Ritornare al senso originario delle parole è un esercizio utile per capire di cosa stiamo parlando nei più abusati argomenti di conversazione.
Così vale anche per la parola emergenza, tanto frequente nel panorama dialettico italico di questi ultimi anni.
Emergere significa etimologicamente “venir a galla”, “venir fuori” e questo significato bisogna tenere a mente quando ci vengono proposte come catastrofi delle situazioni ,spesso meteorologiche, che avrebbero un impatto infinitamente minore se si mettesse mano alla prevenzione, una parola, assai meno usata, che significa “venir prima”, “fare prima”.
La litania delle allerte
Sono ormai 50 anni e più che in ogni stagione dell’anno si grida ai disastri, sia che si chiamino bombe d’acqua, frane, alluvioni, siccità, incendi, esondazioni, erosioni e via dicendo.
Quindi si può dire che viviamo in un clima di emergenza perenne e , conseguentemente, in una condizione di perturbazione psicologica di massa, alimentata da mezzi di informazione catastrofisti e soprattutto da una gestione sciagurata del territorio e degli ambienti urbanizzati.
Qualche esempio:La grande siccità
Subito viene in mente l’attuale grande siccità.
L’anno in corso è stato definito ormai da tutti gli esperti come uno degli anni più siccitosi di sempre e in effetti la quantità di precipitazioni sui nostri territori è stata di gran lunga inferiore alla norma.
Tuttavia questa emergenza è stata enormemente amplificata da varie inadempienze strutturali.
Intanto la condizione “colabrodo” degli acquedotti, che risalgono in molti casi ad un secolo fa e che vengono continuamente riparati a pezzi e bocconi senza che la rete ne tragga vantaggi.
Allora in questi ultimi mesi abbiamo assistito ad un via vai continuo di operatori dell’Azienda che qui da noi gestisce l’erogazione dell’acqua, i quali si sono affannati a tappar buchi un po’ dovunque e che in non pochi casi sono stati costretti a ricorrere ad autobotti per riempire gli ormai esangui depositi di acqua potabile.
Oltre a questo aspetto c’è l’inapplicazione assoluta della politica dei piccoli e piccolissimi invasi, tanto propagandata nei salotti politici ma di fatto impedita da vincoli di vario tipo.
Eppure la nostra Montagna è ricca di acqua di ottima qualità e questo lo sanno le aziende metropolitane che ne usano a dismisura.
La stagione degli incendi
Ogni estate, compresa quella in corso, vede una proliferazione abnorme di incendi , non certo dovuti ad autocombustione.
Anche in questo caso è l’incuria generalizzata dei nostri boschi ad amplificare i danni.
I proprietari non se ne curano, sia perché le ultime generazioni ne ignorano volutamente l’esistenza, sia perché molte proprietà appartengono ad emigrati storici da più di un cinquantennio, sia perché una dissennata politica forestale ed un assurdo vincolismo burocratico ne limitano fortemente una corretta e ragionevole gestione.
Sarebbero necessarie numerose strade tagliafuoco, perfino ad uso di esbosco, radure, utili anche per la gestione degli ungulati, nonché un nuovo regolamento catastale che disciplinasse e razionalizzasse l’estrema parcellizzazione delle proprietà boschive.
Senza contare, poi, che intorno a paesi e borgate assediati dalla vegetazione occorrerebbe istituire cinture di sicurezza in cui la vegetazione stessa dovrebbe essere molto contenuta per impedire ad eventuali incendi di creare danni irreparabili ad abitazioni e ad abitanti.
…e quella delle bombe d’acqua e delle trombe d’aria
Una prevenzione oculata limiterebbe, e molto, gli effetti di fenomeni intensi, come le bombe d’acqua ( ormai le chiamano così !) o le trombe d’aria.
Nel primo caso è il reticolo secondario dei corsi d’acqua e l’intero territorio montano che sono stati abbandonati a se stessi, senza opere di manutenzione e di regimazione (che appartengono, quasi tutte, ad altri periodi storici!); nel secondo caso è la gestione poco accorta degli alberi in prossimità di strade o centri abitati che crea i problemi più rilevanti.
Qualche giorno fa, a Pistoia, si sono verificati danni per caduta di rami dovuta, si dice, ad una tromba d’aria; però già i nostri nonni sapevano bene che intorno a case e strade l’altezza degli alberi deve essere ridotta, anche perché oggi il verde metropolitano è inesorabilmente costretto tra asfalto e cemento e la sua radicazione risulta precaria e porta a fitopatologie.
Allora per ridurre rischi a persone e cose occorrerebbe contenere le chiome degli alberi con potature anche severe, senza tener conto di un certo ambientalismo metropolitano che è assolutamente anacronistico ed ha un approccio ormai quasi esclusivamente virtuale alla realtà.
Insomma nessuno nega che “ le stagioni non siano più quelle di una volta”, ma forse è utile riflettere sul significato di una favola di La Fontaine, dedicata, appunto, all’imprevidenza, dove una formica dice ad una cicala: “Cantavate; ne sono incantata: Bene, adesso ballate”.
Tutte le immagini dell’articolo sono di Maurizio Pini