L'arte artigiana  |  novembre 1, 2023

Il metato, tra poesia e pratica antica

A Vivaio, sopra le Piastre, è tempo di seccare le castagne. La cura e il lavoro paziente dei volontari dell’associazione del piccolo borgo. Paolo e Moreno spiegano le varie fasi della lavorazione. La scelta iniziale, la seccagione, che dura una quarantina di giorni, quindi la sbucciatura fino al conferimento delle castagne secche al molino per la macinatura. “La farina deve essere bianca e profumata. Se è più scura e amara vuol dire che la seccagione non è stata fatta bene”

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“Scoppiettano i ciocchi abbicati/ in mezzo al metato: li attizza/il vecchio capoccia; e si incanta al fuoco che mormora e guizza”. Così un prete-poeta della Montagna Pistoiese, Alfonso Pisaneschi, descriveva l’atmosfera del metato che molto si presta alla narrazione poetica e ne è fonte di ispirazione.

Il metato era nel contempo un luogo sociale, culturale, economico e perfino sentimentale per i nostri avi. Vi si contavano storie, vere o inventate, qualcuno leggeva anche Ariosto o Dante e vi sbocciavano gli amori, sempre rigorosamente sorvegliati da genitori diffidenti.

Ma il metato era anche tradizione antica, sacrificio, competenza e tanta attenzione perché “Ci vol poco ad arrivare le castagne!”, cioè a bruciarle e quindi a compromettere il sapore della farina dolce.

A Vivaio il metato sta fumando

Poesia a parte, preparare un metato e soprattutto sorvegliarlo non è impresa facile.

Per prima cosa la legna secca deve essere di castagno e il fuoco deve ardere parco e costante e per questo è necessario sorvegliarlo giorno e notte; poi bisogna rivoltare lo strato di castagne disposto sulle carelle perché la cottura sia uniforme, finché saranno secche al punto giusto.

A Vivaio, presso Le Piastre, il metato sta fumando da almeno una settimana e ci lavorano i volontari dell’Associazione Amici di Vivaio: è impressionante la cura che ci mettono in questa operazione lunga e paziente.

La prima fase è la scelta delle castagne: le controllano ad una ad una per separare quelle sane dalle altre bacate o ammuffite, dimodoché la farina non prenda sapori indesiderati e risulti della migliore qualità.

Poi le dispongono sulle carelle, finché sia raggiunto un primo spessore di circa 20 centimetri che acciechi il metato. “Dopo qualche giorno – dice Paolo Begliomini – se ne aggiungono altre verdi rivoltando lo strato inferiore delle castagne, un po’ più prossimo alla seccagione. Per far questo si deve trasferire all’esterno una parte di castagne già riscaldate per guadagnare spazio a quelle verdi e successivamente riportarle all’interno del metato avendo cura di ristenderle sopra allo strato appena sparso. E così via fino a raggiungere la quantità voluta, corrispondente ad uno strato di circa 80 centimetri”

“Un metato medio-piccolo come il nostro di Vivaio – continua Moreno Pistolozzi – contiene fino ad 80 quintali di castagne. Almeno questa è la quantità che ci abbiamo messo lo scorso anno”.

La seccagione, che dura una quarantina di giorni, non esaurisce il lavoro, perché le castagne secche prelevate dal metato vengono sgusciate con un macchinario speciale (i nostri nonni usavano il pigione e facevano tutto a mano) e scelte di nuovo eliminando quelle non idonee che erano sfuggite alla prima selezione.

Infine, l’ultima operazione è il conferimento delle castagne secche al molino per la macinatura. “La farina – spiega Paolo – deve essere bianca e profumata. Se è più scura e amara vuol dire che la seccagione non è stata fatta bene”.

Quale futuro avrà questa pratica antica?

Ma quale sarà l’avvenire di questo raffinato sapere?

Se si pensa che intorno al 1940 nella zona di Prataccio erano in funzione circa 40 metati e che solo all’interno del paese di Castello di Cireglio ce n’erano almeno 12, ci rendiamo conto della sorte futura di questa pratica antica se non verrà fatto nulla per favorire il ricambio generazionale.

Attualmente i metati esistenti nell’intera Montagna pistoiese sono solo poche unità in confronto ai bisogni del territorio e l’età media di chi li gestisce, eccetto poche eccezioni, è superiore ai 70 anni.

Eppure sul mercato la richiesta di castagne e di farina dolce sta crescendo e noi, italici lungimiranti del nostro tempo, siamo costretti ad importare dall’estero questi preziosi prodotti, di cui solo un secolo fa eravamo tra i primi esportatori.

Ma ci vuol poco a capire che la filiera della castagna deve essere sostenuta con incentivi adeguati?

E che aiutare davvero la castanicoltura significa anche preservare il territorio montano?

Senza contare che col castagno sta andando perduta anche una serie di competenze antiche nonché una consolidata cultura che per tanti secoli ha sorretto e sfamato la gente della Montagna pistoiese, morbosamente attaccata alle proprie selve che teneva come giardini.

Alla domanda su quale avvenire avranno i metati, Moreno scuote la testa e non è segno buono.


Maurizio Ferrari

Maurizio Ferrari, sambucano di origine, ha insegnato Lettere per 38 anni nelle Scuole superiori pistoiesi. Ora è imprenditore agricolo e si sta impegnando nella promozione e nel rilancio del territorio appenninico come Presidente dell'Associazione "Amo la montagna APS" che si è costituita nel 2013 e che ha sede a Castello di Cireglio.Ha collaborato per 25 anni alla rivista "Vita in Campagna", del gruppo "Informatore Agrario". Recentemente ha pubblicato alcune raccolte di racconti ispirati alla vita quotidiana di Sambuca, dal titolo :"Dieci racconti sambucani"; "La mia Sambuga" e "Cuori d'ommeni e di animali", nonché una favola per bambini, "La magìa della valle dimenticata" illustrata dagli alunni della scuola elementare "P.Petrocchi " di CIreglio (Pistoia)