L'intervista  |  febbraio 19, 2023

“Salviamo i paesi delle aree marginali”

Intervista all'antropologa culturale Anna Rizzo, autrice del libro “I paesi invisibili”, protagonista di una ricerca sul campo a Frattura, piccola frazione abruzzese di sedici abitanti. Che ci parla delle emergenze dei paesi privi di servizi minimi ma anche luoghi di altissima cultura “se si sanno ascoltare, documentare e raccontare”. La preoccupazione sul futuro di queste aree: “Non esiste un effettivo interesse a livello istituzionale”. Il ruolo fondamentale delle figure femminili: “Sono le donne che portano avanti il welfare dei paesi con un lavoro gratuito e domestico senza fine”

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Negli ultimi anni l’attenzione per le aree marginali e i borghi sembra essersi levata più che mai, tanto che nel 2013 il governo ha istituito la SNAI, “Strategia nazionale aree interne” e parte delle risorse del PNRR sono state destinate proprio a queste ultime. Spingeva verso questa direzione anche l’emergenza legata al Covid che, fra l’altro, aveva fatto riflettere sull’eccessiva concentrazione demografica delle metropoli attuali. Passata l’emergenza, però, tutto sembra rientrato ed è rimasto un interesse generico per le aree interne, spesso interpretato da narrazioni mediatiche lontane dal vero. Un libro, dal titolo evocativo, che sicuramente si pone l’intento di affrontare questo tema con la dovuta obiettività è I paesi invisibili. Manifesto sentimentale e politico per salvare i borghi d’Italia per la Casa editrice Il Saggiatore

Il lavoro dell’antropologa Anna Rizzo

   

L’antropologa Anna Rizzo

 La copertina del suo libro

L’autrice, Anna Rizzo, è un’antropologa culturale che da più di dieci anni lavora nell’ambito delle aree interne evidenziandone le mancanze, i problemi, in una maniera che alle volte quasi stizzisce tanto risulta vera. Conducendo una ricerca sul campo a Frattura, piccola frazione abruzzese di sedici abitanti nel comune di Scanno, nella Valle del Sagittario, ha vissuto le difficoltà che caratterizzano molte delle zone marginali, come la mancanza dei servizi, lo spopolamento, l’isolamento, l’invecchiamento della popolazione. Oltre ad aprire la discussione su temi legati alla narrazione che ruota intorno ai borghi, Anna ci parla dei problemi concreti delle persone: il medico che in paese non c’è, i servizi lontani dai paesi, le disuguaglianze di genere, rompendo l’immaginario di quel mondo rurale, idealizzato ed ancorato alle tradizioni. Abbiamo intervistato l’autrice ponendo alcune domande sul libro e non solo.

Non è facile documentare i borghi. La stessa parola pone dubbi di tipo semantico e molte delle narrazioni degli ultimi anni hanno causato effetti non sempre positivi. Mi chiedo, come si affronta la crisi narrativa che li investe?

“La crisi narrativa la subiscono innanzitutto i paesani, che leggono resoconti sulla stampa e non si sentono rappresentati. Il fatto stesso che siano accademici o innovatori che si sostituiscono a loro nel comunicare il proprio territorio è rappresentativo di come questo sia un argomento, in questo momento, predatorio”.

E quali sono le figure più adatte per farlo?

“Gli abitanti del luogo, sono i migliori interpreti di se stessi. La comunità anche nelle situazioni di emergenza è la più competente”.

Spesso le popolazioni delle aree interne rimangono inascoltate, che sia per una rarefazione demografica sempre più impellente, o per una mancanza di intermediari tra le persone e le istituzioni. Come si intercettano e ascoltano i bisogni di una popolazione che fatica ad aprirsi?

“Emancipandosi da figure esterne, che spesso non sono mai nemmeno state in questi luoghi ma si ergono a rappresentati o pensano di intercettare i bisogni. Sono figure parassitarie di questo trend del momento, quello dei borghi”.

Spesso si parla delle zone marginali come di possibili luoghi di innovazione, ma anche di luoghi che sono lo specchio del “centro” del paese, in cui i problemi dell’intera società si mostrano nella loro nuda durezza. Cosa ne pensa?

“I paesi sono luoghi di altissima cultura se si sanno ascoltare, documentare e raccontare. In altro modo sono anche luoghi di grande emergenza per la forte carenza dei servizi di prima necessità, quali scuole, presidi medici, mezzi di trasporto e una viabilità senza manutenzione. Cimiteri fatiscenti e pochi o nessun luogo culturale di aggregazione. Non sono nemmeno lo specchio del paese. Non esiste un effettivo interesse a livello istituzionale sul futuro di queste aree”.

Per la sua esperienza, quali sono stati i fattori determinanti che hanno portato i maggiori risvolti positivi o il “successo” delle sue missioni?

“Sono missioni durate decenni e sono ancora in corso. E’ un lavoro lento e di studio continuo sul territorio. La comunità che seguo da più di 13 anni si è accorta di me solo dopo cinque anni. Ho sempre lavorato in ombra e con discrezione. Non comunico nulla all’esterno dei paesani e tutelo sempre le fonti e la privacy. Oggi mi considerano una di loro, pur studiando in profondità la comunità e quindi anche le microstorie di famiglia, sanno che tutto il materiale che recupero è legato al dato antropologico non personale. Hanno una grande fiducia in me e io in loro. Un rapporto di stima e di parentela oramai con un paese intero”.

La componente demografica e i sistemi di welfare sono elementi in fortissima correlazione tra di loro. Quando entrambi subiscono un inaridimento, in che modo si rompe questo circolo vizioso?

“I sistemi di welfare nei paesi dove mancano i servizi finora sono stati superati grazie al ruolo delle donne che portano avanti il welfare dei paesi con un lavoro gratuito e domestico senza fine. Un retaggio della cultura patriarcale in cui le donne si ritrovano in un accudimento coatto dei figli, del marito, dei parenti anziani, dei suoceri. A loro toccano i lavori domestici: dalla pulizia della casa al cucinare, accompagnare i figli a scuola e babysitteraggio oltre accompagnare parenti e vicini dal medico. Nelle aree interne la donna vive in una situazione di isolamento”.

Nel suo libro racconta anche di esperienze negative con le istituzioni e le amministrazioni. Cosa fare quando la burocrazia impone tempi diversi o blocca le volontà e le intenzioni di coloro che vorrebbero cambiare davvero le cose per queste aree marginalizzate?

“Spesso le stesse problematiche le hanno altri paesi limitrofi o nella zona. Allearsi e confrontarsi con loro e trovare soluzioni per sorvolare e bypassare le amministrazioni e cercare di risolverle in altro modo. Se invece è di competenza del comune e la comunità non può intervenire per esempio per la manutenzione o la pulizia del paese bisogna documentare tutto, fare foto e inoltrarle tramite le Pec al Comune per tenere traccia delle condizioni in cui versa il paese”.

Secondo la classificazione della SNAI le aree considerate interne costituiscono più di quattromila comuni, tra aree intermedie, periferiche ed ultra-periferiche, costituendo quindi il 60% del territorio. Data l’imponente estensione di queste aree, e varietà dal punto di vista morfologico, dovremmo mettere in conto la perdita di alcuni luoghi?

“Chiaramente si, è fisiologico e frazioni e paesi con pochi abitanti nel giro di venti anni massimo scompariranno. E’ sempre stato così. La gente si sposta in cerca di miglior vita”.

Prendere consapevolezza che non possiamo salvarli tutti, che forse non è giusto salvarli tutti?

“I paesi non vanno salvati, sono le persone che devono essere messe nelle condizioni di vivere bene. Nascere in un paese non deve essere motivo di disuguaglianza”.

E soprattutto, per concludere, se guarda al futuro delle aree interne d’Italia cosa vede?

“Resistono le comunità che hanno conservato e preservato modalità aggregative e sociali funzionali per continuare a vivere in luoghi dove manca tutto. La socialità e le relazioni di vicinato nei paesi spesso sono ostili, ma la comunità collabora ritrovandosi in manifestazioni culturali o religiose in cui ancora crede e in cui si riconosce. Rimanere nei paesi ha un valore esistenziale”.

LE IMMAGINI DI ANNA RIZZO A FRATTURA

(cliccare sulle foto per ingrandirle)

 

  

    

 

Le foto del servizio sono di Claudio Mammucari e Franco di Benedetto


La Redazione

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