Pane al pane  |  maggio 15, 2020

La Pinsa, antica ricetta un po’ focaccia, un po’ pizza

Ha origini antiche e il suo nome deriva dal latino pinsere (allungare). Le caratteristiche principali sono la croccantezza all'esterno, la sofficità all'interno e l'alta digeribilità. L'impasto è formato da farina di forza, di soia, di riso e lievito naturale. Chi l'acquista in un forno termina la cottura in pochi minuti a casa, sopra una griglia

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La pinsa romana

La pinsa è un prodotto il cui nome viene dal latino pinsere, cioè allungare. È di forma rotonda oppure ovale con uno spessore di circa 2 cm. Le caratteristiche principali sono la croccantezza all’esterno e la sofficità all’interno. È molto digeribile e può essere mangiata come focaccia o come pizza. Si trova nella GDO confezionata in atmosfera modificata e mantenuta a temperatura di frigorifero. L‘impasto è formato da una farina di forza, farina di soia, farina di riso e lievito naturale. Viene impastata per diversi minuti con una impastatrice di tipo a spirale aggiungendo una elevata percentuale di acqua, circa l’80 per cento, sale, olio ed una piccolissima percentuale di lievito di birra. La pasta una volta tolta dell’impastatrice viene messa dentro a dei mastelli e fatta riposare per circa 24/48 ore a 3-4 gradi.

Trascorso tale tempo si rovescia ogni martello sul tavolo ricoperto con farina di riso, poi si spezza al peso desiderato e si formano dei panetti avendo cura di non dare troppa forza. I panetti lievitano per circa 3 ore, dopodiché vengono stirati a mo’ di lingua oppure tondi od ovali.

Si infornano e si fa una precottura per circa un minuto con forno a temperatura molto alta.

Un volta raffreddati si confezionano in Atm così come fa il panificio Dolcezze Savini, panificio storico di Figline Valdarno, presso il quale lavoro.

Il cliente che acquista il prodotto termina la cottura a casa: si mette la pinsa sopra ad una griglia e si cuoce aggiungendo olio e sale (focaccia) oppure aggiungendo salsa di pomodoro (pizza).

La peculiarità principale della pinsa è la digeribilità dovuta alla lunga maturazione dell’impasto che fa sì che gli amidi vengano scomposti in zuccheri semplici facilmente digeribili dell’organismo; notare i grandi alveoli dell’impasto dovuti alla notevole idratazione e la bassissima percentuale di lievito di birra.

Cari consumatori, dovete sapere che quando andate a mangiare la pizza in pizzeria e poi durante la notte vi svegliate più volte per bere significa che avete mangiato un prodotto non maturo, cioè gli zuccheri complessi della farina non sono stati demoliti. Può darsi che l’impasto sia stato prodotto da poche ore. Non c’entra niente l’acidità del pomodoro o la freschezza della mozzarella come molti credono.


Piero Capecchi

Piero Capecchi ha respirato profumo di pane fin da bambino, nel forno dell'azienda di famiglia, a Capostrada, della quale è stato titolare dal 1979 al 2011. Da diversi anni si occupa di formazione, organizza corsi sia per professionisti sia per appassionati. Dal 2011 offre la sua consulenza alle attività produttive nell'ambito dei prodotti da forno. La sua sfida di artigiano, oggi, è produrre pane di buona qualità anche per la grande distribuzione. Presidente dei panificatori della Cna di Pistoia, è uno dei principali artefici del Consorzio del pane toscano per la lievitazione naturale, insignito quest'anno del riconoscimento Dop dall'Unione europea.