Dopo la Legge sulla Montagna del 1952, quella che dette avvio al Piano Fanfani, l’ultimo provvedimento complessivo e costruttivo che ha emesso il Parlamento italiano, non vi è stata più una normativa organica sulle terre alte, salvo la Legge 97 del 1994, in gran parte inapplicata perché evidentemente governi e istituzioni tutte non hanno ritenuto che la Montagna avesse bisogno di interventi normativi al passo coi tempi.
Eppure proprio adesso essa abbisogna di un sistema di leggi capaci di impedire la desertificazione demografica, sociale, economica e fermare la deriva ambientale che si sta profilando all’orizzonte.
Il Questionario dell’UNCEM
L’ UNCEM (Unione Nazionale Comunità Comuni Enti Montani) ha lanciato un questionario on line rivolto a tutti, amministratori compresi, per mezzo del quale si cerca di raccogliere suggerimenti e idee per la Montagna del futuro, con l’intento anche di avviare un dibattito nazionale che sia foriero di proposte condivise da parte di tutti coloro che hanno a cuore questo problema. Perché di problema ancora irrisolto si tratta.
Nel questionario, strutturato in forma anonima, si indica un elenco di priorità da selezionare e si lascia uno spazio da riempire liberamente con osservazioni personali che abbiano i crismi dell’obiettività e della costruttività.
Una nuova legge organica è urgente
Una Legge Quadro sulla Montagna è urgentissima. Ci vogliono regole nuove, di respiro nazionale, meno burocratiche, più attente alla dignità, all’autonomia ed alle tradizione della gente che ci abita da secoli; leggi che riportino attività artigianali nei borghi, favoriscano la microagricoltura (quella dei terrazzamenti e dei piccoli appezzamenti collinari e montani) e riavviino una gestione oculata dei boschi cedui e di alto fusto nonché una silvicoltura di pregio, partendo ad esempio dalla filiera del castagno, e riducano con una potente sforbiciata il burocretinismo che scoraggia anche i privati a gestire i loro terreni agricoli e boschivi.
E non c’è dubbio che gli interventi debbano avere un carattere di vere e proprie riforme organiche, incentrate su priorità ineludibili; come quella catastale, che tagli l’estrema parcellizzazione dei terreni, uno dei freni alle compravendite ed agli usi gestionali, ma anche una cura meticolosa dei reticoli minori dei corsi d’acqua con la sistemazione e la ripulitura dei fossi e la realizzazione di piccole briglie che rallentino la violenza delle acque. A questo proposito la bioingegneria ha fatto passi da gigante e non c’è più bisogno di realizzare opere in cemento armato per contenere versanti o fare interventi di regimazione.
Sono poi necessarie normative forestali meno sanzionatorie e più orientate ad incentivare la collaborazione con gli enti pubblici da parte dei proprietari di terreni boschivi o agricoli, purché mossi da volontà costruttive e rispettose dell’ambiente.
Inoltre è assolutamente necessario un approccio meno ideologico alla Montagna, per far sì che l’uomo ritorni davvero ad esser parte di essa, la curi e soprattutto non l’abbandoni all’inselvatichimento che in ultima analisi non giova nemmeno alla salute e all’economia dei centri cittadini.
Un nuovo approccio, dunque, ma anche una politica più coraggiosa e meno elettoralistica che, come vediamo dai disastri di questi giorni, non porta tanto lontano,
Infine un’amara e paradossale considerazione: quando i nostri avi erano armati solo di pale, zappe, vanghe, seghe a mano, accette e pennati i nostri boschi erano puliti e ordinati; adesso che abbiamo tutti i mezzi tecnologicamente più avanzati, con i quali si può fare in un sol giorno, con l’aiuto di una macchina, il lavoro di cento uomini i territori montani sono ormai intrichi di ramaglie e pruni dove stentano a vivere anche gli animali selvatici.