Non sono suonate le campane a Campeda perché chiesa e campanile sono sprangati in questo paesino disabitato.
L’occasione lo avrebbe meritato, visto che quel giorno passava di lì un segnale rincuorante.
Nella silente Campeda è molto più facile che risuoni il rumore del passaggio di ungulati in frotte (cinghiali e ruminanti) che il passo di un viandante. Non è stato così venerdì 21 maggio in cui tra le quelle quattro case e i boschi intorno si sono viste aggirare due figure umane seriamente intente a osservare la realtà attuale. Luoghi ben conosciuti da chi scrive, che lì è nato e cresciuto proprio in quegli anni Cinquanta in cui su questi monti tramontava un’epoca di sopravvivenza durata secoli: chi avrebbe mai detto che quel mondo finisse lì, per sempre! Parte di mondo sconosciuta al fiorentino Yamuna Giambastiani, giovane dottore forestale che con altri colleghi dell’Università di Firenze ha dato vita alla start-up Bluebiloba che col progetto Forest sharing punta al recupero e alla valorizzazione dei boschi abbandonati.
Le forti emozioni sono cominciate già nel raggiungere Campeda salendo in auto sull’unica strada che ciò consente, avendo pratica e coronarie adeguate. Siamo nella punta estrema delle sponda toscana del fiume Reno, nella vallata più ad Ovest delle quattro che formano il Comune di Sambuca Pistoiese.
La realtà che abbiamo davanti parla chiaro, vero Dottor Yamuna?
“Sicuramente l’abbandono salta agli occhi, e questo è un abbandono nel vero senso della parola e ormai datato, anche se ovunque il territorio intorno conserva i segni di come il bosco e i campi (di cui rimangono solo tracce) siano stati il sostegno di comunità per molto tempo, e perdere tutto ciò significa sprecare conoscenze e risorse che in passato erano la base della vita”.
L’affezione ai luoghi ha fatto sì che queste case, ora tutte chiuse per buoni undici mesi l’anno, siano fuori e soprattutto dentro molto più belle e confortevoli – ironia della sorte – di quando erano piene di gente tutto l’anno. Ma tanto la progenie originaria quanto i nuovi arrivati vengono qui per godersi le vacanze in piena quiete e respirare aria buona, non certo per spezzarsi la schiena in lavori agresti che nessuno sa più fare. Anche la maggior parte degli orti intorno alle case sono incolti e abbandonati a se stessi. Di grazia che vengono ripulite (dai soliti) le strade e questo bel prato che stiamo attraversando, ma appena ci addentriamo nel bosco… giudichi lei!
“I boschi mostrano una forte interazione con le attività antropiche passate: castagneti e muri a secco sono segni di un passato remoto, arrivato integro fino a pochi decenni fa. Ma sono presenti anche i segni di una gestione più recente, e mi riferisco ai rimboschimenti di conifere, il cui abbandono crea notevoli impatti e disastri spaventosi: in zona avete l’esempio della frana di Pracchia! L’abbandono porta in tempi brevi alla distruzione di questo tipo di formazioni, per tendere a qualcosa di più naturale. Questo nuovo passaggio – se lasciato alla Natura – chiederà molti decenni, se non secoli. Nel frattempo chi continua a vivere su questo territorio è costretto a subirne i disagi conseguenti, in primis una viabilità resa precaria di continuo”.
A parte la strada comunale che abbiamo appena percorso (che quanto a problemi non ha eguali), ricordata per inciso la frana rovinosa che ha colpito la Statale 64 Porrettana in località Pavana a inizio febbraio 2019 (con conseguenze economiche disastrose), non si salvano neppure mulattiere e sentieri come può ben vedere davanti a lei, mentre camminiamo. Ogni pochi metri uno smottamento a monte o un muro crollato a valle…
“L’erosione continua del terreno porterà questi crinali ora così verdi a diventare aridi calanchi come è dato vedere, non lontano, sul versante bolognese di fronte all’abitato di Ponte della Venturina. Ma se questo richiederà tempo (non meno di un secolo), sussiste un pericolo ben più imminente. Le acque non più regimentate aprono continue ferite sul terreno portando giù di tutto, col conseguente innalzamento del letto dei fiumi e il progressivo trasporto a fondovalle di ogni sorta di detrito. Fiumi qui poco più di torrenti, il Reno e il Panaro, già conquistano periodicamente gli onori della cronaca per gli allagamenti provocati nel circondario di Bologna e Modena, fenomeni destinati in un futuro molto prossimo a provocare vere e proprie catastrofi”.
Impressionante la potenza dell’acqua… facciamo l’esempio di questo fosso che abbiamo davanti, oggi completamente asciutto per un fenomeno carsico frequente su questi monti: l’acqua che precipita da quella cascatella, appena una quindicina di metri sopra il punto in cui troviamo, prende un percorso sotterraneo per poi riapparire là sottostrada poco distante. Bene, osservi il materiale che la scorsa estate abbiamo riportato ai lati del fosso oltre ai macigni utilizzati per ricostruire il muro sul quale appoggiamo piedi in questo momento. Guardi quel pioppo lì sotto alto trenta metri sradicato come un fuscello. Ma è anche vero che il bosco si fa giustizia da solo: la forte inclinazione delle coste certo non aiuta, mentre la robinia come vede fa la sua parte…
“Il bosco circostante il fosso mostra però una notevole naturalità e quindi un elevato pregio ecologico, con soprassuoli a dominanza di carpino nero nelle esposizioni a nord e cerrete esposte al più mite sud. Vecchi cedui che oggi sono ormai invecchiati, ma che potrebbero essere convertiti alla fustaia per una gestione sostenibile e anche produttiva. Un tempo il ceduo era necessario in quanto c’erano solo muli e accetta per effettuare gli interventi. Oggi abbiamo investito tanto nella meccanizzazione che in luoghi come questi, se usata bene, può fornire un notevole supporto alla tutele e manutenzione del territorio. La cosa che però serve è adottare delle strategie di pianificazione, quindi fare delle scelte consapevoli! Possiamo decidere di rilasciare tutto o in parte alla libera evoluzione, monitorando le successioni ecologiche e verificando che i fenomeni naturali procedano nel migliore dei modi, anche in relazione al riscaldamento globale, all’arrivo di patogeni esotici, allo sviluppo di specie aliene. A tal proposito citiamo la robinia, che sempre più prende spazio nei nostri boschi lasciati a loro stessi, come i castagneti, i quali invecchiando cedono spazio all’espansione di questa specie tanto invasiva quanto affascinante per le sue caratteristiche. La robinia produce un ottimo legname da costruzione, ha una notevole durabilità in opera e potrebbe essere impiegata per costruire strutture di ingegneria naturalistica per prevenire e ripristinare i dissesti idrogeologici. Inoltre, grazie all’azotofissazione, arricchisce il terreno in preparazione per le future successioni. Anche questa specie, se gestita bene, può dare i suoi frutti in termini di tutela del territorio”.
Capisco che questa da lei ora prospettata può essere una soluzione. Soluzione, mi permetta la franchezza, non certo gradita a quanti come me credono nel futuro di questi monti e rimangono convinti che sia possibile che la gente possa ritornare ad abitarli in forma stabile.
“Una precisazione: parlare di evoluzione naturale serve per dare la visione della gestione sostenibile nei luoghi in cui non si deve parlare di attività produttiva come unica via di valorizzazione. Ed è giusto così, nel senso che in tutti i territori ci sono ambienti da conservare e rinaturalizzare per riportarli ad una condizione di stabilità ecologica. Questo è l’errore che fanno molti esponenti dei movimenti ambientalisti, che vedono l’evoluzione naturale come unica via di tutela. Ma non è così. Ci vuole l’equilibrio: conservazione ma anche economia (ben diversa da sfruttamento). La possibilità di valorizzazione passa anche dall’evoluzione naturale dei soprassuoli, implementata grazie al sostegno diretta da parte di attori che creano forti impatti ambientali, come meccanismo di compensazione. È una possibilità di sviluppo da tenere in considerazione per quei luoghi che mostrano seri problemi e una totale impossibilità di dare alcun reddito, ma che svolgono importanti funzioni di protezione dell’ambiente”.
Al proposito, questo è un ambiente antropizzato da più di mille anni, ricco di storia e di saperi oltreché di risorse ambientali, un ambiente che le attuali conoscenze scientifiche e i mezzi tecnologici oggi disponibili consentirebbero di trasformare in pochi decenni con un duplice risultato: dare lavoro e riportare questi versanti ad essere veri e propri giardini, quelli della mia infanzia.
“La cura del territorio si attua attraverso il presidio, quindi con persone che vivono nel e grazie al territorio, alle campagne e ai boschi, non solo che ci vanno in vacanza. Se ci teniamo al nostro territorio e sentiamo l’esigenza di curarlo e mantenerlo sano, è necessario quindi riportare un’economia dei nostri boschi. Non possiamo pensare che la cura del territorio sia attuata da politiche di sostegno e contributo a fondo perduto. I soldi finiscono velocemente e i problemi rimangono. Sempre più assistiamo ad interventi produttivi in bosco con elevati impatti: questo perché non sono più sostenibili, quindi dobbiamo spremere il più possibile quei pochi ettari trattati, affidandoci al lavoro nero, cantieri precari riguardo la sicurezza, scarsa conoscenza dell’ambiente e poco rispetto della natura. Questo è ciò che ormai siamo abituati a vedere, perché il settore è ad un livello molto basso.
La gestione forestale sostenibile ha tutte le potenzialità per cambiare il paradigma attuale in meglio, e gli esempi virtuosi non mancano, anche in Toscana (ad esempio la Foresta Modello della Montagna Fiorentina, la comunità del bosco del Monte Serra, etc). Pianificando gli interventi e valorizzando i molteplici servizi ecosistemici che il bosco può fornire è possibile ritornare alle foreste con benefici ambientali importanti. Primo su tutto, attivare filiere locali di produzione e consumo di prodotti legnosi, e in questo modo limitare l’importazione di legname dall’estero (ricordo che l’Italia è tra i primi importatori di legname al mondo – circa l’80%, benché abbia più del 40% della superficie coperta da boschi). Per chi lavora in bosco avere la prospettiva di un territorio da curare porta certezze e rispetto. La strada che percorro oggi per fare un intervento, mi servirà domani per proseguire l’attività, sarà mio interesse mantenerla in buone condizioni! Una buona viabilità può essere un’opportunità turistica per chi ama fare passeggiate e trekking in montagna, che avrà bisogno di ristori, incrementando così le possibilità di lavoro. Inoltre una buona viabilità costituisce una infrastruttura fondamentale per la prevenzione antincendio e dal dissesto idrogeologico.
La pianificazione forestale, per essere sostenibile, deve interessare ampie estensioni di bosco, per favorire economie di scala e monitorare l’impatto degli interventi. Inoltre diventa sostenibile anche l’applicazione di strumenti di analisi ad alto contenuto tecnologico basati sul telerilevamento (satelliti, droni). Questo è lo scoglio più grande da superare, in quanto la proprietà forestale è estremamente frammentato, e per sviluppare un sistema sostenibile è necessario ricostruire comunità di proprietari che condividano la gestione. Forest Sharing propone proprio questo, ripartire dal basso, dai proprietari, che vengono aggregati da una piattaforma digitale che promuove la gestione forestale sostenibile con un meccanismo basato sull’economia condivisa, dove il valore si crea con le persone”.
Già, questi proprietari oggi così sfiduciati e rassegnati al “tanto peggio” per averne in passato sentite tante di promesse roboanti, calate dall’alto e finite chissà dove… Sono convinto invece che la proposta di Forest Sharing parta col piede giusto: il coinvolgimento dei proprietari, chiamati finalmente ad essere co-protagonisti di una sfida certo non facile, ma possibile. Assistere al ripristino graduale dei boschi e al progressivo recupero dell’ambiente sarà il più bel regalo che gli attuali proprietari potranno portare non solo alla memoria degli avi che su questi crinali hanno consumato esistenze di fatiche e sacrifici, ma anche alle nuove generazioni che sapranno apprezzare il ritorno ad un sistema di vita più vicino alla natura grazie proprio alla rigenerazione dell’ambiente montano.
Oggi la Giornata Mondiale dell’Ambiente
La pubblicazione di questa intervista nel giorno stesso in cui si celebra la Giornata Mondiale dell’Ambiente non è casuale, tanto più che quest’anno il tema è dedicato al ripristino degli ecosistemi. E se c’è un ambiente che va recuperato dall’abbandono e conseguente degrado è proprio quello dei nostri monti, dove luoghi e boschi sono da troppo tempo lasciati ad un rapido declino. E la gente fugge dalla montagna, mentre le terre alte possono offrire oggi più che mai risorse economiche importanti ed una qualità della vita in perfetta simbiosi con la natura.