“Le cose che io dico non so se sian vere fuor che nella mia fantasia: prego dunque il lettore a non ricercarle più in là di questo libro, che sarebbe inutile per sé e per gli altri, e metterebbe me nell’imbarazzo di doverle spiegare. Fo conto di raccontar una favola.”
// Policarpo Petrocchi – Il mio Paese – 1880
Una favola
Sembrava proprio una favola quella che abbiamo vissuto sabato 3 ottobre a Castello di Cireglio.
Il cielo, cupo, con nuvole basse e pioggia imminente, toccava la terra selciata dove i nostri passi curiosi ci facevano addentrare nei vicoli del paese.
La via maestra dei tempi che furono ci conduce e ci culla, tante sono le storie, una per ogni sasso.
La fantasia veloce corre, ma noi, piano piano, scopriamo che qui suona anche una torre.
Ogni angolo è scoperta, ogni parola ci lascia a bocca aperta.
“Passano gli anni i mesi, e se li conti anche i minuti” il Tempo è sempre “un giudice” poco clemente;
ma i piccoli particolari delle vecchie storie sono gli appigli dei ricordi, per non farli scivolare via, per non farli cadere nell’oblio.
Fra un passo ed una parola, come in un racconto di avventura, arriviamo sulla vetta della Montagna dove lo sguardo riesce ad arrivare lontano, oltre le nubi, e dove l’animo trova pace.
Rinfrancati dalla spazialità della visione, adesso siamo pronti a trovare ristoro alla futura Locanda della Sapienza, e tanti nuovi amici ci vengono incontro per allietarci il cammino.
Ma strada facendo, due fermate ancora sono d’obbligo.
La pieve di San Rocco
E la Casa di Policarpo Petrocchi
Dentro è un labirinto fisico ed emozionale: il passato ed il presente, le persone ed i luoghi, la Storia di tutti e le vicende personali… un turbine che scaturisce dalla voce appassionata ed emozionata della discendente diretta dello scrittore, Lucilla Gazzolo.
Arrivati all’ultimo piano, la sala con vista racchiude il senso di legame, qui la visione d’insieme del territorio è a stretto contatto con la visione interiore, creando un tutt’uno, una Unità di ideali, come quella Bandiera Italiana, che leggenda vuole, fu consegnata direttamente dalle mani di Garibaldi.
La Locanda reclama i saggi, ed io non vedo l’ora di assaporar gli assaggi.
Subito c’è stata intesa anche se non si poteva stringer la mano tesa.
Si dispongono tavoli e sedie, distanze spaziali e avvicinamenti mentali,
parola dopo parola, passo dopo passo, di tanti intenti ne faremo una cosa sola…
“Qualche volta in mezzo ai miei trionfi mi toccava di quei rossori che li sentivo per un pezzo: quei montanini mi domandavano, a me che sapevo di lettura, che gli dicessi la storia di Leone e di Bradamante nell’Ariosto, che la dovevo saper di sicuro, e non la sapevo. Ahimé! trovavo una scusa, che l’Ariosto non mi piaceva. O grande ombra del poeta di Ferrara perdonami! Mi venne però una gran voglia di leggerlo, e lo chiesi a mio padre, e me lo diede non purgato, intero com’era e a sentirlo … ”
// Policarpo Petrocchi – Il mio Paese – il manoscritto termina senza che il periodo – e il romanzo – sia compiuto.
Mi piace pensare che questo romanzo incompiuto possa riprendere dai giorni nostri, da quei luoghi che si sono trasformati dal tempo, ma che hanno mantenuto la loro identità; possa riprendere da quelle mani sapienti delle persone che qui hanno scelto di vivere e lavorare; da quelle menti forti che credono ancora nell’Amicizia e negli intenti comuni.