Il breve articolo che segue, scritto da Alessio Fornasin, docente del Dipartimento di Scienze Statistiche dell’Università di Udine nonché Presidente della Società Italiana di Demografia Storica, è estremamente esemplificativo in termini di metodo e di merito e contiene risposte, dati alla mano, ad un annoso problema: lo spopolamento della Montagna negli ultimi 30-40 anni.
L’ambito territoriale in cui è stata condotta la ricerca è la Valcanale, una valle friulana di confine tra Italia, Austria e Slovenia: un fazzoletto di terra che però testimonia come scelte politiche lungimiranti alla lunga diano risultati positivi e, per contrario, altre più miopi incidano negativamente sul presidio delle aree marginali.
La Valcanale è un piccolo lembo di territorio alpino all’estremo nord-est del paese. Qui passa il confine tra Italia, Austria e Slovenia. Qui si incrociano culture diverse, lingue diverse e, naturalmente, amministrazioni diverse. I tre comprensori confinanti si assomigliano dal punto di vista economico e sociale, ma negli anni hanno adottato strategie diverse per contrastare quello che oramai nel nostro paese, specie nelle aree montane, è diventato un problema che non pare ammettere soluzione: il calo demografico. Gli effetti di queste strategie sono evidenti. Dal censimento del 1991 a quello del 2011 i comuni italiani hanno perso il 23% dei loro abitanti, quelli sloveni il 2%, mentre sono addirittura in crescita, sebbene di un modesto 1%, quelli austriaci.
Il raffronto fra realtà diverse
Sono questi alcuni dati messi in evidenza da Francesco Migliore nella sua tesi di laurea triennale discussa presso l’Università di Udine nel non lontano 2017. Nel suo lavoro, intitolato “Lo spopolamento montano nell’arco alpino sudorientale”, Migliore ha analizzato 17 comuni, 6 italiani, 5 sloveni e 6 austriaci, tutte piccole o medio-piccole realtà prossime al confine. L’analisi è stata condotta sui dati ufficiali messi a disposizione dai tre istituti nazionali di statistica: Istat (per l’Italia), Statistik (per l’Austria) e Stat (per la Slovenia). «Lo spopolamento che coinvolge l’area italiana – spiega Migliore nella tesi – è da imputarsi a una emigrazione definitiva. A emigrare da questi territori montani sono soprattutto i giovani in età lavorativa, spinti dalla ricerca di migliori prospettive di vita». Naturalmente questa emigrazione selettiva ha effetti negativi che si ripercuotono sulle caratteristiche dell’intera popolazione: meno giovani vuol dire anche meno nascite, una bassa natalità implica un invecchiamento della popolazione. Queste conseguenze sono ben avvertibili nel confronto tra i tre contesti. Nel 2015 l’età media era di 49 anni nella Valcanale, di 45 nel gruppo dei comuni austrici e di 44 in quelli sloveni.
Il crollo dell'”economia di confine”
Nelle immagini sopra, Dogna (a sinistra) e Blad Bleiberg (Austria). Sotto la chiesa di Resia (a sinistra) e Lussari
Le differenze tra questi territori sono ancora più impressionanti alla luce del recente (e comune) percorso storico. L’entrata nell’Unione europea di Austria (1995) e Slovenia (2004) ha agevolato i flusso di merci e gli spostamenti tra queste realtà. Allo stesso tempo, però, ha determinato un vero e proprio crollo di un certo tipo di “economia di confine”. Con il patto di Schengen, infatti, sono state abolite le frontiere doganali. In un tempo relativamente breve è venuto a mancare dovunque l’indotto garantito dalla presenza degli apparati dello stato posti a controllo dei confini: esercito, personale di dogana, eccetera. L’apertura dei confini ha portato, nella Valcanale, ad una crisi anche nei settori del primario e del secondario, complici le delocalizzazioni di alcuni stabilimenti e la chiusura di altri. Anche il settore terziario ha conosciuto una flessione, comune in questo caso a Slovenia e Austria. I due Paesi confinanti, però, hanno attuato un processo di riconversione economica puntando oltre che sul turismo, che ha offerto sbocchi occupazionali, anche investendo su attività del secondario.
Il differenziale fiscale e contributivo
Un altro fattore discriminante tra i tre territori è stato il differenziale fiscale e contributivo, più favorevole per Slovenia e Austria, dove i vantaggi sono numerosi e attraggono lavoratori e aziende italiane: imposte, accise, costo del lavoro, prezzo dei carburanti, contributi previdenziali. A favore di Austria e Slovenia, poi, ha giocato anche un il costo della vita e dei servizi più basso. Nella parte italiana, invece, come in una spirale senza fine, ha cominciato a contrarsi l’offerta di servizi, come scuole, asili, uffici postali, sportelli bancari, negozi di generi alimentari…
Le politiche possono frenare l’esodo dalle montagne
Il lettore ora si chiederà, al di là dell’ovvia condizione “montana”, cosa c’entrano le Alpi con gli Appennini e perché quello che è successo e sta succedendo nelle montagne tra Italia, Austria e Slovenia sia rilevante per tutte le montagne del nostro paese. La risposta è che vicende demografiche tanto diverse, in un contesto geografico così ristretto, riguardante delle realtà con forti analogie sociali ed economiche, si spiegano, per una buona parte, con le politiche messe in atto dagli stati. Il risultato è che in Austria e in Slovenia l’esodo dalle montagne è stato contenuto, in Italia no.
Lo spopolamento non è ineluttabile
Lo spopolamento, possiamo quindi concludere, non è il destino ineluttabile né delle Alpi né degli Appennini. Gli strumenti per contrastare questo fenomeno, che pare inarrestabile, esistono e dove sono stati utilizzati funzionano, creano benessere, trattengono non solo gli anziani, ma anche i giovani. Non sarebbe inutile prendere spunto da quelle realtà che “funzionano” meglio delle nostre, per cominciare ad affrontare in maniera fruttuosa un problema che, oramai da troppo tempo, viene solo evocato ma non contrastato.