Si avvicina la primavera e i campi hanno bisogno di essere lavorati e preparati per le prossime semine. Gli strumenti di lavoro sono cambiati: ai buoi e ai cavalli si sono sostituiti i più comodi trattori. Ma le parole rimangono le stesse, anche a distanza di secoli.
Il verbo “arare” deriva dal latino arare, col medesimo significato, ma ha una radice, “Aro”, molto antica, che si ritrova nelle principali lingue indoeuropee (celtica, germanica, slava, greca ecc.). Da quel verbo si sono formati altri termini come “aratro”, “aratura” ecc, tutti legati alle attività agricole.
Anche “solco” è di origine latina (da sulcus), ma deriva più propriamente dal verbo greco helkō (io tiro) ed holkós (la briglia), che ci riporta a quando l’operazione di assolcatura avveniva col tiro animale.
“Iova” ha invece una storia più montanina, dato che i nostri anziani conoscono bene questa parola, che significa “zolla di terra erbosa”; l’origine è sempre latina (gleba era “la terra”), ma è arrivata qui da noi attraverso la forma “ghiova”.
La cosa più interessante e particolare è che “iova” si ritrova tale e quale nel còrso, ma soprattutto nei dialetti versiliesi-apuani, ad ulteriore dimostrazione di una forte presenza sulla nostra montagna dell’antica popolazione dei Liguri Apuani, inventori, fra l’altro, del pennato, arma micidiale e attrezzo agricolo che è giunto fino a noi.