Non solo libri  |  giugno 27, 2023

“Montagne vuote”, un libro su passato, presente e futuro delle terre alte

Il volume di Marco Breschi e Maurizio Ferrari affronta il crollo demografico di queste aree a livello nazionale, con un focus sulla montagna pistoiese e Sambuca in particolare. Nel testo un’analisi delle difficoltà di vivere in queste zone e della legislazione penalizzante. E uno sguardo in avanti: se la tendenza non sarà invertita le conseguenze saranno disastrose anche per la pianura. Ma non mancano segnali incoraggianti. La presentazione giovedì 29 giugno, alle 16, nella Sala Maggiore del Palazzo comunale di Pistoia

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thumbnail of montagne vuote – locandina

Montagne vuote. ‘Homo appenninicus’ cercasi, scritto da Marco Breschi e da Maurizio Ferrari e appena pubblicato da Forum, Editrice Universitaria Udinese, è un libro sul passato, sul presente e sul futuro della montagna. Un docente universitario di Demografia come Breschi e un insegnante (e oggi anche capraio) come Ferrari, che in comune hanno l’amore per la montagna (‘Amo la Montagna’ è anche il nome dell’associazione che Ferrari ha fondato) e il legame profondo con Sambuca, nel pistoiese, si sono uniti per scrivere quella che potrebbe essere definita “l’ultima chiamata per la montagna”.

Il crollo demografico a livello nazionale

Ma procediamo per gradi. Il passato si basa su dati certi: e sono, soprattutto, i dati relativi all’andamento demografico dell’Italia, delle zone alte e della montagna pistoiese, in un percorso che dallo sguardo nazionale passa a quello riservato a tutte le aree montane del nostro paese per poi fissarsi sui Comuni montani del territorio pistoiese, riservando un’attenzione particolare a Sambuca. In Italia il calo della popolazione è iniziato nel 2014 e, secondo i dati Istat, si calcola che il 1° gennaio 2070 gli attuali 59,2 milioni di abitanti della penisola diventeranno 47,6, con una perdita di 11,6 milioni. Il crollo demografico, che sarà particolarmente forte al sud (con la perdita di 1/3 della popolazione nei prossimi cinquant’anni) porterà alla «desertificazione demografica» dei Comuni con pochi abitanti. Tra questi, in particolare, quelli montani. Con una significativa eccezione, rappresentata dal Trentino-Alto Adige, che non ha perso popolazione negli ultimi anni e che non la perderà – se immutate resteranno tutte le situazioni che determinano l’andamento demografico – nei prossimi cinquant’anni, a dimostrazione che «montagna non è […] sinonimo di crisi demografica e spopolamento».

La montagna pistoiese sempre più “vecchia”

Sulla montagna pistoiese, dove a metà del XVI secolo viveva 1 pistoiese ogni 3 e nel 2010 viveva 1 pistoiese ogni 10, e dove tra il 1745 e il 1951 la popolazione è aumentata (di circa 13.000 unità), è iniziato «un crollo drammatico» a partire dal secondo dopoguerra, con la perdita del 40% dei residenti tra 1962 e 2020, solo in parte compensata dall’arrivo di cittadini stranieri. Ancora un ultimo dato, tratto dai molti che sono presenti in Montagne vuote: tra il 2011 e il 2020, in montagna, 1.000 abitanti mettono al mondo solamente 5 figli all’anno. Conseguenza: gli anziani diventeranno ben presto 4 volte più numerosi dei giovani. «La montagna – commentano Breschi e Ferrari – è, a tutti gli effetti, un mondo di vecchi».

Costi e svantaggi del vivere in montagna

Il desolante presente non è rappresentato soltanto dai dati certi riguardanti l’andamento demografico, ma anche da una analisi sulle condizioni che deve affrontare chi, ancora oggi, sceglie di vivere in montagna, e sulla legislazione che riguarda le aree alte. I “costi” e gli “svantaggi” di chi vive in montagna, elencano gli autori, sono legati, ad esempio, al settore strategico della salute (tempi e qualità dei soccorsi, vicinanza e raggiungibilità dei presidi sanitari), alle scuole (spesso lontane), agli elevati costi per il riscaldamento. Le leggi esistenti – aggiungono Breschi e Ferrari – sembrano tutelare tutti tranne l’homo appenninicus, sono scritte da chi non conosce la montagna, prevedono regole assurde: chi costruisce una capanna per la legna è considerato alla stregua di un palazzinaro, le infestanti robinie possono essere abbattute all’età di 8 anni e cioè quando, nel pieno vigore vegetativo, genereranno un elevatissimo numero di ricacci, le opere di trasformazione parziale del bosco e di rimboschimento compensativo sono soggette al pagamento di un deposito cauzionale tra i 3.000 e i 5.000 euro recuperabile dopo 3 o 5 anni («Un gran bell’affare per il malcapitato e volenteroso proprietario» che voglia ripristinare un castagneto da frutto invaso da robinie, è il commento ironico a quest’ultima norma del Regolamento forestale).

«La situazione, se non ancora certezza, tra chi vive in montagna è che le possibilità di sopravvivenza stiano scemando. Nel più assordante silenzio è in corso la più assurda delle eutanasie omissive. Le terre alte e marginali con il loro scarso valore intrinseco sono ritenute pressoché improduttive e fonte anzi di oneri per la comunità e, pertanto, la società non facendo nulla sembra essersi arrogata il diritto di ‘sopprimerle’ mentre l’urlo della gente di montagna si perde nel vuoto».

La riflessione sul futuro

Questo passaggio, nella penultima pagina del libro, rappresenta per certi aspetti il culmine, tragico, della disamina, ma anche l’appiglio per una riflessione sul futuro, che è svolta a più riprese nel corso del volume. Se niente verrà fatto («non facendo nulla») il destino della montagna è segnato: sarà un deserto, con enormi e disastrose conseguenze anche per la pianura e per l’homo metropolitanus. Ma qualche segnale di speranza c’è, e gli autori (che si ascrivono al partito degli ottimisti: si legga la pagina 77) non mancano di evidenziarli. Proviamo a riassumere. Ci sono, per iniziare, tutte le “potenzialità” della montagna, che però – fino ad oggi – non sono bastate per l’avvio di politiche serie che la riguardano: la montagna come depositaria di elementi fondamentali per la qualità della vita (qualità delle acque, qualità dell’aria e ossigenazione verde), la montagna con il suo patrimonio storico e culturale, la montagna con i suoi valori morali, incarnati dalla «atavica solidarietà, dignità, resistenza, conoscenza» dell’homo appenninicus, la montagna come valore economico (per ciò che potrebbe produrre). Ci sono poi i segnali (mondiali, prima ancora che locali) che indicano la necessità e il bisogno di modificare stile di vita, riscoprendo valori più profondi, dedicando più attenzione al benessere fisico e mentale, ricercando – nella natura – la carica rigenerante che manca sempre di più allo sfinito homo metropolitanus. All’ambito dei segnali, per quanto «flebili», di speranza, vanno inoltre ascritti la riscoperta del ruolo, anche economico, della prossimità, il diffondersi della filosofia “yolo” (you only live once), quella che gli studiosi già catalogano come Great Resignation, e cioè la grande dismissione volontaria di massa da tutti i contratti di lavoro, anche quelli a tempo determinato, che è il segnale più chiaro della necessità, sempre più diffusa, di imboccare una strada diversa. Questa sensibilità (altra scintilla luminosa) si sta diffondendo soprattutto nei giovani: e gli esempi di coppie che hanno scelto la strada della montagna per organizzare la propria vita su basi nuove non sono numerosi ma esistono. E ancora: non mancano le politiche concrete che potrebbero essere adottate per la montagna e regioni come il Trentino Alto-Adige, l’Emilia Romagna e il Piemonte, lo hanno dimostrato e lo stanno dimostrando. Le forme anche economiche di compensazione per chi vive in montagna, il potenziamento della tecnologia digitale per consentire di lavorare stando sui monti, una politica riguardante l’inserimento nelle aree alte di immigrati sono solo alcuni esempi di cose concrete e fattibili.

Conclusioni: non c’è più tempo, bisogna agire

Perché – e qui concludiamo, con la speranza che questo libro importante possa essere letto da chi ama la montagna ma soprattutto da chi ricopre incarichi istituzionali e governa territori e regioni – il processo che sta portando alla desertificazione non è irreversibile. «Crisi», ricordano Breschi e Ferrari, significa etimologicamente «scelta», «decisione». Ciò che accadrà senza fare scelte risulta chiaro e certo. Ma qualcosa di diverso potrebbe accadere. «Se per qualche miracolo la montagna pistoiese fosse in grado di attrarre, da oggi al 2070, circa 100 nuovi cittadini ogni anno, la popolazione resterebbe pressoché stabile». La parola passa alla politica. Con un avvertimento, che è anche un grido: non c’è più tempo. Questa è davvero l’ultima chiamata.

La presentazione del libro

Il libro sarà presentato dopodomani, giovedì 29 giugno, alle 14, nella Sala Maggiore del Comune di Pistoia. Ne parleranno con gli autori, il sindaco Alessandro Tomasi e Claudio Rosati.

Il libro di Marco Breschi e da Maurizio Ferrari, Montagne vuote. ‘Homo appenninicus’ cercasi, Udine, Forum Editrice Universitaria Udinese, 2023, pp. 113, euro 16.


La Redazione

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