Non solo libri  |  agosto 30, 2023

“L’imprevedibile ruota del destino”, una storia vera (e drammatica) che diventa romanzo

Il libro di Andrea Bolognesi sarà presentato domenica 3 agosto a Castello di Cireglio. L’episodio, risalente al 1768, ricostruito dall’autore e interpretato dal punto di vista narrativo, sulla base degli atti processuali e di altri documenti. Tutto nasce dall’incontro casuale di due persone completamente diverse sotto il profilo sociale e culturale: il tedesco colto ed elegante Johann Joachim Winckelman e Francesco Arcangeli di Villa di Campiglio, disoccupato, senza soldi e già condannato per furto

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La copertina del libro

Il romanzo “L’imprevedibile ruota del destino” scritto da Andrea Bolognesi, che sarà presentato a Castello di Cireglio il pomeriggio di domenica 3 settembre, nell’ambito della Festa del Parco Letterario Policarpo Petrocchi, si basa su una storia realmente accaduta, che l’autore ha ricostruito e interpretato dal punto di vista narrativo. Bolognesi si è basato sugli Atti del processo e su altri documenti e, allo stesso modo, ha ricostruito il tessuto economico e urbanistico della città di Trieste in quegli anni del Settecento, aspetto che rende la vicenda ancora più verosimile facendo immergere il lettore nel paesaggio e nel clima culturale e sociale del tempo.

Il contesto e i due personaggi

E veniamo ai fatti. In una Trieste da poco diventata Porto franco e nel pieno di una grande espansione economica e urbanistica, nei primi giorni del giugno dall’anno 1768 due uomini si incontrano. Non si conoscono, ma solo poche ore dopo, per chi li vedeva, “sembravano grandi amici e stavano sempre insieme per buona parte del giorno e anche della notte cenando e passando la serata ora nella camera dell’uno ora dell’altro”. Dal punto di vista sociale e culturale sono completamente diversi: uno è un tedesco trasferito da anni a Roma dove ha fatto fortuna, si chiama Johann Joachim Winckelman, è una delle persone più colte ed eleganti del suo tempo, Sovrintendente delle Antichità di Roma e autore di alcuni testi fondamentali per la storia dell’Arte, sarà considerato il fondatore dell’archeologia moderna e della teoria del “bello ideale”; l’altro, invece, è un pover’uomo disoccupato e senza soldi, tracagnotto e trasandato, butterato dal vaiolo e già condannato per furto, si chiama Francesco Arcangeli, era nato il 18 maggio 1737 a Villa di Campiglio di Cireglio e per sfuggire alla vita miserabile cui erano destinati molti abitanti della montagna pistoiese, e anche dei suoi compaesani – “tagliare i boschi e farne carbone per conto della Magona che gestiva l’industria siderurgica del Granducato, mangiare polenta e castagne per tutto l’anno e andare negli otto mesi più freddi a fare la stagione di taglio in Maremma vivendo di stenti e dormendo in una capanna di frasche e zolle” – si era ribellato e a sedici anni aveva lasciato il paese per intraprendere la carriera di cuoco, ritrovandosi, però, a girovagare tra il Granducato di Toscana, l’Impero asburgico e la Repubblica veneta, senza mai trovare un impiego fisso e vivendo spesso di espedienti.

La morte e la fuga

Cosa sia davvero successo nella settimana che si frequentarono e in particolare la mattina dell’8 giugno, non si sa: i protagonisti, chi per una ragione chi per l’altra, ci hanno lasciato descrizioni contrastanti e testimoni non ce ne sono: il fatto è che alla fine dello scontro violento, che di sicuro quel giorno ci fu tra loro, il Winckelmann, rimasto ferito a terra con sette coltellate e con una corda al collo, morirà dopo poche ore, mentre Francesco Arcangeli si darà alla fuga.

Le indagini

Incaricato di indagare sul triste fatto fu il bargello di Trieste Giovanni Zanardi, uomo esperto e da anni responsabile della polizia locale, che, basandosi sulle testimonianze e sui documenti, scoprirà, per esempio, che l’Arcangeli aveva già rubato e che era stato condannato a 4 anni di carcere. Lo Zanardi prima giungerà alla conclusione che si sia trattato di un “banale” omicidio per furto, ipotesi che, però, man mano che le indagini proseguono, verrà messa in dubbio da una serie di elementi e sospetti che emergono e che lo porteranno a pensare che la vicenda personale dei due si sia intrecciata, in modo imprevedibile, con intrighi internazionali che “coinvolgono la curia di Roma, la corte imperiale di Vienna e i Gesuiti impegnati a lottare per la loro sopravvivenza” in un tempo in cui vengono espulsi da molti Stati fino a essere soppressi nel 1773.

La montagna pistoiese citata a più riprese

La montagna pistoiese e i paesi di Campiglio e di Cireglio sono spesso citati nello scorrere del romanzo per mettere in luce le tristi condizioni di vita degli abitanti considerate all’origine della tragedia dell’Arcangeli e, in un momento cruciale della sua vita – quando si sposerà e metterà su famiglia -, saranno anche al centro di un suo estremo tentativo di riscatto: ritornerà con la moglie al paese, cercherà perfino di accettare il modo di vita dei suoi compaesani, ma non ci riuscirà e ben presto se ne andrà di nuovo riprendendo il suo vagabondare.

Gli eccessi della giustizia

Un romanzo che incuriosisce e appassiona, condotto con sapiente e curata narrazione letteraria che accompagna il lettore alla scoperta di uno dei fatti di cronaca nera più intriganti di ogni tempo, ma anche un romanzo che fa pensare per come la miseria e il vizio possono condizionare la vita, sui terribili eccessi della Giustizia e su di un destino che per realizzarsi stravolge ogni regola: “Capace di paradossi imprevedibili come far convergere storie che non avrebbero mai dovuto incontrarsi e servirsi del falso per far emergere il vero”.


La Redazione

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