Sambuca, La ricerca  |  giugno 15, 2023

Nacque nel 1291: lo statuto della Sambuca uno dei più antichi d’Italia

Il testo, arrivato a noi riformato nel 1340, ci racconta come doveva essere la vita nella Sambuca del Medioevo. Centrale il rapporto con il paesaggio e il territorio in cui il Comune era inserito. Saltano all’occhio le molte leggi riguardante la cura del bosco, degli alberi da frutto, in particolare dei castagneti. La comunità montana di allora aveva interiorizzato profondamente quali fossero i limiti e i doveri nella gestione del territorio

di

Tempo di lettura: circa 4 minuti

Lo statuto della Sambuca del 1291 costituisce uno dei documenti più importanti dell’area pistoiese e non solo, essendo tra gli statuti più antichi a livello nazionale.
La sua storia ci porta al XIII secolo, epoca di grandi avvenimenti per l’area pistoiese. Dagli scontri con Bologna, ai rissosi e cantati tumulti interni, la competizione con le città limitrofe e, soprattutto, la messa in ombra dal punto di vista politico e militare da parte di Firenze in arrivo, condussero Pistoia in un periodo denso di avvenimenti. Nel contesto appena descritto un piccolo ma tutt’altro che dimenticato territorio dell’Appennino tosco-emiliano cercava di ottenere sempre più autonomia, dandosi uno statuto autonomo nel 1291. Il testo, arrivato a noi riformato nel 1340, ci racconta come doveva essere la vita nella Sambuca del Medioevo. Tra le righe dei più di duecento punti notiamo come il ruolo del Comune di Pistoia non venga mai nominato, sebbene la sua influenza fosse ormai confermata, e di come perfino il vescovo, che formalmente deteneva il controllo giuridico del Comune, avesse visto il suo ruolo quasi completamente esautorato a favore di nuove magistrature elette dal comune stesso e da Pistoia.

Regole e paesaggio

Non solo leggi di natura giuridica e amministrativa, leggendo lo statuto il rapporto con il paesaggio e il territorio in cui il Comune era inserito risulta centrale. Saltano all’occhio le molte leggi riguardante la cura del bosco, degli alberi da frutto, e in particolare dei castagneti, sui quali vigevano regole molto chiare e perfino multe, affinché quello che era uno dei prodotti principali per le popolazioni locali, cioè la castagna e la sua farina, fosse valorizzato il più possibile.

Non era consentito il taglio di determinati alberi, come leggiamo in uno dei punti: “Chi taglia un castagno, un pero, un melo, una quercia, un noce, un salice, o altro albero da frutto deve pagare un’ammenda da 10 soldi e risarcire il danno “. Il depauperamento del bosco o il mancato sfruttamento delle risorse disponibili, quando messe a disposizioni dal comune, era punito: “Chi ottiene una quota del terreno comunale e non la lavora paga una multa di 40 soldi“. Si pongono leggi riguardanti la coltivazione e il pascolo degli animali, perfino sui tempi e sulla raccolta della legna e delle castagne: “Dopo la caduta delle ghiande ognuno ha tre giorni di tempo per andare a raccoglierle, chiedendo il permesso al Comune. Chi possiede castagneti sulla detta via deve raccogliere le castagne nelle dieci braccia adiacenti alla strada prima che vi si rechino i porci o altre bestie, sotto la pena di 5 soldi”. Tutto lascia intendere che la comunità montana avesse interiorizzato profondamente quali fossero i limiti e i doveri che riguardavano la gestione del territorio e che da esso dipendesse il loro sostentamento. In questa situazione di necessità dovuto alle condizioni del territorio, i sambucani avevano capito e accettato il fatto che fosse impossibile perseguire un’economia che non ponesse freni, e un consumo delle risorse non legato alla sostenibilità. Essi quindi allo stesso tempo sfruttavano e proteggevano il territorio in un rapporto obbligato ma reciproco di equilibrio, non sprecando niente e curando quel che avevano, accogliendo una consapevolezza che oggi dovremmo ritrovare.

Ciò che in prima battuta potrebbe suonare ovvio, rapportato ad una realtà così piccola e immersa nel paesaggio da cui dipende, non deve però trarci in inganno. Non ci è difficile trovare culture e popolazioni dimentiche della relazione tra uomo e ambiente circostante. Senza allontanarsi troppo, basti pensare alla cultura eurocentrica/ occidentale moderna, che, figlia di Aristotele e Cartesio, vede non solo una suddivisione netta tra uomo e natura, ma considera in gran parte il paesaggio un elemento da musealizzare o da sfruttare quanto più possibile. È interessante quindi chiedersi fino a che punto gli uomini dell’Appennino e in particolare della Sambuca, riflettessero (consapevolmente o no) sul rapporto tra uomo e natura, uomo e risorse del paesaggio.

Sostenibilità e cura

Molte leggi dello statuto sambucano descrivono una vita legata alla collettività, alla cura del territorio come responsabilità di tutti, ed è difficile non pensare, in tempi relativamente più moderni, all’esempio dei metati e alle veglie in compagnia. Negli articoli 89: ”Il reggimento del Comune deve far eleggere insieme agli altri ufficiali due uomini incaricati del controllo di vie ed acque e della stima dei relativi danni nel territorio di Sambuca“ e 90: “Il reggimento del Comune deve obbligare tutta la popolazione a dedicare alla manutenzione delle vie comunali tre giorni nel mese di maggio” leggiamo di come si organizzassero figure preposte alla ricognizione dello stato del territorio, e di come la cura delle strade fosse un impegno associato alla popolazione. Vedendone oggigiorno la progressiva erosione, questa relazione salta ancora più all’occhio, poiché sebbene la situazione sia molto diversa rispetto al passato, così come le necessità sono mutate, ciò che non è cambiato è il bisogno di attenzione, protezione e cura che il territorio richiede da parte di tutti i suoi abitanti.

Il paesaggio, quindi, non è semplicemente ciò che vediamo coi nostri occhi, va oltre la realtà oggettiva, e rappresenta un concetto più ampio che comprende l’ambiente intorno a noi e la sua rappresentazione. E la realtà appena descritta di Sambuca, sebbene vecchia di più di settecento anni, dovrebbe portarci a ipotizzare nuovi modelli di convivenza col territorio, facendoci riflettere sullo stato di necessità in cui lo stesso oggi versa, sull’imprescindibile simbiosi uomo-paesaggio e sulle possibili nuove relazioni con l’ambiente circostante.


La Redazione

Con il termine La Redazione si intende il lavoro più propriamente "tecnico" svolto per la revisione dei testi, la titolazione, la collocazione negli spazi definiti e con il rilievo dovuto, l'inserimento di immagini e video. I servizi pubblicati con questa dizione possono essere firmati da uno o più autori oppure non recare alcuna firma. In tutti i casi la loro pubblicazione avverrà dopo un attento lavoro redazionale.