Si nasce accolti dal contatto e dalla fisicità. Le mani ci estraggono dal grembo materno e ci danno il benvenuto fra i vivi. E, quindi, almeno per un bel po’, ancora carezze, abbracci, baci e mille effusioni. Si placheranno e si articoleranno diversamente ma continueranno per anni: genitori, nonni, zii, parenti, amici, conoscenti.
Contatti e fisicità
Poi cambiano i modi e i soggetti con cui relazionarsi, si è (quasi) liberi di scegliere ma il contatto rimane. Si dà la mano formale, si batte il 5, la pacca sulle spalle, l’abbraccio amicale, fraterno, amoroso, passionale, fino all’estasi erotica. Questo toccarsi e sfregarsi (anche fregarsi ma quella è un’altra storia) è il vivere quotidiano, sui banchi di scuola, al bar e al tavolo con gli amici, al pub, in discoteca e via e via e via. Concepireste un vero concerto rock senza il pubblico che salta, balla, si bacia, si abbraccia e si scatena in un’estasi collettiva, un gol durante una partita di calcio o una tripla sulla sirena ad una di basket senza la gente che salta, urla, smanacca, si spintona e si abbraccia?
La vita, nelle sue mille articolazioni, è contatto, fisicità. Certo la mente, il cuore, l'”anima”, i sensi e tutte le possibili intese, le assonanze, le sintonie senza forme manifeste, o anche nessuna forma fisica. Resta il fatto che nel quotidiano la vicinanza, il contatto, la fisicità sono molto, quasi tutto. Superarli, eluderli, raffreddarli ci svuota, ci rende meno umani. Ma dovremo farci i conti, pare.
Il futuro? In maschera e distanti
Il futuro che ci attende? Mascherine fino al vaccino, appunto, ovvero mesi o anni, distanziamento, nessun luogo affollato, addirittura non più orari di punta (magari, verrebbe da dire). Una rivoluzione che neppure ci immaginiamo perché per adesso abbiamo solo conosciuto una grande clausura collettiva. Abbiamo sperimentato la Pasqua e Pasquetta più gelide di sempre, nonostante il bel sole, e ogni giorno strade e piazze completamente vuote, orari di punta senza code e mezzi pubblici senza passeggeri. Ma non abbiamo sperimentato il ritorno alla normalità, si fa per dire, con il metro abbondante di distanza, gli ingressi contingentati in ogni luogo, il lavarsi le mani compulsivo e l’immancabile mascherina su naso e bocca. Non ce lo possiamo immaginare ma forse lo vedremo fra pochi giorni o settimane.
Il contrario della nostra natura
Portata in salvo la pelle – ma aspettiamo a cantar vittoria – ci sarà da capire in che condizioni economiche ci troveremo e sarà già un altro bel guaio. Ovviamente salute e sostentamento vengono prima di tutto e le battaglie vere sono state fatte e andranno fatte soprattutto su questi fronti. Ma se non moriremo di Covid o di fame, che vita ci aspetta? In una frase direi l’esatto contrario di ciò che l’essere umano è portato a fare, per sua stessa natura. Siamo animali sociali, c’è poco da fare, siamo impastati di tanta robaccia ma siamo inevitabilmente bisognosi gli uni degli altri. Anche il solitario, chi ricerca il silenzio e il distacco molto spesso lo sceglie per compensare l’esatto contrario: la moltitudine, il caos.
Saremo peggiori
Non sarà più niente come prima ripetono tutti come un mantra, e che bella scoperta. Non perché, come qualcuno ingenuamente pensa, saremo tutti più ben disposti e migliori o perché sapremo far tesoro della lezione. No, non per questo. Non saremo più gli stessi perché questo tarlo che ci è comunque entrato addosso, soprattutto in testa, ci renderà peggiori: sospettosi, forse pure un po’ infingardi, inevitabilmente più distanti dagli altri. Tutti uniti un corno. Tutti per la propria strada, la propria corsia, il proprio posto dove sedere, secondo il proprio turno.
Neanche i più fantasiosi e talentuosi ideatori di società future avrebbero potuto disegnarne una così. Magari durerà solo qualche mese o qualche anno. Ma, Covid (o altro) permettendo, ci saremo dentro. A occhio non sarà un gran bel vivere.
Ma magari mi sbaglio.