Il primo evento che l‘Associazione Terra Selvaggia ha organizzato a Sambuca Castello è stato dedicato ad un tema tanto importante quanto dimenticato, cioè l’importanza delle piccole scuole di paese come presidio fondamentale dell’identità e della cultura nelle aree marginali di collina e di montagna. Se ne è parlato giovedì 1 agosto, nella straordinaria cornice dei locali dell’Ostello e alla presenza di un pubblico inaspettatamente numeroso, grazie all’intervento del professor Rossano Pazzagli, docente di Storia moderna presso l’Università del Molise, direttore del Centro di ricerca per le aree interne e gli Appennini, nonché direttore della Scuola dei piccoli Comuni di Castiglione Messere Marino in Abruzzo, introdotto nell’occasione dal sindaco di Sambuca pistoiese, Marco Breschi,
La nostra montagna, e in generale tutte le aree periferiche appenniniche, soffrono di uno spopolamento inesorabilmente continuo, stanno perdendo servizi e con essi anche le scuole, che rappresentano l’ultimo baluardo di identità dei luoghi e in ultima analisi anche di democrazia. Quando chiude una piccola scuola, a causa della dittatura dei numeri e degli algoritmi che oggi è alla base di ogni scelta politico-amministrativa, si perde la coesione sociale e si marginalizzano sempre più fino a farle scomparire culture millenarie che hanno sostenuto e arricchito per secoli il nostro sciagurato Paese.
Le cause di questo fenomeno
“A partire dagli anni ’50 – ha spiegato il professor Pazzagli – come contraltare del boom economico e dell’industrializzazione, è iniziato il fenomeno dello spopolamento delle aree collinari e montane e con gli anni ’70 si sono cominciate a chiudere le scuole periferiche. Il servizio si è via via concentrato nei centri comunali più importanti e le scuoline di paese, spesso incentrate sul sistema delle pluriclassi, sono state chiuse e con esse si sono sfaldate comunità intere, per le quali la scuola era lo specchio della comunità stessa e riferimento fisico imprescindibile. Prevalendo il modello dell’accentramento e la logica dei numeri, sono nati plessi scolastici ridondanti di alunni e si è radicato il principio che ‘grande’ è bello e funzionale, mentre ‘piccolo’ è sinonimo di scarsa qualità. Il risultato è che oggi la scuola negli ultimi decenni si è allontanata dall’utenza, mentre il dettato costituzionale degli articoli 33 e 34 sostiene il contrario”.
Alcune immagini dell’incontro del 1 agosto a Sambuca Castello
In realtà ci sono tanti esempi positivi di piccole scuole, alcuni dei quali illustrati nell’evento di Sambuca, che garantiscono il servizio “costituzionale” in paesi di collina e di montagna e sono stati varati progetti molto interessanti, come il Movimento delle piccole scuole, nato nel 2017 a Favignana (isole Egadi), da cui è scaturito un Manifesto incentrato sull’importanza della unitarietà del sapere e sullo stretto legame tra scuola e democrazia.
Ma una vera e propria politica per le aree interne è ancora lontana, specialmente dopo che l’esperienza della SNAI (Strategia nazionale per le aree interne) sembra essere stata oscurata dal PNRR, che destina grandi risorse spesso senza una complessiva logica territoriale.
Cosa fare per salvare le piccole scuole?
Nonostante nascano dal basso esperienze molto incoraggianti, la situazione generale attuale delle scuole nelle aree più fragili del nostro Paese sembra assai precaria, anche a causa di una scarsa sensibilità della grande politica ad affrontare complessivamente il problema delle aree interne. Tuttavia non tutto è compromesso. “Occorre – ha detto ancora Pazzagli – una potente inversione culturale che valorizzi la prossimità, come patrimonio ricco e complesso dei territori, che spesso sono sconosciuti anche a chi ci vive, un patrimonio fatto di natura e uomo, con i paesaggi eterogenei, i paesi e la loro cultura spesso millenaria, i prodotti di cui si caratterizzano. Ciò che oggi sembra il vuoto appenninico allora, con una coscienza rinnovata, diventerebbe il pieno, supportato da coloro che ostinatamente restano, dall’affetto di chi se ne è andato ma che resta legato indissolubilmente ai propri luoghi di origine e dall’intraprendenza di chi ritorna o arriva”.
Serve allora una visione prospettica supportata dal coraggio di fare, dalla voglia di invertire una tendenza che sta conducendo alla desertificazione delle aree interne e, al centro di questo processo, occorre sicuramente fare investimenti e innovazioni tecnologiche nelle piccole scuole di paese e negli altri servizi di accesso, visti come valori fondanti e non come problemi, e sostituire alla logica dei numeri quella della solidarietà, della qualità della vita e del rispetto delle culture tradizionali e della natura. In ultima analisi è necessario riaffermare i fondamenti della nostra democrazia che ha nel diritto all’istruzione per tutti un caposaldo irrinunciabile e nelle piccole scuole di paese il fulcro della rinascita delle aree interne. Per raggiungere questo scopo occorre una politica attenta all’oggi ma, soprattutto, impegnata a preparare il domani per tutti quei giovani che intendono vivere e metter su famiglia nei luoghi che a torto vengono definiti marginali.