Un fallimento, spesso, è un successo prematuro: si verifica quando i tempi non sono ancora pronti a riconoscerlo.
Penso a Vincent van Gogh e al suo dipinto, Notte stellata del 1889, accolto come inqualificabile dipinto. Un anno dopo il pittore si suiciderà, senza successo e senza un soldo. Oggi, quel quadro, è nella lista dei capolavori ex post.
Penso a quanti van Gogh esistano al mondo, proprio in quest’epoca ordinata all’omologazione, e come diventi necessario esplorare nuovi orizzonti. Penso ad una montagna mai compresa, forse anche volutamente, fino in fondo.
“Meglio fallire nell’originalità, che avere successo nell’imitazione”, scriveva Hermann Melville.
Credere nella montagna
Tutto questo per dire che, oggi, credere nella montagna dev’essere imperativo. La montagna come montagna terapia, cura dell’anima e della persona.
I montanari hanno sempre nutrito un nascosto e chiaro orgoglio di appartenenza. Hanno conferito alla crescita di questa società in cui viviamo, facendolo in modo silenzioso, come suo consueto fare; donne e uomini che hanno saputo stupire, affascinare, essere esempi di riferimento, stimolo alla partecipazione senza mai rincorrere premi: dimostrazione che, quando ci sono passione e determinazione, i limiti sono costantemente permutabili al rialzo.
Il prezzo ambientale pagato dalla montagna
Non sempre abbiamo interposto la montagna al centro di uno sviluppo rispettoso dell’ambiente: gli anni ’70 con la corsa scellerata a costruire condomini brutti e oggi fatiscenti, ne è un chiaro esempio. Un prezzo che abbiamo pagato caro. Abbiamo puntato sulle tradizioni locali: una sfida che oggi paga. E che ci dissocia dal resto della popolazione cittadina. La montagna fa parte della nostra crescita, dell’esperienza umana, al pari di tutti gli altri elementi presenti in natura. La montagna ci apre alle relazioni; tra i boschi, nelle valli e lungo i sentieri ci apriamo a noi stessi e di conseguenza agli altri: diventiamo trasparenti come l’acqua fresca che difendiamo, da sempre, conoscendone la suprema importanza.
La montagna come terapia
Sono un fautore della montagna terapia: la montagna come veicolo salutare, psichico e fisico, ovvero la montagna che aiuta, cura, include, crea benessere, offre nuove opportunità. La montagna che accoglie, che non fa diversificazioni: la montagna aiuta ad abbattere pregiudizi e disuguaglianze di qualsiasi tipo. Diviene luogo in cui scoprire nuove libertà, recuperarne altre, mettersi in gioco nuovamente…
Montagna storia antica, passaggio culturale, gravità
Così una nuova parete viene ascesa, un’altra porta si apre, una nuova difficoltà d’affrontare in serenità. Oggi stesso, domani, qualsiasi giorno… La montagna è una storia antica. Storia che parte da lontano nel segno della fraternità, d’episodi e vicende che restando sempre attuale, anche ai giorni nostri. E così sarà anche per il futuro…
La montagna, oggi, è un paesaggio culturale: giusto investire con una governance territoriale. Serve un atteggiamento mentale nel guardare una montagna diversa, nuova, che cammini a braccetto con la pianura e non in contrapposizione: resta però demagogico pensare che la medicina, per entrambe, sia la stessa!
La montagna è gravità. Fatale. Inconcepibile, per qualcheduno. Oggi vige la cultura dell’immediatezza; invece la montagna ha bisogno dei propri ritmi come un turismo dolce: artigianato, gastronomia, agricoltura, cammini…
Gestire le peculiarità etiche, religiose, come le persone che la abitano.
Pensare in modo diverso dal territorio e dalle cose. Il governo del territorio richiama la politica all’incentivazione economica. Come c’è bisogno d’una solidarietà montana che oggi molto s’è affievolita: anche colpa di una rarefazione demografica. Dico questo perché, tra un paio di mesi, in alcuni comuni ci saranno le elezioni del nuovo sindaco: mi auguro, al di là dei vari schieramenti politici obsoleti, chi primeggerà sia consapevole di questa sfida.
Montagna luogo di produzione
C’è tutto una displasia sulla cultura della patrimonializzazione che la burocrazia uccide: la montagna deve diventare luogo di produzione: ad esempio riaprire, sotto controllo, le cave per l’estrazione di pietra arenaria in favore d’un modello di sviluppo che ci spetta, smettendo di costruire con pietre che non c’appartengono. Anche il materiale di deposito dei torrenti è da recuperare, pagandolo allo Stato centrale, per costruire o ripristinare muri e antichi muretti in pietra o selciati per le piazze. Inoltre si mantiene basso il livello del greto fluviale con minor conseguenza di alluvioni, causa le forti piogge sempre maggiori. La Comunità montana si organizza in maniera autonoma: è stata abituata da secoli all’autosufficienza…
Un contratto di paesaggio fra pubblico e privato
Noi montanari, per politica e politici, siamo pietra d’inciampo. Oggi, che sono finiti gli statisti ma resistono gli statuti, si fatica a concepire regole comunitarie da comandare ad una qualsiasi comunità montana, semplicemente perché sono pensate per altre realtà. E imposte! Cooperare non è cosa facile. Ma diventa doveroso. La montagna ha sempre avuto una capacità di apprendimento-adattamento, più che la pianura. Non cadiamo in un neo-spontaneismo, tantomeno nella percezione d’una montagna alla frutta: così non è e non lo sarà mai…
La montagna ha molte pluralità: sguardi, luoghi, lavori… Il rapporto paritario tra pubblico e privato oggi è fondamentale: solo così può nascere un contratto di paesaggio.
Investire in montagna: sì al presidio e no all’assistenzialismo. Esiste anche un limite alla crescita: vedi le speculazioni abusive o, nelle vicine Apuane, l’estrazione selvaggia del marmo.
Montagna terapia, se vogliamo continuare a viverla, questa montagna.