ideologico e mentale e poi fisico e strutturale, della montagna. Parlando di responsabilità, forse in una forma inconsapevole, anche ognuno di noi ha la sua parte. Il problema deriva in parte pure da noi, dalla mancanza di percezione di un bene comune, dall’egoismo che ha cambiato l’uomo e da quell’aspettativa di dovuto assistenzialismo statale che crediamo legittimo in virtù del pagare tasse, che continuiamo a versare allo Stato più per timore di multe che per effettivi servizi erogati.

In pratica, anche a queste latitudini e altitudini, abbiamo subito il meccanismo dell’assistenzialismo che, di fatto, ha dirottato somme incalcolabili al Meridione senza, però, risolvere i problemi di fondo di quelle terre, oggi così simili da un punto di vista mentale alle nostre.

Una via non politica

Più vado avanti, più leggo di altre realtà che si sono diversamente organizzate e più mi rendo conto che siamo a un bivio: seguire come unica strada la dottrina della politica o cominciare un percorso di affiancamento, alternativo e diverso, fatto di attori non politicizzati, di idee e gesti concreti e non di lamentele e stop?!

La storia dei questionari dei funghi (e altre faccende…) ha evidenziato si un malcontento ma anche la voglia di ripartire, un risveglio autoctono e un coro di idee.

Una Cooperativa del fare

Più volte, in questi mesi, ho accennato a un Consorzio di persone del luogo, una Cooperativa del Fare. Ne ho parlato per i funghi ma credo sarebbe persino riduttivo confinarla a tal contesto.

Serve un’associazione di uomini e donne di montagna, assolutamente fuori dagli schemi politici. Personaggi che si muovono in prima persona per la Comunità e a servizio di quella Comunità al fine di mantenerle un supporto vitale, che potrà anche essere quantitativamente minimo ma assai elevato per appropriatezza di risposta e di alto valore simbolico per i motivi di coesione sociale e di esempi di cavarsela da soli che esso può indicare, come uno specchio, alla stessa Comunità e verso l’esterno.

Uniti per un bene davvero “comune”

Serve un Consorzio di gente di qui, la cui adesione è volontaria, le attività dirette per il bene comune dove per “comune” intendo tutta la montagna e non una singola frazione o addirittura una via di paese, serve una proprietà condivisa curata e tenuta assieme da gente di qui e non da chissà chi e da dove viene e per quali fini, serve consultare esperti che hanno già seguito queste strade (… andatevi a vedere cosa hanno fatto a Paraloup, Piemonte, oppure in Molise nel borgo di Macchia Valfortone…) intercettando milioni di euro che la Comunità Europea stanzia ma che la politica centrale non agguanta o non vuole agguantare trascinando la montagna appenninica, e quindi anche la nostra, a ritroso nei secoli.

Il Medioevo è qui

Il Medioevo è qui e ora. E non servono a nulla le lagne sui social e tantomeno i fotografi free lance alla ricerca della panchina sfondata: raccomodiamola noi, questa panchina! Chi lo fa? Chi ha un minimo di tempo e chi lo sa fare! E perché lo deve fare? Per il Bene comune e perché se aspetti lo Stato, quella panchina diventa cibo per tarli! E con quali soldi? Quelli risparmiati per le tasse, se a queste non fanno pareggio i servizi erogati. E anche quelli provenienti da ciò che produce la montagna, soldi che dovrebbero essere reinvestiti qui e non sparsi chissà dove.

Un nuovo vivere solidale

E’ un esempio. Banale, provocatorio e semplice. Ma se vogliamo frenare l’insostenibilità del vivere in montagna, insostenibilità della quale la politica ha le sue responsabilità, dobbiamo cambiare un po’ anche noi, come modo di pensare e agire.

Basterebbe darsi di più, tornare a tempi in cui la solidarietà e il vivere solidale erano nel quotidiano di chi viveva in montagna, così com’era nell’architettura dei borghi, con le abitazioni non a caso aggrumate tra loro come a sostenersi, mentre oggi chi compra casa mira soprattutto a tenere lontano il prossimo.

Occorre un Consorzio di anime di montagna. Esercitare forme di autogoverno, rendere fiato a percorsi di autosostentamento economico di tipo virtuoso: penso ai proventi sulla captazione delle acque, a quelli dei permessi dei funghi, pesca, caccia, vendita boschi e legname, parcheggi, skipass, castanicoltura e tutto quanto produce la montagna: chi fa esercizio di numeri parla, se non erro, del 17 per cento del PIL.  Tutti soldi e risorse che, ad oggi, se ne vanno altrove e solo in piccola parte tornano sul territorio di partenza.  Lo Stato, in questo senso, fa un po’ il furbo. La usa la montagna. Ma un conto è viverci e un conto è usarlo, questo ambiente.

Il coraggio di dire no ai diktat governativi

La politica centrale, e di conseguenza gli amministratori locali (forse i meno colpevoli perché schiacciati da alte direttive…) decide della montagna e lo fa a tavolino e questo è altro e diverso mestiere e linguaggio rispetto a chi vive tutti i giorni nelle terre alte.

Certo, sia chiaro, non è che si possa fare un colpo di Stato, ma pretendere amministratori che abbiano il coraggio di andare contro ai diktat dei vari Governi, quello si. Per farlo, però, questi amministratori non devono essere dei politici ma soggetti liberi, lontani ed estranei ad ogni legaccio partitico di sorta. Altrimenti, fanno parte di un ingranaggio e non se ne esce.

Un’associazione di mutuo sostegno

Oltre a questo, deve cambiare “L’uomo di montagna”. Anzi, nemmeno cambiare. Deve tornare ai valori di un tempo, quelli per cui era l’isolamento fisico a imporre il vivere solidale e la dottrina del saper fare: oggi l’isolamento non è fisico ma siamo isolati lo stesso e in un modo che, nell’epoca di internet, è ancor meno sopportabile.

Dobbiamo ripartire da “un senso e percezione del noi”. Da una reazione nostra, attiva e non attendista e pregna di vuoto e fugace assistenzialismo, che poi ci viene anche rinfacciato…

Serve un’associazione “extracampanilista” dove ognuno dedica tempo al bene comune e al mutuo sostegno. Chi sa fare una certa cosa la fa, chi ne sa fare un’altra si impegna per quella. Sono infermiere, avete necessità di una puntura? Vengo a farvela, a gratis. Oppure ricorriamo al baratto. Qualcuno è caldaista? C’è un’anziana di paese con il riscaldamento in blocco? Perché non trovare dieci minuti e andare?!

Autogoverno con i fondi della montagna

Agli inizi, forse, ci rimetteremo dei quattrini ma sono convinto che nel tempo le cose potrebbero cambiare, se non altro per un nuovo e infuso senso di orgoglio, dignità e appartenenza, concetti, questi, meno astratti di quanto si pensi e per i quali basta soggiornare tre giorni in qualche valle alpina per vederseli trasformati in realtà.

Non è eresia cominciare a pensare a forme di autogoverno con dei proventi che la montagna produce e che, stante il continuo dissanguamento dei servizi, a questo punto sarebbe giusto restassero qui. Abbiamo bisogno di sanità, trasporti, istruzione, di botteghe e bar, di scuolabus, di assistenza domiciliare h24, di mezzi spargisale, di gente che sa fare il pane da sé, di chi scrive libri, di chi ha un sito web sul vivere in montagna, di chi apre un’ impresa quassù, di che vende formaggi, funghi, ceste di vimini e piccole sculture di legno, di una mensa ospedaliera a centimetri zero, di maestranze come falegnami, idraulici, elettricisti, caldaisti che, alla bisogna, dedicano un’ ora del proprio tempo per il vecchietto accanto casa.

Abbiamo, insomma, bisogno, al di là di sfogarsi su facebook, di cominciare a creare un piccolo fondo e indotto, a darsi un’alternativa allo Stato che con la sua metrica del “faccio laddove c’è densità demografica, e quindi voti” penalizza le terre alte, quelle disabitate e in via di divenire un deserto verde.

Serve, intanto, di cambiare noi. Ognuno nel suo piccolo.

Per cavarsela di più da noi. Che solo su quel noi potremmo contare.

E, poi, svegli sui finanziamenti europei… Andate a vedere in Molise, cosa sono riusciti a fare…

 


La Redazione

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