C’è un dato demografico che dovrebbe preoccupare le istituzioni, cioè che ogni anno la popolazione dei residenti nella nostra Montagna, ma anche in tutte le terre alte nazionali, cala dell’1-2%, cosicché tra trent’anni essa si sarà ridotta della metà e oltre. Tutto sta avvenendo nel disinteresse generale, salvo qua e là qualche rigurgito di buon senso che ogni tanto compare sui giornaloni o in occasione di qualche catastrofe naturale oppure costituito dalla emissione di qualche bando regionale (recentemente attivato, ad esempio, dalle regioni Piemonte ed Emilia Romagna) che offre vantaggi economici e fiscali ai cittadini metropolitani che intendano trasferirsi in zone collinari e montane.
Sono spesso lacrime di coccodrillo o interventi che hanno poco di strutturale.
I vantaggi di abitare in montagna
Eppure abitare in montagna offre indubbi vantaggi, che tuttavia hanno poco a che fare con le leggi dell’economia e con il piacere dei confort metropolitani.
Sono per lo più opportunità, per chi le sa cogliere, di riscoprire la naturalità dell’esistenza umana, il ruolo formativo del sacrificio, il senso del limite, la forza terapeutica del silenzio e il valore della prospettiva dall’alto, che dispone tutte le cose della vita in una dimensione più consona e più giusta.
Per chi non ama filosofeggiare, vivere in montagna significa anche acqua buona, aria più pulita, sfogliare le pagine delle stagioni, far delle girate nei boschi, ammirare il cielo stellato e in qualche caso tenere ancora le chiavi sull’uscio di casa; insomma muoversi in una realtà vera e non virtuale o artefatta da bisogni indotti dalle multinazionali, dai centri commerciali o altro.
Poi, quando c’è necessità si può anche scendere in città e condividerne alcune abitudini, ma il montanino verace non vede l’ora di riprendere la strada per l’insù anche perché l’aria di città graffia le narici e la gola.
La nebbia multicolore della piana metropolitana
E che non sia solo autosuggestione è dimostrato dal fatto che le mucose si irritano e soffiandoci il naso talvolta sul fazzoletto restano aloni di smog.
Ma poi basta salire di qualche centinaio di metri per osservare uno spettacolo poco rassicurante.
L’umidità naturale del grande catino costituito dalla piana di Pistoia-Prato-Firenze si tinge molto spesso di colori che vanno dal grigio, a volte tenue e a volte intenso, al rossastro fuligginoso specialmente all’alba, nelle giornate invernali, quando la forza dell’alta pressione schiaccia le emissioni in prossimità del suolo. Altre volte, nei giorni nebbiosi, il plumbeo del cielo si confonde col grigiore della nebbia sporca e si perdono anche i riferimenti spaziali e prospettici.
Anche nelle giornate serene, quando lo sguardo si spinge fino al Pratomagno, ai monti del Mugello, alle colline del Montalbano ed è possibile cogliere i contorni di Santa Maria del Fiore, del Duomo di Prato e di quello di Pistoia, la piana si tinge dei mille sbuffi delle ciminiere e dei camini, che avrebbero anche un che di poetico, se non si sapesse che emettono sostanze nocive alla salute.
Così è praticamente automatico che aumentino le malattie respiratorie, le allergie o altre patologie ancor più gravi che colpiscono anche i bambini in età pediatrica.
E viene in mente che sia utile investire in ogni tipo di terapia capace di alleviare ogni sofferenza, ma che sarebbe estremamente più importante impiegare risorse nel risanamento dell’ambiente a fini di prevenzione.
A ben guardare, però, c’è un fenomeno che colpisce favorevolmente e che è ascrivibile al ruolo benefico dei nostri monti: le valli della Brana e delle Buri spingono verso la città di Pistoia una potente corrente d’aria che spazza via la polluzione nebbiosa secondo una linea obliqua, dalla precisione geometrica, che attraversa Piazza del Duomo e si spinge verso Pontelungo, Spazzavento, fino al Serravalle. Ad ovest di questa linea l’aria è sempre molto più tersa e pulita.
Questo è uno dei tanti meriti della Montagna, alla quale troppo spesso non vengono riconosciuti gli indubbi ed innumerevoli benefici che reca all’ambiente urbano e per i quali il mondo metropolitano dovrebbe essere molto, molto, molto più riconoscente, anche in termini di compensazione economica, come peraltro afferma qualche sparuto politico nazionale un po’ più lungimirante di tutti gli altri.