La civiltà del castagno è per noi quasi un ricordo. E questo è un fatto, purtroppo. Tuttavia il mercato la pensa diversamente, in quanto, ad esempio, il prezzo della farina dolce comincia a diventare interessante (12-13 euro al chilo) e crea i presupposti per diventare una risorsa economica.
Allora le opzioni sono due: o non si capisce o non si vuol capire. Si pensi che nel 2015 l’Italia ha importato 32 milioni di chili di castagne da Spagna, Portogallo e Albania e che nel 2016 la siccità e il cinipide hanno fortemente indebolito la produzione nazionale che è stata di 19 milioni di chili (fonte Coldiretti). Una quantità minima rispetto alla produzione italiana nel primo decennio del 900: quasi 830 milioni di chili.
UNA PIANTA MINACCIATA DA PIU’ PARTI
Prima il Mal dell’inchiostro (nel secolo scorso), poi l’emigrazione e il conseguente abbandono, poi ancora il cinipide (un male legato alla globalizzazione), successivamente la miopia delle istituzioni e infine l’invasione della robinia (la cascia) la cui espansione è stata favorita da una normativa regionale a dir poco scriteriata.
Basta vedere come si sono ridotti i nostri castagneti: piante inselvatichite, secche, matricine affogate dalle casce, alberi centenari abbattuti da agenti atmosferici con tutto il loro pane di terra. Insomma un disastro, salvo sparute eccezioni. E poi ci parlano della tutela della biodiversità!!!
QUALI SOLUZIONI ?
E’ arrivato il momento di fare una rapida inversione ad U ed in questa manovra dovono dare una mano anche le istituzioni, tutte. Avviamo tutti insieme una campagna di reimpianto dei castagni, privilegiando i portinnesti locali (quelli cino-giapponesi hanno già mostrato i propri limiti); innestiamo i polloni selvatici con marze nostrane; potiamo i castagni vecchi per ringiovanirne la chioma e per fortificarli contro le malattie; inseriamo il castagno tra le piante obiettivo (secondo la dizione del Regolamento forestale della Regione Toscana) per tutelarle e prepararle al reinnesto; allunghiamo il turno di taglio delle piante invasive (non gli attuali 8 anni ma 30-40, in modo tale che si autolimitino); creiamo una più razionale pianificazione dell’uso dei boschi (l’economia del bosco non dipende solo dal taglio!); richiediamo alle istituzioni competenti regole più semplici e meno bizantine nella loro contraddittorietà.
Facciamolo, prima che sia tardi!
Le foto che accompagnano questo servizio dimostrano cosa resti di un castagneto con l’ingresso e il taglio della robinia: alcune matricine di castagno, una qua una là, che al taglio successivo verranno fagocitate dalla cascia che si è sviluppata a dismisura.