Ambiente  |  luglio 6, 2020

Quelle libertà negate agli abitanti della montagna

Le limitazioni in particolare nei rapporti con l'ambiente ma a risentirne anche altri settori come edilizia e turismo. Comuni, Province, Regione e Stato hanno imposto limiti e paletti burocratico-repressivi che hanno ridotto a zero l'iniziativa privata. Vecchie pratiche e abitudini rese quasi impossibili da un eccesso di regole. Il risultato? Incuria e abbandono del territorio.

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I boschi aggrediti da un eccesso di verde a causa dell'incuria

Uno dei pochi privilegi della non più tenera età è l’esperienza della vita, che offre la possibilità di confrontare lo ieri con l’oggi, da vari punti di vista; anche come cittadini, come appartenenti, cioè, ad un sistema di valori, di regole, di diritti e di doveri.
Gli ultimi 60 anni hanno registrato, in generale, molte trasformazioni, spesso in positivo, in quanto il progresso tecnologico ci ha regalato agi insperati; ma, a guardar bene, le libertà individuali, almeno in Montagna, hanno subito non poche limitazioni, specialmente nei rapporti col territorio-ambiente e con la gestione di esso.

L’invasione di regole inutili

Quando i nostri monti erano abitati e vissuti, almeno fino agli anni ’50-’60 del secolo scorso, il sistema di leggi e regolamenti che ne disciplinavano la gestione era semplice e ispirato all’esperienza tradizionale, al buon senso e al rispetto. Ognuno sapeva cosa poter e cosa non poter fare.
Poi pian piano, subdolamente, la stratificazione delle competenze amministrative ha fatto sì che Comuni, Province, Regione e Stato centrale abbiano imposto una quantità tale di limiti e paletti burocratico-repressivi che ha ridotto a zero l’iniziativa privata e penalizzato l’interazione tra individuo e ambiente.
Un nuvolone nero di regole ha dapprima oscurato il cielo dei nostri monti, poi dal Libro Aperto fino alla pianura si è abbattuto un nubifragio di vincoli, regolamenti, ordinanze, disposizioni transitorie e finali, delibere, tutele, articoli e soprattutto imposte e contributi che hanno costretto i montanini a starsene inattivi per paura di incorrere in verbali, multe e denunce da parte dei birri di turno. E il risultato qual è stato? L’incuria e l’abbandono del nostro bel territorio.
Si, perché quando il regolismo è debordante, non condiviso e tradotto spesso in norme incomprensibili (anche in italiano), si ottengono sempre risultati opposti alle aspettative.
E ancora, quando si vuole disciplinare tutto, ma proprio tutto, se ne trae l’impressione che siamo di fronte ad una sorta di paradittatura strisciante e subdola, nella quale peraltro non è individuabile l’uomo forte, perché le leve del potere sono in mano ad una pletora di tecnocrati, burocrati, dirigenti ed esperti che hanno il dono dell’invisibilità mediatica e la cui autorità è alimentata da politici e amministratori che soffrono di incontinenza normativa per giustificare il proprio esistere. Così questo circolo vizioso, come un boa costrictor, conduce un territorio all’asfissia.

Esempi di libertà negate

Per fare solo pochi esempi (ma il loro numero potrebbe essere assai maggiore!), quassù in montagna ognuno poteva detenere animali domestici e allevare pecore, capre, bovini o maiali senza dover riempire moduli a non finire ed essere controllato come fosse un pericoloso inquinatore o sofisticatore di cibi. Mi ricordo il vecchio bidone in alluminio che conteneva il latte; le pastore passavano ogni mattina di famiglia in famiglia, ne prelevavano il latte con gli appositi misurini e lo vendevano, senza troppi ostacoli burocratici e rischi per la salute pubblica. I controlli erano ispirati alla ragionevolezza. Il detenere animali era considerata un’attività normale che supportava, fra l’altro, la magra economia familiare.
Analogamente apparteneva al buon senso paesano la pratica di ripulire il corso di fiumi, torrenti e fossi e tagliare gli alberi che crescevano vicino alle rive per evitare che le piene autunnali e invernali provocassero danni. Oggi questa pratica è oggetto di sanzioni che in realtà sono il prodotto di una sconsiderata ideologia ambientale. Allo stesso modo per il taglio dei boschi i proprietari avevano limitatissime restrizioni e le guardie forestali erano più inclini al dialogo che alle sanzioni. Per abbattere un albero intorno alla propria casa era inconcepibile solo il pensiero che si dovesse chiedere un’autorizzazione e versare una somma di denaro. Per non parlare della ricezione turistica: innumerevoli erano gli alberghi, le pensioni e le pensioncine a gestione familiare, dato che molti privati affittavano ai numerosi turisti qualche stanza delle proprie abitazioni. Erano richieste solo le più elementari norme igienico-sanitarie, non una sequela di autorizzazioni come oggi. Allora era normale costruire tettoie per proteggere la legna o piccole rimesse per attrezzi in paglia o legname, che oggi sono equiparate ad abusi edilizi per un’idea insensata di paesaggio (ma guardateli dall’interno e non da distante i nostri paesaggi!!!). Inoltre ristrutturare una casa di montagna, magari ereditata dai nostri nonni, equivale, oggi, a districarsi in un labirinto di norme edilizie e vincoli da cui si esce con un esaurimento nervoso e con un portafoglio prosciugato. I più, allora, preferiscono abbandonarle.
L’agricoltura poteva essere esercitata senza patemi d’animo legati alle devastazioni causate da un numero abnorme di animali selvatici che di fatto oggi impedisce qualsiasi coltura che non sia protetta da costose recinzioni di almeno due metri di altezza.
Allora viene spontaneo affermare che l’unico animale attualmente non tutelato è l’homo appenninicus e, per di più, ciò che per i nostri avi era una ricchezza e serviva alla sopravvivenza, oggi per noi si è trasformato in un peso a causa della mole di imposte e balzelli che enti pubblici e consorzi vari vi hanno imposto.
Per non parlare, infine dei servizi che un tempo erano numerosi: scuole, uffici postali, ambulatori, negozi di prossimità, circoli ricreativi, bar ecc. e ora sono rarissimi anzi, anno dopo anno, vengono ridotti in nome della legge dei grandi numeri, che calpesta i diritti di chi continua a presidiare le zone disagiate, le quali, secondo demografi “illuminati”, non hanno più futuro.

Tirando le somme: una sintesi amara

Tirando le somme, vien fuori un’equazione assai curiosa: quando le libertà individuali erano maggiori e minori i vincoli, l’ambiente e il territorio di montagna godevano buona salute. Invece , quando i regolismi e i burocretinismi sono aumentati la situazione è enormemente peggiorata. Chi ha orecchi per intendere, intenda, diceva un tempo un uomo, lui si, davvero “illuminato”!
Molto più umilmente sono convinto che finché non si instaurerà un nuovo patto fra Pubblico e Privato e finché ogni cittadino non sarà più visto solo come un bancomat da dissanguare per mantenere carrozzoni spesso inutili, per la nostra Montagna, ma penso anche per il resto del Paese, sarà durissimo risalire una china che in buona parte ci siamo costruiti con le nostre mani dissennate.


Maurizio Ferrari

Maurizio Ferrari, sambucano di origine, ha insegnato Lettere per 38 anni nelle Scuole superiori pistoiesi. Ora è imprenditore agricolo e si sta impegnando nella promozione e nel rilancio del territorio appenninico come Presidente dell'Associazione "Amo la montagna APS" che si è costituita nel 2013 e che ha sede a Castello di Cireglio.Ha collaborato per 25 anni alla rivista "Vita in Campagna", del gruppo "Informatore Agrario". Recentemente ha pubblicato alcune raccolte di racconti ispirati alla vita quotidiana di Sambuca, dal titolo :"Dieci racconti sambucani"; "La mia Sambuga" e "Cuori d'ommeni e di animali", nonché una favola per bambini, "La magìa della valle dimenticata" illustrata dagli alunni della scuola elementare "P.Petrocchi " di CIreglio (Pistoia)