L’autunno
Non v’è dubbio che in questo periodo, quando piove o la nebbia ci avvolge ben bene, il colore prevalente, anche da un punto di vista emotivo, sia il grigio. Non di rado utilizziamo anche una esclamazione rafforzativa che rende meglio l’idea : “Che giornata bigia che è!”.
Ma la Montagna Pistoiese in autunno è anche, o soprattutto, uno spettacolo di colori. E’ il periodo delle foglie che cadono e che si colorano di rosso, di giallo e di marrone; è il cosiddetto fall foliage.
Con il fall foliage la natura si fa pittrice dei boschi della nostra montagna, il gioco cromatico è pertanto una vista che non possiamo permetterci di perdere. Camminare inoltre sui tappeti boschivi creati dalle foglie cadute è un iniziale processo di meditazione e leggerezza che aiuta ad allontanare i pesanti pensieri che affliggono l’uomo contemporaneo.
Spesso in autunno anche noi ci liberiamo di qualche relazione poco gradevole, nate per esempio in estate, come gli alberi si liberano delle foglie vecchie, e al primo abbassarsi delle temperature sentiamo una spinta forte che ci indirizza verso il nostro nido.
Terra di castagne
La Montagna Pistoiese è “Civiltà del Castagno”e “Cultura del Castagno”, proprio per l’importanza economica, sociale e antropologica, legata alla prospera raccolta di questo frutto.
Il castagno, nelle nostre montagne, ha un’ampia diffusione, si trova in una fascia compresa tra i 200 e i 1.000 metri s.l.m., quando la regola direbbe tra i 400 e gli 850 metri, ha radici antiche ed è l’unico albero da frutto coltivabile in maniera estesa, senza aver bisogno di particolari cure.
Per secoli i castagneti hanno dato di che vivere e sfamarsi, i suoi frutti e la farina da essi ottenuti hanno offerto e offrono tutt’ora una risorsa alimentare completa. E’ appunto la farina il più rilevante utilizzo della castagna in quanto traforma il frutto, di non facile conservazione, in un prodotto utilizzabile per un anno intero.
Il doppio ruolo del Metato
La farina di castagne è prodotta con metodi e tecnologie tradizionali utilizzando i seccatoi, denominati Metati, e mulini situati nell’aree di produzione.
Il Metato è dunque l’irrinunciabile edificio adibito all’essicazione delle castagne e spesso era e fa parte integrante di un’abitazione.
Una volta effettuato il raccolto, verso fine ottobre, le castagne vengono riposte con una certa celerità, all’interno del Metato, per garantirne una particolare essiccazione grazie alle pareti in pietra, e al fuoco non fuoco che diffonde calore su un ripiano in legno di castagno detto Graticcio.
Deve essere leggero e senza fiamma, (difficile pensare ad un fuoco senza fiamma ma provate a immaginarlo) e il fumo che viene generato ha la proprietà di asciugare lentamente le castagne. Dopo circa 40 giorni queste castagne possono essere battute, ovvero sgusciate. L’ultimo passaggio è la trasformazione in farina che alcuni chiamano farina dolce e altri farina neccia.
Il Metato ha svolto anche un importante ruolo sociale con la cosiddetta veglia, ovvero l’abitudine di ritrovarsi durante il periodo dell’essiccazione (novembre-dicembre) proprio all’interno di questi seccatoi per parlare, pregare o semplicemte per ascoltare le storie, vere o fasulle, degli altri.
Policarpo Petrocchi in un passo tratto da “Il mio paese” ci dà un esempio di queste veglie: “Nell’Ottobre le conversazioni nei metati si fanno senza lume; il lume è una stonatura, alto si spenge tra ‘l fumo, basso non serve a nessuno[…….] quel rosso che esce di sotto illumina tanto o quanto le facce delle persone e tanto o quanto le lascia nell’oscurità; due cose giovevoli, perché anche i brutti ci fanno figura. Quand’è un po’ che ci siamo accoccolati si comincia a distinguere i visi […..]; mille cose si raccontano, si sguscia delle bruciate, qualche volta, in un canto, una coppia trova il verso di far la sera quel che non può fare il giorno; al lume incerto del foco, allungando le teste, auzzando gli occhi su quelle carte più nere che bige, gobboni, giocano una partita a briscola o a scopa […..]”.
La farina di castagne
La farina di castagne è quindi il risultato di una raffinatissima lavorazione della materia prima che permette di essere utilizzata per la produzione di molti piatti di assoluta bontà.
Ha un colore nocciola chiaro, sapore dolce e intenso aroma di castagne tostate, e viene utilizzata in vari modi. Il piatto principale è sicuramente il neccio, una sorta di schiacciata o cialda sottile del diametro di circa 25 cm, ottenuto dalla cottura di un impasto di farina e acqua su testi di pietra o ferro unti con grasso di maiale o semplicemente con l’olio nuovo posti sul fuoco o brace ardente. Tra i testi e l’impasto vengono solitamente interposte foglie di castagno, utili ad evitare che la pastella si attacchi. Non tutti utilizzano il termine testo per la preparazione dei necci, infatti alcuni li chiamano piastre e altri ancora forme.
Il modo più puro e tradizionale di apprezzarli è con la ricotta fresca, anche se nella nostra montagna si usa consumarli incicciati, cioè ripieni di pasta di salsiccia. Se si utilizza la pancetta rigata, meglio conosciuta come rigatino, si parla di necci guerci.
Una variante contemporanea e forse preferita dagli adolescenti è quella che prevede una abbondante spalmata di crema di nocciole.
Gli ingredienti per sei persone sono: 500 g di farina di castagne,1 cucchiaio di zucchero, sale, foglie di castagno, acqua. Per chi non è capace, basterà poi chiedere in casa o dal vicino come prepararli.
Due parole in più su ricotta e rigatino
La Ricotta di pecora Pistoiese, ideale abbinamento con il neccio, è un PAT cioè un prodotto alimentare tipico, prodotta con una tecnica rimasta invariata nel tempo.
Ha una forma troncoconica di colore bianco e consistenza molle. Le pezzature variano fra 1-1,5 kg.
La tradizionalità del prodotto è legata all’impiego del latte di provenienza locale e di alta qualità, grazie alle condizioni pedoclimatiche dei pascoli.
Anche il rigatino ha un riconoscimento PAT, ma a differenza della pancetta si ricava dalla parte superiore del maiale, fra il lardo (che è la schiena del maiale) e la pancetta vera e propria (che è la pancia appunto). Il rigatino si chiama così perché in mezzo alla massa grassa si notano delle vere e proprie righe di magro. Ha una caratteristica forma rettangolare dello spessore di circa quattro centimentri. Per assaporare al massimo le sue qualità va affettato molto fine.
Altri piatti con le castagne
Si parla di ballotti (nel pisano vengono chiamate al femminile e cioè ballotte) quando le castagne vengono mangiate dopo una bollitura con finocchio o semi di finocchio.
Si parla invece di frugiate o caldarroste quando sono arrostite sulla fiamma, poi abbiamo la farinata, la polenda, il castagnaccio e le frittelle.
Per la farinata occorre aggiungere all’ingredienti tipici del neccio anche una bustina di lievito di birra disponendo poi l’impasto su una teglia e infornare.
La polenda, i cui ingredienti sono farina di castagne, acqua e sale, viene preparata in un paiolo e mescolata con un lungo mestolo di legno, una volta pronta si taglia con un filo di cotone.
Il castagnaccio, preparato con farina di castagne, pinoli, uvetta, olio extra vergine, acqua, rosmarino e gherigli di noci, dà l’idea di quanto siamo fortunati ad abitare le terre alte della provincia pistoiese.
Per finire, le frittele di castagne sono dolci semplici preparate con farina di castagne, uova, zucchero, latte intero, lievito per dolci, uvetta e scorza d’arancia. Un tuffo nell’olio di arachide e gustate con una spolverata di zucchero a velo.
Concludo con un proverbio che la dice lunga sulla condizione dei nostri nonni nelle fredde giornate di montagna che con saggezza così si rivolgevano ai nipoti:“Che ti garbi o che tu mugoli, pan di legno e vin di nuvoli”.