Personaggi e Interpreti  |  aprile 6, 2023

Come un direttore di fabbrica di montagna parlava agli operai

Nel capitolo "Pregiudizi sociali" del libro scritto da Giuseppe Tigri nel 1870, il discorso del direttore (vero o immaginario?) ha come fine il benessere nelle relazioni tra imprenditore e operaio. La figura che emerge è quella di un manager illuminato, di altri tempi ma molto attuale, che ha capito che con la conflittualità non si va da nessuna parte. Contrario allo sciopero come mero mezzo di conflitto e favorevole alla giusta retribuzione e al welfare aziendale. Intuitivo nel capire l'importanza delle macchine nella loro funzione di complementarietà con l'uomo

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UN LIBRO DI GIUSEPPE TIGRI

Nel libro ‘Contro i pregiudizi popolari, le superstizioni, le allucinazioni e le ubbie degli antichi’ del 1870, l’abate Giuseppe Tigri (Pistoia 1806 – Pistoia 1882) cerca di combattere in maniera ostinata i pregiudizi che attanagliano il suo uomo contemporaneo. Nell’articolo del febbraio scorso (L’abate pistoiese Giuseppe Tigri, il lotto e il gioco delle galline) vi ho parlato di come la pensasse, questo sacerdote, sul gioco d’azzardo, (capitolo IV – Pregiudizi sul gioco).

Oggi mi preme soffermarmi sul capitolo VII dal titolo ‘Pregiudizi sociali’ per gli interessanti spunti di sociologia industriale e sociologia del lavoro che vi emergono.

 

                                        CAPITOLO VII: PREGIUDIZI SOCIALI

In questo capitolo viene raccontata una storia ambientata in un paese della Montagna Pistoiese, ricchissimo di acque correnti, dove era stata fondata una fabbrica di tessuti di lana e dove erano impiegati molti operai del paese. Il Tigri non fa riferimento a un anno preciso così come non cita esattamente la località. Possiamo immaginare che si tratti di una fabbrica di Bartolomeo Cini intorno alla metà del 1800? Più che una storia è un confronto tra il direttore della fabbrica e alcuni operai durante l’ora di pausa.

Non sappiamo se questa storia sia reale o di fantasia, probabilmente è un miscuglio delle due, ma ciononostante essa ci offre interessanti aspetti e del pensiero del Tigri e della comunità montana.

 

                                                      IL POVERO E IL RICCO

Durante l’ora di pausa, si erano radunati nel cortile della fabbrica diversi operai. Dopo aver mangiato e brevemente riposato iniziarono a discutere sui recenti scioperi che erano avvenuti in alcune fabbriche del Belgio. Passò in mezzo a loro il direttore e uno degli operai, quello meno timoroso, gli si avvicinò e gli chiese: “Ci dica un poco, signor direttore, ma come vanno questi scioperi, dè quali nè fogli si sente tanto parlare? Fra noi c’è chi crede che i ricchi non voglion più pensare a noi povera gente. V’è chi assicura che anche a volere ingegnarsi del lavoro non ne trovano, altri pensano che bisognerebbe non aver inventato le macchine che finiranno esser la rovina per noi braccianti. Io non so, mi ci pare anche del vero; ci vorrebbe capacitare un po’ meglio su queste cose?”.

Probabilmente questo operaio era il caporeparto e dalla sua domanda si evince anche che era il più ‘politicizzato’ di tutti. I temi sui quali vuole avere risposta sono quelli su cui tanto si è dibattuto: il superamento delle classi sociali, la divisione del lavoro, l’utilità e il diritto di sciopero, la preoccupazione che la tecnologia possa sostituire l’uomo.

Il direttore, soprannominato il ‘burbero benefico’, così rispose:” Poveri e ricchi, non v’illudete, vi sono stati sempre nel mondo, e tutti hanno debito di lavorare. E’ inutile che l’operaio, se è nato povero, si lamenti del ricco perchè è ricco. Questi, se non tutta, la rendita che ha se l’è procurata da sè. Furono d’accorto senno, rischiaron del loro, aperser fabbriche, e guadagnando per sè, dieder guadagno anche agli altri.[…..] La forza delle circostanze ha prodotto la diversità di stato in ciascuno, e tanta sproporzione negli averi. Ma la Provvidenza ci ha dato anche l’intelligenza e la forza per rimediare a simili sproporzioni, abbandonando l’ozio e la pigrizia per l’amore al lavoro. Bisogna dunque persuadersi che i poveri nel mondo vi saranno sempre e chi grida all’eguaglianza negli averi, ammetterebbe anche l’eguaglianza delle intelligenze e del saper fare onestamente; vedete voi com’è impossibile”.

Emerge in questa prima parte della risposta il rifiuto del superamento del concetto di classe sociale e di status povero/ricco, in quanto non è ipotizzabile una società dove i beni e gli averi siano proprietà comune. Il fatto che non tutti gli uomini siano buoni, giusti, giudiziosi e laboriosi, ma anche pigri, oziosi e infingardi, porta inevitabilmente al mantenimento della dicotomia ricchezza e povertà; però il fatto interessante è che ognuno, spinto dall’amore per il lavoro, possa ribaltare il suo status.

 

                                                LA DIVISIONE DEL LAVORO

Continua il direttore: “La legge ‘Tu mangerai il pane bagnato con sudore della tua fronte’, noi stessi l’adempiamo ogni giorno. E se non è il sudore pe’ lavori delle braccia, sarà quello che stilla dalla fronte dello studioso, dell’amministratore, o di chi professa e scienze, e lettere, e arti. Il vostro lavoro manuale, lo so, si cerca di metterlo in mala vista. Ma quando voi lavorate, ditemi un poco, non vi par d’esser indipendenti? Fra voi lavoranti e quel che vi paga i conti sono pari. Il vostro lavoro è guadagno, salute, moralità e preghiera!”.

In queste frasi c’è tanta sociologia del lavoro e appare chiaro e s’innalza netto il pensiero del direttore di fabbrica. La divisione del lavoro ha, secondo lui, la specifica funzione di essere il fondamento di un certo tipo di solidarietà che porterà benefici economici e benefici morali. La solidarietà che si basa dunque sulla differenza e l’interdipendenza è in completa antitesi a quello che sosteneva Marx dove la fabbrica è la sede principale in cui si sviluppa l’antagonismo tra le classi e tra sfruttatori e sfruttati.

Siccome le teoria solidaristiche sono proprie di Emile Durkheim nella sua opera ‘La divisione del lavoro sociale’, del 1893, azzardo troppo a dire che Giuseppe Tigri, nel discorso del direttore, sia stato un precursore del sociologo francese? 

 

                                                            LO SCIOPERO

Su questo argomento il direttore ha le idee molto chiare, e non poteva essere altrimenti: “Assicuratevi ora che chi vi consigliasse lo sciopero, non farebbe che trarvi in rovina. Lo sciopero è il lasciare in un subito di lavorare, è il pretendere quasi per forza un di più di giornata, ed è un perder tempo nell’ozio. Vi pare questo un bel provvedere all’utile vostro? Chi vi ha mai detto che se voi lavorate a dovere, e che il padrone della fabbrica con quel che spendi pur ci rientri, non dobbiate ricevere una giusta mercede? Non è pure interesse di chi fa lavorare, che gli operai non gli disertin la fabbrica, e che però tutti vi lavorino, giuastamente retribuiti e contenti?”.

Anche in questo passaggio si nota in maniera evidente come il direttore voglia mantenere un clima di solidarietà fra imprenditore e operaio, promettendo una giusta ricompensa a chi lavorava bene e a dovere. Con queste affermazioni nella nostra montagna pistoiese già si parlava, circa 170 anni fa, e circa 100 anni prima della Costituzione (art. 36), di ‘giusta retribuzione’.

Quello che il direttore di fabbrica cerca di raggiungere non è altro che una tappa di quello che oggi conosciamo come welfare aziendale o fidelizzazione del lavoratore

 

                                                   LE MACCHINE DA LAVORO

“Ma or che rifletto, di uno ancora mi rimane a parlarvi, vò dire della temuta concorrenza che le macchine possan fare alle braccia. Voi sapete come il padrone, innanzi che facesse venir d’inghilterra la macchina a vapore, i cilindri e tutti i nuovi meccanismi che abbiamo, stentava molto, nonostante i molti telai, a produrre in capo all’anno poche migliaia di braccia di tessuti che gli costavano un occhio e che avevano uno smercio lento e difficile.[…..],eccoti la produzione migliorare e crescere a vista, poi crebbe anche lo smercio, perchè la gente che si vedeva offerta quella bella roba, a condizioni tanto migliori di una volta,si affrettò a farne acquisto. Il padrone che trovò il conto suo, moltiplicò i lavoranti: e, contiamoci un poco, amici miei, non siamo forse tre o quattro volte di prima. Sicché per me, viva le macchine, che riuniscono sempre intorno a sè una quantità di operai. Viva le macchine, che hanno cresciuta immensamente la potenza produttiva dell’industria e diminuito così il prezzo dei prodotti, […..]e scemate certe dure fatiche che li ponevano in condizioni dei bruti”.

In questo passaggio il direttore di fabbrica, oltre a sottolineare il vantaggio competitivo per l’azienda e una maggiore fruizione del prodotto finito da parte della collettività, vuol sottolineare due aspetti: 1) L’uomo resta insostituibile nella produzione e se la tecnologia avanza il rapporto con le macchine non può essere lasciato all’angolo. L’uomo ha caratteristiche uniche così come la macchina. Il loro rapporto funzione perchè sono complementari. 2) Con l’aumento dell’occupazione la fatica  non rappresenterà più un ostacolo alla produttività aziendale. In fabbrica si deve valorizzare il contributo umano, perchè non è possibile un lavoro senza l’uomo.

Suonò la campanella che richiamava gli operai al al lavoro e dal modo con cui ripresero tutti tranquilli la loro opera, mostrarono che erano stati persuasi e convinti dalle parole del direttore.

 

                                             CONCLUSIONI

Il discorso del direttore, personaggio realmente esistito o immaginato da Giuseppe Tigri, è un insieme di persuasione, incitamento, suggestione, dissuasione e distoglimento per il fine comune del benessere nelle relazione tra imprenditore e operaio. Un manager di altri tempi, ma molto attuale, oserei dire migliore. Il suo soprannome ‘burbero ma benefico’ gli calza a pennello dove per burbero s’intende ligio al dovere. Un direttore illuminato che ha capito che con la conflittualità non si va da nessuna parte, un precursore del pensiero di Durkheim. No allo sciopero come mero mezzo di conflitto, si alla giusta retribuzione e al welfare aziendale. Intuitivo nel capire l’importanza delle macchine nella loro funzione di complementarietà con l’uomo.


La Redazione

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