Dopo le prime pagine de La Torrenta, l’ultimo romanzo di Federico Pagliai, ho avuto la precisa sensazione che mi mancasse qualcosa: un caminetto acceso, dei bimbi intorno, o meglio, un’atmosfera particolare perché l’incipit mi è sembrato quello di una bella favola, con tutti gli ingredienti del caso, compresa la morale. Insomma, una chiave di lettura della nostra montagna dettata da un poeta-bambino, che conosce i nostri balzi come pochi altri, che li sa amare incondizionatamente e che si rapporta ad essi come ad un miracolo vivente.
Anche i personaggi sembrano “favolosi” e agiscono come attori di un grande copione unico, dettato da Madre Natura, tutti vivi e mai confinati a comparse, a riempitivi, anzi tutti chiamati ad essere protagonisti, per ricordarci che la goccia d’acqua, l’abete spione, il fiocco di neve, il vento, il fosso bimbo, la foresta sonnecchiante, i paesi addormentati raccontano, tutti, piccole storie di un’immensa Storia collettiva.
Poi, proseguendo nella lettura del romanzo, al poeta bambino si affianca il montanino verace che, con il consueto piglio polemico ma anche con tratti di grande pietà umana, narra un mondo a molti ignoto, con vicende ora tragiche, ora più o meno nobili, ma sempre profondamente “vere”, che hanno un filo rosso in comune, la Lima (La Torrenta, appunto), il corso d’acqua lungo le cui rive Federico è nato e cresciuto.
Ma è meglio sentir lui.
Caro Federico, penso che soltanto chi è nato su un torrente o su un fiume ne comprenda il messaggio più profondo, perché l’acqua ha una sua voce, un’anima, è come una madre. Non credi?
“Assolutamente si. Per chi, come me, è nato e cresciuto con il sottofondo musicale di acque che scorrono, le acque di un torrente rappresentano un “ritornare a casa” che, nel libro ma anche nella mia concezione di vita, non ha da essere un qualcosa di nostalgico. E’ il richiamo di madre terra, un richiamo che nelle valli appenniniche, così profondamente solcate dai fossi, diventa un concerto di acustiche mai uguali a se stesse: quando ero piccolo riuscivo a capire, dal chiuso della mia cameretta, che tempo stesse facendo ascoltando proprio le voci del torrente. Mi riapproprio e racconto di queste acustiche, in questo libro. Ma non è un’esperienza al singolare: è un qualcosa che qualsiasi uomo o donna che ha trascorso esistenze vicino a un corso d’acqua può condividere”.
Il tuo nuovo romanzo racconta tante storie, tutte legate a un’ unica storia. Come lo definiresti in chiave narrativa?
“Il libro è un mosaico tenuto assieme dal filo narrativo proprio delle acque in scorrimento verso il mare. In tempi di “contagio” è importante contrapporre questa parola al termine “connessione”. Si, perché le acque connettono un po’ tutto e tutti, sono l’elemento madre di ogni espressione di vita. Definirlo in senso narrativo non è cosa immediata: non è un saggio e nemmeno un romanzo, nel senso stretto del termine. Lo definirei una raccolta di raccolti romanzati che trovano origine e prendono poi forma da un comune luogo e da un altrettanto comune elemento naturale”.
Suppongo che in molti ti chiederanno il motivo per cui hai scelto questo titolo…
“Si, davvero molte le domande sul perché abbia intitolato il libro “ La Torrenta! Se a tante domande corrisponderà pari numero di copie lette, beh…sarebbe tanta roba! Battute a parte, il titolo deriva dalla toponomastica che le genti che hanno vissuto sul bordo del Lima ha sempre dato al torrente: non l’ho mai sentito chiamare al maschile, ovvero il Lima ma sempre con il nome declinato al femminile, La Lima. Del suo comportamento femmineo ne ho avuto ulteriore riprova percorrendo passo dopo passo il suo alveo. Da parte della Torrenta c’è sempre un accogliere dolce, premuroso e mai violento quando riceve e prende in carico altri torrentelli. E anche quando incontra il più maschile Sestaione, il torrente che il Dio Penn ha donato a questi Apenninini, ecco che la Lima evidenzia il suo genere sessuale”.
Molte opere letterarie si sono ispirate al “viaggio”, inteso come narrativa a metafora della vita. Per te che senso ha avuto questo viaggio lungo il corso della Lima?
“E’ stata una rivisitazione di luoghi che mi riportano per lo più ai primi anni di vita, un’esperienza mai nostalgica ma espressione di un viaggio più attento, consapevole e dove sono state le cose più piccole a soddisfare la mia innata curiosità: tutti aspetti che non si possono notare se non standoci dentro, a un corso d’acqua. Durante questo cammino ho avuto modo di capire ancora di più un aspetto: i ricordi non stanno dentro di noi, ma si trovano e rinvengono esattamente nei luoghi dove essi si sono formati. Ci aspettano lì. Tornare in certi posti significa farli riaffiorare alla memoria, ma non sono dentro di noi”.
“In montagna niente sta e tutto scende”. Così dici all’inizio di un capitolo del romanzo. E’ un destino ineluttabile anche per la sorte dei nostri paesi?
“Intanto è una considerazione meramente geologica, che il discutibile controllo e regimazione dei fossi va a contribuire nei suoi effetti. Per quanto riguarda i paesi, tutto scende e tutto scenderà fintanto che la montagna è percepita, vista e usata come posto di cui ricordarsi soltanto quando fa comodo perché altrove si schianta dal caldo o perché c’è da prendere funghi o altro. Tuttavia, credo e spero in un trend inverso: per motivi essenzialmente collegati alla salute, mentale e fisica, in molti volgeranno in futuro lo sguardo verso l’alto cercando di tornare ad abitare nei borghi, ad oggi dimenticati per undici mesi all’anno, dell’ Italia interna. Sarà un passaggio delicato perché non dovremo cadere nell’errore di trasformare le terre alte in un surrogato, spostato a una maggiore altezza sul livello del mare, delle città e chi vorrà venire quassù sarà il benvenuto. A patto che accetti e assomigli alla montagna e alla sua specifica cultura, però”.
Quale storia di uomini ti ha emozionato di più nel narrarla?
“Mi hanno emozionato di più le acque. Ma se devo darti una risposta scelgo il capitolo “Di asfalto e di acque”. Quelli narrati in tal capitolo erano due amici e quando, nello scendere la torrenta, sono passato a pochi metri dall’officina di Provella non potevo non raccontare la loro grande amicizia in tempo di vita e le due gocce di acqua che ne simboleggiavano l’eternità”.