Col passare del tempo ci si sta rendendo sempre più conto, complici i cambiamenti climatici, che più l’uomo si allontana dalla terra, anche culturalmente, più i suoi problemi aumentano e ci si inventano formulette, più simili a spot che a effettivi progetti, con cui si spera di invertire tendenze ormai assodate. Penso, ad esempio, ai ”Contadini custodi”, ricetta con cui si intenderebbe stimolare l’avvio di aziende giovani in agricoltura. Poi si legge il Regolamento Europeo n° 1257/1999 (quello degli aiuti ai giovani agricoltori) e lì troviamo un diluvio di regole e vincoli, come la compartecipazione degli investimenti, le prove d’esame, la richiesta di redditività come condizione essenziale, ecc. ecc. E allora si capisce che non si è capito niente, perché è difficile tirar fuori la giornata se i costi ai produttori sono esigui, se si permette la concorrenza sleale di altri paesi, se non si tiene conto che alcune zone, specialmente quelle montane sono semiabbandonate, senza servizi, con viabilità precaria e ormai regni incontrastati di animali selvatici, ai quali vengono riservati tutti i diritti e da cui è consentito proteggersi solo in minima parte e con non poche spese aggiuntive.
L’agricoltura alpina…
La maggior parte dei sostegni comunitari va all’agricoltura alpina, per la quale sono stati varati molti progetti di incentivazione, anche perché i dati statistici sono già sconfortanti,
Nella Provincia autonoma di Trento, ad esempio, dal 1980 al 2020 la popolazione è salita da 442845 abitanti a 542158, mentre le aziende agricole sono passate da 37723 a 6980, con una superficie agricola utilizzata che è scesa da 148696 ettari a soli 84159 (dati ISTAT).
In termini ambientali, vuol dire che un territorio estesissimo non è stato più regimato, lavorato, curato e gli effetti sono scesi tutti a valle, in forme più o meno tangibili.
Inoltre è andato perso un patrimonio di sapienza antica, di pratiche plurisecolari e di culture di nicchia che hanno reso unici quei paesaggi.
Eppure nel grande comparto alpino sono nati Protocolli d’intesa, Dichiarazioni, Convenzioni ed una Piattaforma sull’agricoltura di montagna che stanno vedendo impegnati, dal 1991, Paesi come Austria, Francia, Italia, Liechtenstein Monaco, Slovenia, Svizzera e UE, per cercare di salvare il salvabile in ambito di imprese agricole e presidi ambientali.
L’agricoltura appenninica
Il sistema appenninico è sicuramente il più trasandato da ogni punto di vista.
Le strategie regionali sono diversificate e confuse negli obiettivi, ma abbastanza omogenee nell’osservanza alle indicazioni comunitarie, anche se c’è da dire che alcune di esse, come ad esempio la Toscana, sono più zelanti e integraliste nell’applicazione delle norme europee.
Ne consegue che non esiste, ad oggi, una legge-quadro nazionale sulla montagna capace di interpretare veramente i bisogni di chi ci abita e lavora, mentre persiste, eccome!, un sistema normativo che affossa e scoraggia un vero rilancio delle terre alte.
Eppure basta fare due conti: in Toscana il 92% del territorio è costituito dalle zone collinari (67%) e da quelle montane (25%), mentre le aree pianeggianti sono solo l’ 8%. Se si pensa che tra 50 anni gli abitanti della nostra montagna saranno ridotti della metà, non si capisce chi dovrà manutenere quei territori così fragili, chi dovrà presidiarli. Ecco allora che i progetti fin qui messi in campo dimostrano di aver avuto l’effetto di pannicelli caldi, di bende posticce, perché non bastano le risorse, da sole, a produrre i risultati sperati, se l’abbandono, l’incuria generalizzata, la mancanza di servizi, di opportunità lavorative e un sistema normativo penalizzante attanagliano come una morsa i nostri territori montani e collinari.
Bisogno di agricoltura e silvicoltura di montagna
Bisogna rendersi conto che c’è un bisogno estremo di agricoltura e di silvicoltura di montagna, proprio per preservare le aree metropolitane, perché terrazzamenti, campi arati e coltivati, cura tradizionale dei castagneti ( con le roste e le coronelle di muretti a secco intorno ad ogni pianta), tagli di rinnovo dei boschi cedui (si chiamano cedui perché devono essere tagliati per rivivere!) e regimazione dei reticoli idrici minori contribuiscono a regolare gli effetti degli attuali regimi alluvionali delle piogge, impedendo che grandi quantità di acqua si riversino tutte insieme a valle e procurino i danni che tutti noi conosciamo.