Kobe Bryant, ex stella dei Los Angeles Lakers ed uno dei più grandi campioni di basket Nba di sempre, è morto oggi, domenica 26 Gennaio, all’età di 41 anni, in un incidente in elicottero a Calabasas, zona a nord-ovest del downtown di Los Angeles, insieme alla figlia 13enne Gina Maria e ad altre persone. I siti di tutto il mondo hanno iniziato a parlare di questa tragica notizia nel tardo pomeriggio di oggi. Ne parliamo anche noi, nel nostro piccolo, per il particolare legame che questa stella della pallacanestro a stelle e strisce aveva con il nostro Paese e la nostra città, dove visse con la famiglia, i genitori e le sorelle Sharia e Shaya a seguito del padre Joe, come lui giocatore di basket. Kobe visse dai sei ai tredici anni di età in Italia, prima a Rieti, a Reggio Calabria poi appunto a Pistoia e, infine, a Reggio Emilia. Qui da noi per l’esattezza la famiglia Bryant visse in una villetta sulla bassa montagna pistoiese, a Cireglio, dove Kobe tornò per una visita fugace di alcune ore, nel luglio del 2013 (visita alla quale si riferiscono le due foto qui pubblicate e scattate dal sottoscritto, con mezzi inadeguati).
Il ritorno a Cireglio nel 2013
Kobe Bryant al Barbacco nel luglio del 2013
Anche chi scrive, per puro caso, lo incontrò in uno dei due bar del paese (all’epoca Barbacco oggi Le Fancille) per poi accompagnarlo insieme ad Alessia Pierattini, amica di Kobe ai tempi della sua infanzia pistoiese, nell’area sportiva – dove Bryant giocava a calcio e basket con gli amici ciregliesi – e quindi al Mybar, l’altro bar del paese. Ricordi, battute amichevoli, abbracci, qualche lacrimuccia, qualche foto e poco più. E a chi lo interrogava sul suo futuro, a chi gli chiedeva se avesse per caso pensato di finire la sua carriera in Italia, rispose chiaramente di no: “Fra un paio di anni smetto”, spiegò nel suo ottimo italiano. Ed è andata proprio così.
Bambino a Cireglio
Davanti alla sua abitazione, una trentina di anni fa, martellava per ore e ore con il pallone da basket, e poi se ne andava in giro per il paese con i suoi coetanei. “Ero sempre per strada, a casa degli amici o al campo sportivo. Eravamo tranquilli, spensierati”, ci disse in quella occasione di sei anni e mezzo fa. Il periodo trascorso in Italia gli era inevitabilmente rimasto nel cuore. Per questo Pistoia ha un legame tutto particolare con questo monumento della palla a spicchi e per questo avrebbe voluto salutarlo a modo suo, al termine della sua straordinaria carriera: “Vorremmo tanto fargli salutare anche il pubblico di Pistoia e quello italiano. Lo vorrebbero tutti quelli che lo hanno visto ragazzino e tutti quelli che dallo schermo gli hanno visto fare cose eccezionali”, era il sogno di Roberto Maltini, “il presidente” del Pistoia Basket e della Pistoiese calcio, deceduto proprio pochi mesi fa. “Ci penseremo, dovrà essere un grande evento, magari in beneficenza, che Kobe dovrà sentire suo – ci disse Maltinti nel momento in cui Bryant dette il suo addio al basket -. E’ un sogno, vorrei tanto realizzarlo”. Un sogno rimasto tale.
L’attrazione del canestro fin da piccolo
“Era ancora troppo piccolo – ci confermò in un’intervista del 2016 il capitano della squadra dove aveva giocato il padre Joe, Andrea Daviddi – e nelle partitelle con i ragazzi della sua età aveva una propensione tutta sua di restare a metà campo e attendere il pallone per poi correre a fare canestro”. La cosa che gli è sempre riuscita meglio, del resto, anche se per diventare il numero uno ha poi imparato anche a difendere. Ma allora era tutto istinto. “Era come il padre Joe – ricorda ancora Daviddi – aveva lo spirito del grande giocoliere. E quando entrava sul parquet del palazzetto dello sport di Pistoia durante l’intervallo, magari dopo aver guardato la partita sulle ginocchia di mia moglie, calzava proprio le scarpe del padre, quasi a voler essere come lui. Era già un piccolo personaggio”.
Il segno indelebile di Kobe
Poi è diventato assai più di un grande personaggio. Ma quella è la storia che Kobe Bryant ha scritto sui parquet dell’Nba, lasciando un segno indelebile. Oggi la notizia choc, il dramma, il dolore. Anche di quei pistoiesi che lo conobbero bambino (alcuni rimasti in contatto telefonico ed epistolare con lui grazie anche al suo ottimo italiano) e che ne avevano seguito le gesta da lontano, sugli schermi televisivi e sui giornali. E per quei pochi fortunati che, come chi scrive, ebbero modo di salutarlo in quella strana ed emozionante mattina del luglio 2013 e che avevano sperato di rivederlo per un’altra visita improvvisa e inaspettata o per un grande evento organizzato in suo onore.
Non ci sarà modo neppure di cullarsi in questo sogno.