Editoriale  |  dicembre 19, 2022

“Centri” e aree marginali: due mondi che non possono restare così lontani

L'allarme dell'ISTAT: tra 70 anni le zone montane nazionali, con sola eccezione del Trentino Alto Adige, saranno un deserto demografico. Molti borghi e paesi cesseranno di vivere. Il Manifesto per riabilitare l'Italia del 2020 indica un percorso nuovo, più attento alle esigenze dei territori periferici. Servono politiche territoriali inclusive che avvicinino “centri” e “periferie” per dare un futuro a entrambe

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Gavinana. Nella homepage scorcio di Piteglio (foto di Andrea Piazza)

E’ incontestabile che da più di mezzo secolo i “Centri”, politico-economici e istituzionali in genere, non sappiano o non riescano più a gestire i territori marginali e soprattutto quelli montani.

La prova del nove è la situazione attuale delle aree interne che, tolte le narrazioni edulcorate dei media o le versioni di parte dei tanti imbonitori politici che ci circondano, parla chiaro, almeno a chi è intellettualmente onesto. Neppure servono le previsioni a lunga distanza dell’ E se Atene piange, Sparta ha poco da ridere, perché la Montagna pistoiese seguirà la medesima e amara sorte.

Si calcola che tra mezzo secolo gli abitanti delle terre alte nazionali saranno molto meno della metà rispetto a quelli attuali e che molti paesi e borghi cesseranno di vivere, mentre altri saranno privati definitivamente dei loro servizi essenziali.

Tutto questo nell’indifferenza dei “centri” politico-istituzionali privi, a mio parere, di statisti, di una visione gestionale di lunga prospettiva e ormai incapaci di interpretare le esigenze delle più lontane periferie (ma, direi, anche di quelle più prossime!). E, aggiungo, prigionieri di un clima di lotta al coltello tra fazioni che ricorda i contrasti intestini dell’età comunale, il cui esito fu la nascita di Signorie e Principati anche sanguinari.

Il Manifesto per riabilitare l’Italia

Per fortuna qualche intellettuale illuminato comincia a porsi il problema, che peraltro noi, dal nostro microscopico osservatorio, solleviamo inascoltati da quasi un decennio: bisogna cambiare tutto, modificare l’approccio politico e culturale, pensare all’oggi con la logica del domani. Insomma, non si può più accettare che in nome di un metropolitanismo esasperato e di un ecologismo ideologico si perdano di vista ambienti e territori marginali che sicuramente in futuro avranno un’utilità “vitale”, per la salute fisica e mentale di ognuno di noi, ma anche per il PIL del nostro poco saggio Paese.

Il Manifesto per riabilitare l’Italia, pubblicato nel 2020, con l’aggiunta di parole chiave e commenti a cura di studiosi di diverse discipline, solleva il problema dello spopolamento delle nostre aree montane ed indica alla politica un percorso nuovo e più attento alle esigenze dei territori periferici.

Più in particolare vi si afferma che la politica stessa ha progressivamente abbandonato la marginalità, ha riservato a chi vive in quei territori solo ricette assistenzialistiche ed ha concentrato le proprie attenzioni sulle aree economicamente più“virtuose”; insomma i “centri” hanno dato alle periferie solo le briciole e non hanno creato le condizioni per una loro rivitalizzazione (ma gli articoli 3-4-5 della nostra Carta Costituzionale, non dicono qualcos’altro?).

E nemmeno sembra aver scosso le coscienze un dato dell’Agenzia delle Entrate, secondo cui, dal 2011 al 2019, gli edifici collabenti (cioè quelli ridotti ormai a macerie) sono aumentati del 94% e risultano ubicati quasi esclusivamente nelle zone montane e marginali, depauperando le già dissanguate casse di comuni e comunelli lontani dalle affollate metropoli.

Inoltre il libro contiene, fra molto altro, un’ amara riflessione, che è la seguente: col passar del tempo i concetti di “locale” e “nazionale” si sono sempre più allontanati uno dall’altro ed hanno portato ad evidenti disuguaglianze e ad emarginazioni territoriali, a causa della progressiva affermazione di una burocrazia dirompente e paralizzante.

E nella nostra Montagna?

Anche per la nostra Montagna pistoiese i dati demografici ISTAT sono inoppugnabili: nel 2070, se non si prenderanno provvedimenti, gli abitanti saranno meno della metà rispetto ad oggi e ad una desertificazione demografica corrisponderà un generalizzato abbandono del territorio e dell’ambiente, con conseguenze deleterie anche per le aree metropolitane.

Allora mi chiedo, cui prodest , come dicevano i nostri antenati romani, che avevano i piedi per terra? A chi giova lo spopolamento della montagna? Chi ne trarrà vantaggio? A chi servirà una foresta amazzonica ingestibile attorno alla grande Piana?

Poniamoci alcune domande

Cosa ne ricaveranno i Vivaisti, gli orticoltori e gli allevatori pistoiesi dalla discesa di ungulati e ogni tipo di animali che già minacciano e ancor più minacceranno le loro aziende se la Montagna stessa non sarà presidiata e gestita? Dove andranno a funghi i cittadini metropolitani se i guardiani della Montagna, intendo agricoltori, selvicoltori, piccoli proprietari di campi e boschi, non ci saranno più a curare il territorio? E gli escursionisti, come faranno a percorrere sentieri e vie antiche se le Associazioni di volontariato, quelle più piccole, ormai composte solo da membri di età media compresa tra 60 e 80 anni e già ora colpite da vari adempimenti burocratici, non avranno ricambi generazionali e non provvederanno più alla manutenzione degli stessi? E ancora, quante abitazioni saranno abbandonate e collasseranno e quanti Comuni andranno incontro al dissesto, privi di residenti e dei relativi introiti? E poi, le amministrazioni provinciali, locali e regionali quanti costi avranno per le emergenze ambientali, per la gestione delle strade, dei reticoli idraulici, per frane, smottamenti ecc, senza l’apporto e la sorveglianza dei montanini? Per non parlare della Sanità e dei servizi alla persona, già ora in gravi difficoltà (basta guardare alla attuale situazione dei medici di base , quassù da noi).

Come si fa a non porsi queste domande, quando tutti gli indicatori, anche quelli scientificamente più affidabili, portano in un’unica direzione?

La logica dell’hic et nunc, cioè quella di guardarsi soltanto fra i piedi per non inciampare non conduce da nessuna parte, a meno che non si voglia fare come i lemming, cioè quei piccoli roditori artici che, secondo un credenza popolare, si aggregano in grandi gruppi e si buttano in mare credendo di far bene e poi muoiono affogati.

Facciamo, allora, politiche territoriali inclusive che avvicinino “centri” e “periferie”, perché pensare oggi alle marginalità significa proteggere un domani anche gli stessi centri, e perché il futuro, secondo il mio modesto parere, sarà sempre più all’insegna della Prossimità e del rilancio della Montagna.


Maurizio Ferrari

Maurizio Ferrari, sambucano di origine, ha insegnato Lettere per 38 anni nelle Scuole superiori pistoiesi. Ora è imprenditore agricolo e si sta impegnando nella promozione e nel rilancio del territorio appenninico come Presidente dell'Associazione "Amo la montagna APS" che si è costituita nel 2013 e che ha sede a Castello di Cireglio.Ha collaborato per 25 anni alla rivista "Vita in Campagna", del gruppo "Informatore Agrario". Recentemente ha pubblicato alcune raccolte di racconti ispirati alla vita quotidiana di Sambuca, dal titolo :"Dieci racconti sambucani"; "La mia Sambuga" e "Cuori d'ommeni e di animali", nonché una favola per bambini, "La magìa della valle dimenticata" illustrata dagli alunni della scuola elementare "P.Petrocchi " di CIreglio (Pistoia)