La ricerca  |  ottobre 22, 2022

Pietro Leopoldo e la legge che dette il via al taglio dei boschi

Il 24 ottobre del 1780 furono aboliti i regolamenti del governo mediceo che proibivano il taglio: i possessori ebbero il diritto di disboscare i loro fondi per destinarli a coltivazioni più intensive. Furono pochi i sostenitori della legge ma è indubbio il risultato positivo del disboscamento; sotto il governo mediceo la Toscana era inselvatichita di boscaglie disordinate, più dannose che utili. Quello che è mancato nell'applicazione di quelle disposizioni furono controlli efficaci per evitare gli abusi. Per ritrovare un equilibrio si dovrà aspettare il 1877 ed una nuova legge forestale

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Il Granduca Pietro Leopoldo

PIETRO LEOPOLDO D’ASBURGO

BREVI CENNI BIOGRAFICI

Leopoldo II d’Asburgo-Lorena è stato Granduca di Toscana con il nome di Pietro Leopoldo I dal 1765 al 1790. Nato a Vienna nel 1747, morì improvvisamente dopo una brevissima malattia a soli 45 anni.

Iniziò da subito un programma di riforme che portarono il Granducato di Toscana a essere uno Stato all’avanguardia sotto molti aspetti.

Chiaro esempio di “sovrano illuminato” estinse le vecchie ripartizioni feudali, avviò una politica liberista e fisiocratica e liquidò le corporazioni di origine medievale.

Introdusse una nuova tariffa doganale introducendo dazi protettivi, pensò a un piano di eliminazione del debito pubblico, riformò certi aspetti della legislazione ma la riforma più importante fu l’abolizione della tortura e della pena di morte grazie al varo del nuovo codice penale del 1786.

La Toscana sarà quindi il primo Stato nel mondo ad abolire la pena di morte.

LA VIA PISTOIA MODENA DETTA STRADA DEL GRANDUCA

Prima di entrare nel dettaglio della Legge del 24 ottobre 1780 in materia boschiva ritengo utile accennare a un’opera, da molti considerata ciclopica, eseguita nella nostra montagna.

Pietro Leopoldo aveva un sogno: collegare Pistoia con Modena, allora capitale dell’omonimo Ducato, per poter poi raggiungere Vienna passando solo nei territori governati direttamente o indirettamente dagli Asburgo-Lorena.

Mentre i Medici considerarono l’impraticabilità delle vie appenniniche come una garanzia difensiva con Pietro Leopoldo questa visione cambiò radicalmente aprendo la regione ai collegamenti fra Stati.

Per realizzare questo sogno si affidò a Leonardo Ximenes, il miglior ingegnere del periodo. Lo Ximenes disegnò un tracciato che sfruttava l’andamento dei torrenti e delle valli seguendo anche il tracciato della vecchia mulattiera. Furono ideati tornanti, fu costruito il ponte sul torrente Sestaione, non furono lesinate le costruzioni di fonti, indispensabili sia per gli uomini che per gli animali. Innumerovoli furono le aree di sosta e la capillare segnaletica indicava il punto esatto del percorso.

Il completamento della strada assicurò uno sviluppo a questa area montuosa, sorsero ferriere, impianti tessili, fabbriche di armi e fu favorito il commercio.

LA LEGGE 24 OTTOBRE 1780

Status quo ante

Le famiglie della montagna vivevano prevalentemnte concentrate in gruppi ristretti di case in villaggi e paesi ma il raggio d’azione della loro attività quotidiana spaziava fino ai boschi.

La figura tipica è infatti quella del montanaro che è insieme un po’ contadino e un po’ pastore, ma anche taglialegna, carbonaio, artigiano e cacciatore. Vicino al villaggio ci sono gli orti e qualche vigna fin dove il clima lo consente e lungo le valli si coltivano un po’ di cereali. Subito intorno però ci sono appunto i boschi che rappresentano forse la ricchezza principale. E’ qui che si raccolgono le castagne, le ghiande, i funghi e i frutti del sottobosco. Più in alto ci sono ci sono i prati dove in estate pascolano le greggi della comunità.

Le foreste appenniniche erano protette dalle severissime leggi medicee. Multe e pene corporali erano previste per i trasgressori.

L’opinione dell’entourage di Leopoldo

In seguito alla supplica degli abitanti della montagna per ottenere una moderazione nelle leggi del taglio boschivo, Leopoldo visitò personalmente quei luoghi nel luglio del 1767 e incaricò un menbro del suo staff a prendere delle esatte informazioni sullo stato della montagna.

Si racconta, su “Saggio d’Agricoltura Pratica Toscana” anche di un aneddoto che lo vide protagonista:”Quelli che dovevano guidare il Gran Duca bene istruiti, più volte gli fecero lasciare la strada migliore, e lo fecerono inoltrare fra i faggi; di più a vista sua fecero inforcare fra dei folti faggi un Asino, che portava la provvisione per la di Lui tavola campereccia, e non potendo passare per la soma, furono obbligati a dividerla, e farla portare da degli uomini. Esso dunque che aveva udito esser quella la migliore strada gli riconvenne, che vi lasciassero stare nel mezzo degli imbarazzi di tal natura. Al che gli risposero che il levare qualcheduno di quei faggi poteva portar la rovina delle loro famiglie per le pene che vi erano a tagliarli. Cammin facendo per la medesima strada, trovò una turma di carbonaj, che gettatisi in ginocchioni si messero ad urlar fame, dicendogli, che null’altro si richiedeva per sfamarli, che la facoltà di tagliare quei faggi, che piuttosto che lasciarne disporre dai proprietari per servire alla loro sussistenza, ed al carbone per la capitale, si mandava sempre delle leggi per conservarli intatti, sebbene non producessero in fine altro effetto che della vecchiezza e marciume”.

Il lavoro commissionato fu preso in carica da un certo Miller il quale, dopo aver attentamente studiato la coltivazione dei castagni, l’allevamento del bestiame pecorino, l’industria da promuoversi nella montagna pistoiese, arrivò alla conclusione di una generalizzata situazione di decadenza e profondo impoverimento della montagna con una costante diminuizione delle castagne e del traffico del bestiame.

Il problema che emerse era soprattutto dare una risposta alle questioni sollevate dalla popolazione in tema di taglio delle piante in modo da aumentare la coltivazione dei terreni per patate e lini e crescere il numero dei gelsi e di altri alberi da frutto.

Nell’entourage del Granduca prevalse quindi l’opinione che occorresse dare una maggiore libertà di taglio. Era giunta l’ora di revocare le leggi medicee e introdurre una nuova normativa in tema boschiva. Nacque così la legge del 24 ottobre 1780.

La legge

La legge del 24 ottobre 1780 abolì i regolamenti boschivi del governo mediceo proibente il taglio dei boschi e restituì ai possessori il diritto di disboscare i loro fondi per destinarli a coltivazioni più intensive. La ratio della legge era anche che non si può vietare che i montanari disboschino. “Basta bene che non lavorino il terreno con l’aratro e con la vanga, che non seminino grano o altre biade; che non arrechino con fuoco e ferro, e non facciano fornelli o altri abbruciaticci i quali facilitano il trasporto del terreno”. (art. 2, e 4).

La legge permise dunque non solo di tagliare i boschi ma anche quello di ridurre il terreno a uso di pascolo e la terra spoglia sarebbe dovuta rimanere a prato o accogliere nuovi alberelli.

Molti proprietari si affrettarono così a tagliare i loro boschi per vendere il legname e molti altri, contravvenendo alle disposizioni normative e certi che le trasgressioni fossero condonate, fertilizzarono i terreni con il fuoco, li ararono e seminarono anche con colture proibite.

Praticamente con la mania di tutto riformare, si riformò tutto non prendendo in considerazione, in questo caso, gli effetti a cui poteva dar luogo questa legge. Perchè era molto ma molto difficile che un proprietario si assoggettasse di sua spontanea volontà ad eseguire regole date dalla silvicultura e della idraulica rurale; chi le conosceva a quei tempi queste discipline?

Infatti dopo alcuni anni la terra iniziò a mostrare i primi segni dell’erosione lasciando spazio alla nuda pietra. Iniziarono anche più frequentemente fenomeni di esondazione causando gravi e irreparabili danni.

UNA LEGGE SBAGLIATA?

Forse più di ogni altra considerazione o critica è la relazione nel 1860, del politico fiorentino Bettino Ricasoli, detto il barone di ferro, a darci un quadro degli effetti della legge del 24 ottobre 1780:”Dire che detta libertà concessa con poche eccezioni, di tagliare in ogni bosco ed a libito del proprietario ogni specie di boschi, siasi sempre usato nei limiti della ragione economica, sarebbe dare alla previdenza dei toscani una lode immeritata. Pur troppo anche tra noi appena sciolti i vincoli, si tagliò senza riguardo; ove non bastò la scure si usò il fuoco e si ridusse a sementa terreni che la natura aveva fatto boschivi. Da ciò derivò che molte pendici dei nostri monti, che andavano rivestite di rigogliose selve si ridussero sterili macigni, dilavati di ogni residuo di terra vegetale e le acque di molti torrenti non più rattenuti da naturali ostacoli, scesero rovinose più spesso a devastare le valli”.

I sostenitori della legge, in realtà pochi, individuarono invece il fine positivo del disboscamento perché sotto il governo mediceo la Toscana era ingombra e inselvatichita di boscaglie disordinate fino al mare e perciò più dannose che utili.

Quello che è mancato nell’applicazione della legge è a mio parere il mancato avvalersi di efficaci mezzi per ottenere che non ne fosse fatto abuso.

Si dovrà aspettare il 1877 quando la Stato Italiano promulga una nuova legge forestale (R.D.L. n. 3967) che “vincola le pendici dei monti fino al limite superiore della zona del castagno e quelle aree che, una volta disboscate o dissodate, possano provocare smottamenti, frane o valanghe”.

Per saperne di più

Giornale di economia Forestale. Adolfo di Berenger
Saggio di un Trattato teorico pratico sul sistema livellare. Girolamo Poggi
L’Italia Agricola Industriale
Saggio d’Agricoltura Pratica Toscana del senatore m.b.t.
Guida per il Coltivatore di Vivai Boschivi. Adolfo Berenger
Giornale Agrario Toscano. Lambruschini, De Ricci, Ridolfi
Aucupio Uccelli e agricoltura -Legge sulla caccia


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