Personaggi e Interpreti  |  febbraio 26, 2023

L’Abate pistoiese Giuseppe Tigri, il lotto e il gioco delle galline

Nacque a Pistoia nel 1806, sacerdote, fu insegnante alle medie e poi al liceo Forteguerri. Come scrittore si dedicò prevalentemente alla sua città e alle tradizioni popolari. Nel libro "Contro i pregiudizi popolari, le superstizioni, le allucinazioni e le ubbie degli antichi" mostra la sua modernità. I concetti che esprime sono gli stessi di oggi: più istruzione, più cultura, valore della scienza, attenzione alle false immagini di benessere, lotta alla ludopatia

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Disegno di Francesca Marchetti

IL PISTOIESE GIUSEPPE TIGRI

Giuseppe Tigri nacque a Pistoia il 22 dicembre 1806. Ordinato sacerdote fu insegnante nelle scuole medie e successivamente professore del liceo Forteguerri.

La sua opera di scrittore fu prevalentemente dedicata allo studio della città natale, del territorio circostante e delle tradizioni popolari.

Molto ha scritto sulla nostra cara Montagna Pistoiese: Selvaggia de’ Vergiolesi. Racconto storico (1870), Le selve della montagna pistoiese (1844), Il montanino toscano volontario alla guerra della indipendenza italiana del 1859. Racconto popolare (1860), Guida della montagna pistoiese (1875).

Morì il 9 marzo 1882 a Pistoia.

In questo articolo vi parlerò di una storia, forse vera o forse no, raccontata dal Tigri nel suo libro “Contro i pregiudizi popolari, le superstizioni, le allucinazioni e le ubbie degli antichi” pubblicato nel 1870.

PREFAZIONE DEL LIBRO

Nella prefazione Giuseppe Tigri sottolinea subito quello che sarà il percorso del libro, affermando che l’uomo tende ad abusare delle proprie facoltà, rinnegando talvolta la ragione e il buon senso, lasciandosi sedurre da false immagini di bene. Mi viene da dire che passati 153 anni le cose non sono cambiate di una virgola, l’uomo di oggi ha le stesse fragilità dell’uomo del passato, forse ancor di più! Gli preme inoltre specificare che questo libro è stato scritto soprattutto per i giovani solitamente più ignari e inconsapevoli, perché stiano alla larga dai falsi profeti e dai pregiudizi.

Pregiudizi che così definisce: “Opinioni temerarie ed erronee, conosciute e propagate con leggerezza; credute poi e confermate con ostinazione, per ignoranza e per male arti; che la scienza però oggimai può svelare in tutta la loro falsità e nei danni che ne derivano”.

Il Tigri afferma inoltre che le false idee sono spesso frutto di una scarsa istruzione e che i pregiudizi vanno combattuti e aggrediti. Anche se alcuni sono innocui, i più recano un vero danno, quindi lo scopo del libro è “[…] educare al retto senso le giovani menti, e quelle in particolare del minuto popolo, e degli agricoltori”.

Il pensiero del Tigri è, a mio parere, di una modernità cristallina, i concetti che esprime e gli obiettivi che si prefigge sono gli stessi dell’uomo del 2023: più istruzione, più cultura, valore della scienza, attenzione alle false immagini di benessere, lotta alla ludopatia. Una vasta platea di uomini e donne continua però a essere aggrappata al famoso detto di Eduardo De Filippo “essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male”.

IL LOTTO E IL GIOCO DELLE GALLINE

Parlo di ludopatia perché  Giuseppe Tigri, già a metà del 1800, conosceva bene gli effetti perversi del gioco del lotto (quello ufficiale e quello clandestino). Direi che anche in questo caso le problematiche di allora sono sostanzialmente identiche a quelle di oggi e con una breve storia, (forse vera o forse di fantasia) il Tigri cerca di mettere in guardia il lettore da facili guadagni.

La storia ha come protagoniste due donne, la giovane Evelina e la vecchia Maura, scritta nel capitolo IV dal titolo: “Pregiudizi sul giuoco”.

Il primo paragrafo inizia con un ammonimento: “Chi dal lotto spera soccorso, mette il pelo come un orso”. Il significato di questo proverbio è che a furia di spendere i soldi, confidando in una grossa vincita, si rischia di rimanere in mutande e quindi per scaldarsi bisogna farsi crescere il pelo come gli orsi.

Dopo aver fatto alcuni cenni storici sulla nascita del lotto, critica in maniera feroce quello che è divenuto “il giuoco del Governo” soprattutto nel calcolo delle probabilità. Infatti per poter indovinare un ambo una volta si rischia di perdere 399 volte e se si continua succede che “il giuocatore, oltre a diventare ubbioso, pregiudicato ed a perdere l’educazione se l’ebbe, non avrà più rispetto alla sventura dei fratelli, nè dolore per quella dei figli. La stessa religione servirà al giuocatore come un vile strumento superstizioso per conseguire i suoi fini”.

La giovane Evelina e la vecchia Maura

Questa storia narra le vicende di una educata e onesta ragazza di 18 anni che, rimasta orfana e con pochi mezzi per vivere, decise di svolgere l’attività di cameriera presso una famiglia benestante della sua stessa città (probabilmente Pistoia). Evelina, di buona indole e gran lavoratrice, si fece subito apprezzare e in quella famiglia trovò sollievo e comprensione.

Anche una certa Maura frequentava quella casa, per dare una mano a Evelina. Vecchia, scaltra e intrigante intuì subito le debolezze della giovane e iniziò il suo percorso di manipolazione tipico delle persone cattive.

Un giorno la giovane Evelina raccontò a Maura il suo disagio economico e a quelle confidenze la vecchia le rispose:”O perchè non tenti la sorte anche tu, come le altre, e come fo io?”. “La sorte? Sarebbe a dire?” rispose Evelina. E l’altra: “La sorte, s’intende , al giuoco del lotto”. “Sta zitta, Maura, per carità! Con questo nome mi fai rabbrividire!.

Evelina le fece, a questo punto, delle ulteriori confidenze raccontando di come il gioco del lotto era stata la rovina della sua famiglia quando suo padre, ostinatosi a giocare sul numero 65 che non voleva uscire, si ridusse a vendere la casa e a impegnare persino le lenzuola. Ridotte all’estrema miseria sua mamma morì di dolore e il suo babbo morì straziato dal rimorso.

Non passò molto tempo quando la vecchia Maura le disse che aveva trovato un altro modo per raggranellare qualche soldo. Ed Evelina incuriosita: “Che cos’è? Dimmi un poco?”. E la vecchia rispose: “Non si tratta mica di andare al botteghino, al Banco regio a giuocare; me ne vergognerei!.

“Oh dunque”, proseguì Evelina, “che giuoco si chiama codesto?”. E l’altra: “Comunemente lo dicono delle galline […..] e bada, posso dirti, che a pagare non tardano un minuto […..] con solo 10 centesimi puoi giuocare due numeri, e se ti vengono, guadagni subito 20 lire. Giuocando poi su tre numeri 20 centesimi e venendo tutti e tre si prende 250 lire”.

Evelina non sapeva che questo gioco delle galline (chiamato così perché all’inizio venivano allottate proprio questi simpatici volatili) fosse in realtà un gioco clandestino dove venivano commessi i più gravi e vergognosi brogli. Fu convinta dalla vecchia Maura a darle 15 centesimi per tentare fortuna. Passano pochi giorni: “Hai vinto un bell’ambo! Lo vedi eh! Se il verso te l’ho trovato per arricchire? Tutti mi soglion dare un po’ di mancia, quando porto loro la vincita”.

Evelina imbambolata da questi discorsi le dette 40 centesimi di mancia e altri soldi per altre giocate, nel frattempo il Governo vegliava su queste frodi arrestando di tanto in tanto gli allibratori clandestini.

Evelina percepiva nettamente che stava facendo una cosa errata, ma invasata e presa dalla cieca passione giocava e raddoppiava cosicché suoi piccoli risparmi se ne andarono al diavolo.

Poco tempo dopo, Evelina conobbe un uomo, di professione calzolaio, che voleva sposarla, ma lei non aveva una dote. Intervenne ancora la malefica Maura che le consigliò di rischiare cifre più grosse per fare una vincita che le assicurasse la dote, e Evelina presa dalla doppia passione, dell’amore e del gioco, divenne insensibile a tutto pur di raggiungere i suoi scopi. La vecchia Maura, che sulle giocate ci prendeva la percentuale, le consigliò:”[…] i numeri determinati, consultata la cabala, devono assolutamente venire, ci vuole una somma e bisogna trovarla”.

Per trovare questa somma la povera Evelina fu costretta a rubare, nel cofanetto delle gioie della sua padrona, un bellissimo anello di brillanti che consegnò alla Maura dicendole:”Va, impegnalo, e giuoca; giuoca più che tu puoi”.

Scoperto il furto, nonostante le suppliche di perdono e carità, fu presa la decisione di cacciarla di casa. Evelina, coprendosi il volto con un fazzoletto per la vergogna, si ritirò nella sua camera dicendo fra sé e sé: “Ora sono una ladra! E dimani il tribunale mi punirà!”.

La mattina successiva si sentì in una parte della casa una gran puzza di carbone, Evelina era morta asfissiata e giaceva immobile su un materasso, si era tolta la vita.

INSEGNAMENTI E GIOCO RESPONSABILE

Con questa storia, l’abate pistoiese Giuseppe Tigri ha sostanzialmente messo in guardia dai vizi, che lui stesso ha concentrato nel proverbio “Chi d’un vizio vuol guarire, preghi Dio di non l’avere”. E’ il punto di vista di un sacerdote di metà ‘800, non poteva essere altrimenti. Per quanto mi riguarda, questa storia ha solo l’intento di informare, senza moralismo e bigottismo, anche perché come diceva Seneca “Abbiamo davanti agli occhi i vizi degli altri, mentre i nostri ci stanno dietro”.

Quello che invece ritengo utile è il gioco responsabile e per fare in modo che il gioco resti sempre un piacere bisognerebbe seguire delle regole elementari:

Non superare i limiti di gioco che si sono impostati
Evitare di spendere al gioco il denaro destinato ad altri scopi
Non giocare per rifarsi delle perdite
Considerare che il denaro speso è il prezzo del divertimento.


La Redazione

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