In questa uscita di Arte di Altura voglio presentarvi Jacopo Ferri, fotografo, sempre alla ricerca della luce che fuoriesce dall’oscurità, nell’immagine, nelle parole… nella musica, ma non voglio svelarvi oltre. Lo farà lui nelle risposte alla mia intervista.
Jacopo, ho letto che sei un letterato, quando hai deciso di affiancare la fotografia alle parole ?
“Forse è più giusto dire che ho affiancato le parole alla fotografia; infatti la letteratura è arrivata solo negli ultimi anni di università.
Mi sono sempre piaciute le materie scientifiche, ed i primi due anni dopo la maturità avevo scelto come indirizzo dei miei studi geologia, ma ho dovuto desistere dal portarlo a termine anche per dei diverbi con il professore di matematica. I restanti tre anni ho scelto letteratura, e mi sono laureato in lettere moderne.
La Fotografia nella mi famiglia è sempre stata presente, un po’ grazie al babbo, ma soprattutto per la forte influenza di mio zio, mio grande mentore e figura di riferimento in molti altri aspetti della vita.
Sono di mio babbo e di mio zio le prime macchine fotografiche a pellicola che ho impugnato, una PENTAX ME SUPER ed un PENTAX P30, che ancora possiedo.
I miei primi scatti risalgono all’incirca a quando avevo 13 anni, scatti acerbi ma pieni di curiosità, per uno di quei mondi che adesso mi permettono di esprimere il mio modo di vedere e fare le cose.
So che sei stato fotografo per la Dynamo Camp, una grande realtà della nostra montagna pistoiese, ci puoi raccontare questa tua esperienza?
Tutto è iniziato da un incontro con Andrea Alfieri, originario di Perugia, ma da più di quaranta anni residente sulla montagna pistoiese, a Le Piastre. Lui è stato tanti anni fotografo della Dynamo, e mi consigliò di fare un colloquio per poter lavorare con loro; così feci e dopo diversi colloqui e incontri mi ritrovai in quella bella esperienza.
Lavorare con loro vuol dire dover entrare nel loro meccanismo e fare quello che il loro modus operandi richiede, eseguire quanto richiesto, rispettare in maniera rigorosa le loro regole…
Come in ogni esperienza ci sono aspetti positivi ed aspetti negativi, aspetti condivisibili ed aspetti che non rispecchiano il nostro personale modo di vedere, ma alla fine tutto ti fa crescere.
Molti tuoi scatti sono legati al territorio, ed una buona parte a quello montano. Cosa ti lega a questi luoghi ? Cosa ti spinge a raccontarli ?
Come per la fotografia, il mio legame all’ambiente montano e collinare è sempre esistito, basti pensare al mio cognome (Ferri) storico e molto diffuso a Santomoro paese dove sono nato e vissuto; poi anche qui la forte presenza di mio zio che è de Le Piastre è stata decisiva.
Mi ricordo ancora la mia meraviglia e la gioia di quando mi portavano a trovarlo, le passeggiate per i paesi montani, con quelle belle case, le storie che raccontavano, le piccole camminate nei boschi, ne sono rimasto affascinato; mano a mano che crescevo il mondo montano, con i suoi paesaggi, le sue genti, le sue tradizioni, le sue luci e le sue ombre, mi hanno rapito, tanto da venirci a vivere su questa montagna, a Cireglio, e fra non molto mi trasferirò un po’ più in alto, a Casa Marconi.
A livello fotografico mi affascina e voglio rappresentare l’Idea di Montagna, quello che era, quello che poteva essere, quello che è e quello che sarà.
A riguardo ho un progetto ancora aperto, ed una parte di esso è già stato esposto in una mostra dal titolo: “ Da ‘sta montagna me ne voglio andare, dove si muore per poter campare” infatti è così che recita un antico stornello toscano che racconta la disperazione provata in passato dagli abitanti degli Appennini. E’ curioso constatare come, nonostante tutte le avversità di quei tempi, i nostri avi non erano “fuggiti” dalla montagna e dalla sua “vita tremenda, vita tribolata”.
Inverni, povertà, malattie, lavori pesanti, difficoltà negli spostamenti, non avevano smosso gli abitanti delle terre alte, forse anche per mancanza di coraggio, o impossibilità ad andare via, o forse perché non volevano perdere la loro identità… non lo sapremo mai.
C’è stato anche un periodo di grande splendore, erano gli inizi del ‘900, quando la montagna fu meta di villeggiatura estiva. A questo periodo risale l’esplosione del turismo sulla montagna pistoiese e per agevolarlo furono create numerose strutture ed iniziarono ad essere abbandonati antichi mestieri manuali di primo sostentamento legati alle risorse del territorio.
Le vie di comunicazione erano sempre migliori, spostarsi era sempre più semplice ed economico, fino ad arrivare agli anni ‘50, quando fare le ferie al mare divenne il nuovo status-symbol e decretò l’inizio del declino della montagna: scoperta, colonizzata, impoverita, abbandonata. A memoria di ciò che sarebbe potuto essere ma che non è mai stato, sono rimasti le strutture, abbandonate e fatiscenti.
Quelle strutture ed alcune case, le ho raccontate, le sto raccontando con la mia fotografia, per monito a chi ancora crede nella vita montanara, a chi ancora crede nella propria terra e non vuole dimenticarla, a chi è disposto a convivere con le avversità; i miei racconti fotografici sono dedicati a chi, come i nostri avi, non vuole perdere la propria identità, la propria cultura.
Nei miei scatti ci sono strutture ed abitazioni di Pracchia, Settepontio, Passo dell’Oppio, Femminamorta, Prunetta, Campo Tizzoro, Limestre, Mandomini e tante altre località delle montagna pistoiese abbandonata.
Una domanda dedicata agli appassionati di fotografia… racconti molto in bianco-nero, e ti definisci fotografo “fine-art”; ci puoi raccontare queste tue scelte ?
Il bianco-nero è la mia tecnica preferita per un motivo storico, legato allo sviluppo in camera oscura ed a tutta la mia formazione a pellicola dove l’immagine va necessariamente prima pensata, pre-visualizzata, prima di essere scattata.
Non mi limito però soltanto alla fotografia analogica, infatti percepisco uno spettro ampio come concetto di “Fotografia”, dove necessario posso attingere alla fotografia digitale ed al fotoritocco in post-produzione, per raggiungere il fine che mi sono prefissato. La mia ricerca mi ha portato a prediligere un tipo di fotografia dove il soggetto esce dall’oscurità, dove non ci sono molte gradazioni di grigio, dove il contrasto fa emergere i particolari.
Tutto questo voglio racchiuderlo, anzi liberarlo, nelle stampe fine-art dove tutto è elevato ad uno standard qualitativo alto, per meglio interpretare le mie scelte, dove la fotografia e quello che voglio esprimere con essa riacquistano una “luce” di “valore”, che vuole fuoriescere dall’oscurità del degrado dell’immagine massiva in cui siamo immersi ogni giorno.
Prima di scoprirti come fotografo, io ti ho conosciuto mentre stavi utilizzando altri strumenti… chitarra e fisarmonica! Sei un artista poliedrico! Ci racconti questo tuo lato musicale ?
La musica è un altro modo per esprimermi, e con essa ho potuto collegare tanti aspetti delle cose che mi appassionano. Con la musica ho potuto riscoprire, e meglio comprendere, anche la vita di montagna, la vita della cultura popolare dell’Italia tutta, ma in particolare della Toscana e del Nord, con quei bellissimi racconti cantati che sono gli stornelli.
Questi spaccati della vita di ogni giorno li troviamo ancora prima della lettera scritta; molti di essi non hanno una versione originale scritta, infatti tanti sono andati perduti negli anni perché non venivano più tramandati oralmente, e quelli che li sapevano se ne ricordano solo in parte.
Tramite questa passione per la riscoperta della cultura popolare musicale, delle veglie, dello stare insieme a festeggiare e cantare mi sono prima avvicinato, e poi, a farne parte del Collettivo Folcloristico Montano; con loro non mi faccio mancare un Cantar Maggio dal 2012.
Con altri amici abbiamo creato il gruppo Stornelli Scordati, con i quali stiamo sperimentando, oltre alle tipiche sonorità popolari toscane, anche quelle legate alle terre del sud, con pizziche e tarantelle, partecipando a feste di paese, cerimonie, eventi, sagre, come artisti di strada, che credo sia il modo più vicino alle persone, quello che rispecchia maggiormente la musica che facciamo.
L’ultima domanda che faccio ad ogni artista: immagina di essere una Montagna, ed avere la possibilità di poter parlare all’Uomo, cosa gli diresti?
Credo gli direi che “io”, montagna, sono stata sempre qua e non sono disponibile con tutti e sempre, ho il mio modo di essere difficile, rude, brusca e selvaggia, ma non per questo merito l’abbandono, custodisco tante cose belle, tante cose che sono state e magari non saranno più, interpreto il legame ancestrale con il bosco, con gli animali, con la Natura. Non merito di essere dimenticata, non fosse altro che per lo spettacolo di alcuni tramonti, dove l’azzurro del cielo è così particolare che sembra tingersi di verde e si staglia imponente sopra la silhouette scura dei miei familiari crinali.
Premi e Menzioni di Jacopo:
1° classificato al concorso fotografico in memoria di WALTER MANZONI – GIORNALE RADAR – GORGONZOLA (MI) – tema LA FOTONOTIZIA 2011
1° classificato al concorso fotografico PAESAGGI E SCORCI DEI BORGHI DEL COMUNE DI MARLIANA 2012
Menzione speciale attribuita al portfolio “La Cattiva Strada” al concorso fotografico I BOSCHI RACCONTANO – 5º CONCORSO INTERNAZIONALE DI POESIA E FOTOGRAFIA NARRANTE – I PICENTINI 2013
Potete trovare maggiori informazioni e le fotografie di Jacopo Ferri :
Pagina Ufficiale Facebook: @jacopoferriphotography
Jacopo Ferri
[email protected]
+393314374235
Immagini dell’articolo © 2017 Jacopo Ferri
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