L'intervista  |  luglio 2, 2019

La pace fra Bologna e Pistoia, siglata in montagna 800 anni fa

Quest'anno la ricorrenza dell'intesa del 1219, che riscrisse i rapporti delle città e della montagna. Il professor Giampaolo Francesconi, famoso medievalista pistoiese, spiega le vicende ed il contesto di quel travagliato momento storico. E illustra come la "pace di Viterbo" siglava un quadro di tensioni di media o lunga durata per il controllo e la gestione del confine appenninico. La sovrapposizione di fattori locali e non nella contrapposizione fra le due città

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Le ricorrenze che ci tramanda la Storia sono tante, alcune più importanti, altre meno. Quest’anno ve n’è una particolarmente significativa per la nostra Montagna, cioè gli 800 anni dalla Pace siglata tra Pistoia e Bologna, dopo una lunga contesa per il controllo dei confini appenninici.

La Pace fu firmata a Moscacchia, nei pressi di Badi, il 6 Dicembre 1219 e la sua importanza è dovuta al fatto che, da quella data in poi e fino ai nostri tempi, i confini tra le due province sono rimasti sostanzialmente invariati.

Su questo basilare avvenimento abbiamo intervistato il professor Giampaolo Francesconi, famoso medievalista pistoiese, che ha brevemente illustrato le vicende ed il contesto di quel travagliato momento storico.

Tutte le foto dell’articolo sono tratte dalle Cronache di Sercambi e sono relative a contesti diversi da quello della montagna pistoiese. Servono a rendere l’idea della guerra e del suo contesto

 

Professore perché studiare una pace come quella di Viterbo del 1219?

“La pace di Viterbo del 1219, a ottocento anni dalla sua ratifica, ci consente di proporre una riflessione sulle relazioni politiche fra due importanti città dell’Italia comunale come Bologna e Pistoia. E ci permette, insieme, di dedicare un pensiero alle tendenze, anche di metodo, della storiografia dei nostri giorni, tenendo di conto che il mondo degli studi, come molti altri settori della nostra società, è soggetto alla moda e alle variazioni del gusto. La pace siglava, infatti, un quadro di tensioni intercittadine di ormai media o lunga durata per il controllo e la gestione del confine appenninico. Di tensioni che avevano avuto anche sviluppi militari, per quanto probabilmente meno duraturi e significativi di quanto si sia spesso pensato.

La cosiddetta guerra fra Bologna e Pistoia che precedette il trattato di pace s’inserisce bene in quella una nuova attenzione da parte degli storici, e dei medievisti in particolare, nei confronti della storia militare, della storia delle battaglie, di quegli eventi che solo fino a qualche decennio fa sarebbero apparsi come l’impensabile coda di una histoire evenementielle di marca ottocentesca e del tutto inaccettabile per la cosiddetta nouvelle histoire debitrice delle conquiste della storiografia francese e non soltanto. Si è così tornati a studiare le battaglie con un’ottica nuova, la stessa che aveva adottato Geroges Duby nella sua ormai classica Domenica di Bouvines, quella cioè che vuole l’evento militare come il rivelatore di tutta una serie di vicende e di strutture più profonde, anche per l’azione svolta nella stessa percezione e nella memoria lunga dall’evento stesso. Non si spiegherebbe altrimenti il fiorire, anche continuo, di studi monografici su grandi battaglie che hanno segnato la vita politica del Medioevo italiano come Legnano, Montaperti, la Meloria e così via. La cosiddetta guerra fra Pistoia e Bologna non ha goduto di un’attenzione così ravvicinata, non lo consentirebbero le fonti disponibili e nemmeno l’importanza specifica delle tensioni politiche che sfociarono da quel confronto. Rimane il fatto che gli storici dei due versanti dell’Appennino si sono misurati a più riprese con i fatti, esili a dire il vero, che segnarono quelle tensioni e la pace che ne conseguì”.

Qual è il contesto storico in cui si collocano le tensioni tra Pistoia e Bologna?

“Per comprendere le tensioni fra Bologna e Pistoia è necessario allargare lo sguardo al quadro più generale dei rapporti fra città e a quel processo che tanta parte svolse nella vita dei comuni italiani del secolo XII, noto come la formazione del districtus, del territorio cioè sul quale le città esercitavano le loro prerogative politiche, economiche e giurisdizionali. Pistoia e Bologna furono abbastanza rapide nella costruzione del loro spazio politico extracittadino e in quel processo di allargamento al di là delle mura urbane, la montagna divenne un luogo di frizioni, di interessi conflittuali e di scontri ripetuti. In un contesto, peraltro, in cui la sovrapposizione delle giurisdizioni e l’intreccio nell’esercizio dei diritti politici era reso più complesso dalla presenza di signori di antico radicamento, come il vescovo di Pistoia, gli Stagnesi, gli Alberti e, più sullo sfondo, i Guidi. Non si trattava, pertanto, di frizioni che dipendevano esclusivamente dalla necessità di definire una linea confine, quale poteva essere quella continuamente obliterata dello spartiacque o del fiume Reno, ma piuttosto quella di consolidare egemonie sociali o di mantenere i collegamenti con le risorse e le popolazioni locali, all’interno di una realtà peraltro in cui certi assetti avevano una durata secolare”.

E quale peso ebbero per le popolazioni della montagna?

“Le cause della guerra, se di guerra vogliamo continuare a parlare, vanno ricercate in questa miscela composita di interessi, di legami incrociati, di punti di vista che mettevano in contatto e, anche in contrasto, le città fra di loro e le città con le compagini signorili e quindi con le comunità e le popolazioni locali. Un punto di vista quest’ultimo, purtroppo, troppo spesso dimenticato, un pò per la ovvia reticenza delle fonti, un po’ per la tendenza a privilegiare il piano delle definizioni diplomatiche e istituzionali che deriva dal linguaggio formalizzato delle carte o degli accordi diplomatici. La storia si fa con le fonti, ma dovere dello storico è anche quello di leggere fra le righe e di immaginare cosa ci potesse essere oltre la scrittura di un giudice o di un notaio. E allora scopriremmo, probabilmente, che le popolazioni della montagna avevano vissuto quegli anni di scontri, di scaramucce fra uomini armati, senza una reale partecipazione che non fosse quella che andava ad interrompere i legami di “amicizia”, quel sistema di riconoscimenti e di fedeltà consolidate che si dovevano a chi ci si era sempre rivolti o a chi si era versato un tributo, si era prestato un servizio o da cui si era ricevuto fedeltà. Che fosse un homo del vescovo, un vassallo degli Stagnesi o un messo del Comune non doveva cambiare molto, purché non si incrinasse quel rapporto di fiducia e di riconoscimento che era alla base delle relazioni verticali fra governanti e governati. I legami di fedeltà e di clientela passavano, del resto, proprio attraverso la routine della consuetudine e della stima”.

Si sovrapposero fattori locali e fattori più ampi nella contrapposizione fra le due città?

“Sarebbe allo stesso modo superficiale non riconoscere che i castelli e le comunità montane svolsero un ruolo non secondario in alcuni momenti di quella pluridecennale contrapposizione fra città, almeno dalla metà del secolo XII in poi. Il “protettorato” che il Comune di Pistoia era riuscito a stabilire nelle vallate della Limentra occidentale, anche sulla base dei legami con il vescovo su Sambuca e con i signori di Stagno, si pensi al castello di Bargi e alla cessione del 1179, aveva prodotto effetti inevitabili, sia a livello locale, sia a livello regionale: aveva di sicuro provocato la reazione bolognese che vedeva alterati i diritti su tutta una fascia sensibile intorno allo spartiacque, ma anche su alcune chiese parrocchiali come quelle di Casio, di Succida e di Guzzano. A questo scenario che si giocava fra castra e chiese della montagna si dovranno aggiungere le interferenze che si legavano al contesto più ampio delle alleanze della famiglia Guidi con Firenze e con Bologna: il sistema trasversale dei giochi di potere esplodeva in una scacchiera dai confini mobili e dagli interessi allargati. Gli anni fra il 1204 e il 1205 risentirono di questo sistema intricato di relazioni e degli attacchi armati che trovarono una prima sanzione pacifica nel 1207. Di lì a qualche anno poi, nel 1211, l’esercito bolognese riprese l’iniziativa di contrastare più duramente l’espansionismo pistoiese nelle valli della Limentra, con effetti anche paradossamente contrari dal momento che le forze pistoiesi riuscirono a discendere la valle del Reno fino a Granaglione, Castiglione, Porretta, Casole e Gaggio. Il ruolo della Sambuca fu ondivago in questo passaggio cronologico, fino alla tregua del settembre del 1212”.

Quali furono gli effetti della pace siglata a Viterbo?

“Prima di giungere alla lunga negoziazione che aveva interessato i mesi fra il maggio e il dicembre del 1219 e che avrebbe avuto la sua sanzione nella chiesa di San Lorenzo di Viterbo grazie all’opera del cardinale Ugo, il 26 aprile del 1215 nella pieve di Casio era stato siglato un trattato di pace che però non riuscì ad accontentare nessuno. Dovettero passare così altri quattro anni prima di giungere a quel faticoso accordo che avrebbe posto le basi di rapporti tendenzialmente pacifici fra Bologna e Pistoia, nonostante la presenza di contestazioni come quella che arrivava dai bolognesi di riparare ai danni patiti dalle chiese di Gaggio, Granaglione, Sambuca e Capugnano.

Senza entrare nel merito del complesso delle clausole che fra l’ottobre e il dicembre del 1219 riscrissero le relazioni delle due città con l’Appennino, si può dire che gli effetti reali della pace, in questo caso si può dire, furono più avvertiti dagli uomini delle comunità montane che dalle logiche della politica cittadina e intercittadina, basterebbe forse citare a questo proposito l’obbligo per i fuorusciti di Sambuca e di Pavana di andare ad abitare a Moscacchia. Così come non mancarono strascichi e questioni irrisolte ancora per anni”.


La Redazione

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