Tra le parole più usate e abusate dei nostri tempi ci sono indubbiamente resilienza e biodiversità. Si tirano in ballo spesso a sproposito perché riempiono la bocca, fanno tendenza, anche se poi nella maggior parte dei casi servono solo ad imbonire e rientrano in quel penoso fenomeno prevalentemente (ma non solo) italico della Narrazione.
Scopo esclusivamente narrativo, solo per fare un esempio, è quello di descrivere in seguitissimi programmi televisivi paesi di montagna ancora vivi e strettamente legati alle proprie tradizioni; allora si inquadrano piazze e stradette popolate dai paesani in costume che ballano o sono intenti a lavori che da decenni non esistono più, in un tripudio di canti e tavole imbandite. Quando le telecamere se ne vanno tutto scompare.
Insomma, si narra, si fa spettacolo, ma in fondo si falsifica la realtà, si piega ad uso e consumo di un immaginario collettivo trasognato e infantile.
La biodiversità
Lo stesso accade quando si parla di biodiversità.
Ovunque è citata la biodiversità; in nome di essa si fanno apposite norme (spesso solo sulla carta), ad essa si dedicano reboanti ricorrenze, feste, eventi. Ma siamo sicuri di ciò di cui si parla? Siamo certi di non correre dietro alla solita narrazione fantasiosa, ad un’idea astratta, ad una clamorosa mistificazione?
Chi è che vuole un mondo monovarietale, popolato sola da una specie di animali e di piante?
Eppure, a forza di allontanarci dalla realtà, quella vera, e di prestar fede alle narrazioni ed ai pregiudizi ideologici da salotto, temo che stiamo avviandoci verso un vicolo cieco. Anche l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) testimonia la progressiva perdita di biodiversità nel nostro Bel Paese e i dati pubblicati nel 2021 stanno lì a dimostrare che l’Italia non è capace di difendere il proprio patrimonio ecologico; sono infatti in stato di conservazione sfavorevole il 54% della flora e il 53% della fauna terrestre, il 22% delle specie marine, l’89% degli habitat terrestri e il 63% di quelli marini.
Tutto questo nell’indifferenza generale.
Biodiversità zoologica
Quando, ad esempio, si finanziano progetti a favore di una specie animale particolare, di volta in volta il lupo, l’orso, gli ungulati in genere ecc. e non si tiene conto dell’impatto reale che essi producono sull’equilibrio ecologico complessivo, in questo caso si altera la biodiversità.
Chi è pratico di montagna e non è più tanto giovane, oppure chi ha letto qualche romanzo o racconto ambientati sui nostri monti nei secoli scorsi, ha modo di capire come la biodiversità animale fosse un tempo più rigogliosa: lepri, starne, beccacce, quaglie, tordele, oppure nei fiumi, broccioli, lasche, vaironi o ancora nei boschi, biacchi e roditori di ogni tipo popolassero i nostri ecosistemi. Per non parlare delle vipere, un tempo assai più numerose, tanto che negli anni ’60-’70 l’Amministrazione provinciale pistoiese dava un compenso a chiunque catturasse questi serpenti, vivi o morti.
Oggi la popolazione di animali locali di piccola taglia è fortemente diminuita e talvolta sostituita in tutto o in parte da analoghe specie alloctone (come nel caso dello scoiattolo grigio, del gambero rosso, della zanzara tigre, della cimice asiatica, tanto per fare qualche esempio) ma anche, e soprattutto, dalla massiccia presenza di predatori di ogni tipo, e non parlo solo del lupo, ma anche di cinghiali (spietati onnivori), di gazze e di cornacchie, che si stanno espandendo anche qui in montagna e che devastano i nidi degli altri uccelli.
Ad un ambientalista che sia davvero tale, dovrebbe stare a cuore il principio dell’equilibrio, quello che la natura e l’homo sapiens hanno costruito nel corso dei millenni e soprattutto gli dovrebbe spettare, come imperativo categorico, il compito di camminare per i boschi, imparare ad osservare attentamente e rendersi conto che alcune specie stanno soccombendo a vantaggio di altre e che gli interventi settoriali nuocciono più di quanto siano utili.
Biodiversità vegetale
Stesso discorso per la macro e microflora, vittime anch’esse di una gestione dissennata del patrimonio forestale, ma anche dell’abbandono e dell’incuria da parte dell’uomo.
Da bambino, andar per fragole di bosco, per mirtilli, corniole ecc e incontrare orchidee selvatiche o altri fiori pregiati era assai comune. E ancora, i funghi facevano un po’ dappertutto, nei castagneti tenuti come giardini; oggi il loro areale si va restringendo anno dopo anno a causa della presenza di piante alloctone invasive, come la cascia, e di una vegetazione spontanea disordinata, straripante e monovarietale che soffocano le specie più fragili e delicate.
Insomma, il verde che si vede dalle città non è sempre sinonimo di equilibrio ed ordine ambientale e spetta all’intelligenza ed al buon senso di chi vive ed ama davvero la natura, e non la narrazione ipocrita di essa, alzare la voce e pretendere un’inversione di tendenza nella cura e nella gestione di tutto l’ecosistema che, fra l’altro, ci permette di vivere.