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Qualcuno potrebbe obiettare che l’espressione “Volontà politica” non appartenga al parlare di quassù. In parte avrebbe ragione. Ma, di riffe o di raffe (poi parleremo anche di questo!) ha a che fare anche con noi, gente di montagna.
Se riflettiamo sull’origine di tale locuzione, vediamo che la parola “volontà” deriva dal latino voluntas e significa “il volere”, “l’interesse a fare”, “il desiderio”, mentre l’aggettivo “politica” viene da polis e significa “che riguarda lo stato, i cittadini”. Pertanto, complessivamente la “volontà politica” varrebbe, alla lettera, “l’intenzione, il desiderio di fare qualcosa a favore di una comunità di cittadini”. Questo è il senso.
Eppure, quando si sente dire “manca la volontà politica di fare”, si pensa a chissà quale recondita concertazione di scelte e di cervelli, riunitisi in un iperuranio virtuale per decidere delle nostre misere sorti umane. Insomma, si pensa a qualcosa di estraneo a noi, quasi fosse un accadimento ineluttabile. Ma, da montanini/montanari quali siamo, torniamo coi piedi per terra.
Il concetto opposto a “volontà politica” è “indifferenza, inerzia, dettate da scopi particolaristici e settari”. In quest’ottica il risultato di un’ipotetica equazione sarebbe il seguente: se non c’è la volontà politica di impegnarsi seriamente per la nostra montagna, vuol dire che chi ci governa a qualsiasi titolo (le eccezioni sono dovute!) è indifferente e ubbidisce a logiche settarie o addirittura personalistiche. Mah! Speriamo che non sia così.