Se Aureliano (III sec d.C.) sapesse quello che succede oggi nella città di Roma sarebbe da una parte fiero di aver trovato suoi valorosi epigoni a distanza di tanti secoli proprio nella città che è stata caput mundi, ma dall’altra proverebbe un certo disagio conoscendone le motivazioni.
Aureliano, infatti, fu l’imperatore romano che fece costruire il secondo e più ampio sistema murario con l’intento di proteggere Roma dall’assalto dei barbari.
La ragione del suo orgoglio sarebbe dunque scoprire che gli attuali amministratori della capitale stanno per costruire, a quanto si dice, un sistema di protezione per respingere altri invasori contemporanei e, d’altra parte, rimarrebbe colpito negativamente dal fatto che questi nuovi barbari non sono altro che ….cinghiali.
E si tratta proprio di un’invasione di ungulati che calano a branchi in città e predano indisturbati i cassonetti della spazzatura e tutto ciò che trovano.
Il problema non è recentissimo, ma giornaloni e tv ne parlano con insistenza a causa della peste suina che, veicolata dai cinghiali, potrebbe colpire allevamenti di suini domestici portando a morte moltissimi capi.
Allora si è pensato di erigere intorno a determinate aree della Città eterna recinzioni metalliche che impediscano a questi animali selvatici di frequentare le strade cittadine e di costituire un pericolo per l’incolumità della cittadinanza.
Non è solo un problema di Roma
Ma la urbanizzazione dei cinghiali non è solo un problema che riguarda Roma; ormai molte altre città italiane si stanno confrontando con questa invasione e in futuro saranno costrette a farlo sempre più se non si porranno dei rimedi seri e ad ampio raggio.
Da quando i cartoni animati hanno introdotto personaggi come Bambi, Lupo Alberto e Pumbaa, il facocero del Re Leone e da quando si è sviluppato un ambientalismo metropolitano assai distante dalla realtà e dagli equilibri ad essa connessi gli animali selvatici sono stati quasi umanizzati e il loro numero è aumentato a dismisura costituendo un pericolo prima per le proprie specie di appartenenza e poi per le varie attività umane.
Intanto è lo stesso sistema naturale che provvede al ridimensionamento di una specie quando la sua popolazione aumenta vertiginosamente e la conferma di ciò sta nell’insorgere di epidemie letali, come, nel caso dei cinghiali, la peste suina.
Inoltre, per parlare di economia, è diventato quasi impossibile coltivare nelle zone collinari e montane e richiede investimenti sproporzionati alla redditività delle aree marginali stesse costruire estese recinzioni a difesa di frutteti, orti e campi.
Anche Pistoia non è estranea al problema
“Se Atene piange, Sparta non ride” diceva un antico proverbio e Pistoia, circondata da colline com’è, è esposta a continue incursioni di cinghiali, cervi, caprioli ed altri animali, anche predatori.
Già da tempo i vivaisti pistoiesi lamentano danni alle colture e protestano per il surplus di investimenti per la difesa delle proprie aziende, ma non è facile tener lontani gli animali selvatici, specialmente quando hanno preso l’abitudine di scendere a valle e nutrirsi con maggiore facilità negli orti e nei campi coltivati.
Per non parlare dei problemi che i selvatici di grossa taglia rappresentano per la viabilità collinare e perfino autostradale; molti non lo sanno, ma quando un cervo adulto attraversa una strada trafficata travolge ogni cosa e a poco servono i cartelli stradali che avvertono della presenza del pericolo ,se non a sollevare l’ente pubblico, che è il proprietario della fauna selvatica, da responsabilità civili e penali.
Quali i rimedi?
Fino ad oggi i sistemi per contenere il numero degli ungulati sono stati a dir poco fallimentari; è servita a poco la caccia di selezione, a nulla la cattura dei capi “urbanizzati” e il loro trasferimento in montagna (come è successo alcuni mesi fa a Pistoia) e nemmeno le recinzioni con reti metalliche di altezza fino a mt. 1,60, perché cervi e caprioli le saltano agevolmente.
Allora c’è chi propone la sterilizzazione di massa degli ungulati, come dice la Cia (Confederazione Italiana Agricoltori), chi invece afferma che questo sia un provvedimento inapplicabile e chi sostiene che ogni anno occorra attuare il prelievo venatorio dell’80% della popolazione di cervi, caprioli e soprattutto cinghiali, come sostiene Piero Genovesi, responsabile coordinamento fauna selvatica dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale); poi c’è chi pensa alla validità del foraggiamento dissuasivo per tenere lontani i selvatici dalle colture; c’è chi opta per repellenti chimici olfattivi, per sistemi acustici e chi per le recinzioni elettriche
Si oscilla, dunque, tra posizioni più morbide ed altre più radicali, ma credo che il problema sia sempre a monte, ed in questo caso l’espressione deve essere intesa in senso proprio, perché la soluzione è legata ad una gestione più intelligente delle aree collinari e montane logorate da un cinquantennio di abbandono ed di incuria. Probabilmente una fitta rete di radure in aree montane e la reintegrazione di piantagioni di querce ghiandifere potrebbe servire ad un maggiore contenimento a monte degli ungulati anche se queste soluzioni dovrebbero essere integrate da una intensificazione dei prelievi venatori, come sostengono gli amministratori di altre Regioni, come il Piemonte.
In sostanza è ormai tempo di metter mano ad un serio e complessivo progetto -montagna di respiro nazionale e ad una radicale revisione degli attuali criteri di gestione delle terre alte che tanto disordine hanno arrecato al patrimonio forestale ed economico-sociale delle nostre terre alte.