SAMBUCA – Nel panorama musicale esistono generi anche in contrasto fra loro. Si può andare dal rock al blues, dal jazz a una musica classica di stampo contemporaneo. Ma in mezzo a un vivaio così rigoglioso, pochi sembrano rammentare la Cenerentola della musica italiana: i canti della tradizione popolare, ciò che, con piglio anglosassone, si suole comunemente definire genere “folk”. Conviene rispolverare un po’ la memoria e quale migliore occasione di quella che si presenterà sabato 30 e domenica 31 a Pavana con “Pavanart”, il festival delle arti di strada? In una di quelle stradine troverete una donna, magari con indosso certi suoi vestiti con i quali è solita ricreare, con la sua voce soave e il canto della sua chitarra, atmosfere di tempi passati.
L’incontro con Hoppé
Giuditta Scorcelletti, pistoiese di 40 anni, l’amore per i canti popolari l’ha scoperto negli anni dell’università, grazie ad uno dei tanti maestri che ciascuno di noi incontra sul proprio cammino. Nel suo caso, il professor Alessandro Fornari. Molti altri ne avrà sicuramente trovati perché, una carriera come la sua, che nel 2015 con la candidatura ai Grammy Awards di Los Angeles ha toccato uno dei traguardi più alti, non nasce per caso. Anche se è il caso ad averle offerto l’opportunità dell’incontro con il produttore e compositore Michael Hoppé – per anni alla guida della A&R dell’etichetta discografica PolyGram e ben noto per aver scoperto artisti del calibro di Vangelis e Jean Michel Jarre – nell’estate del 2013, in una stradina di San Gimignano. La Scorcelletti si esibiva in strada, Hoppè rimase colpito dalla sua voce. Dallo scambio di biglietti da visita alla collaborazione il passo non è poi così lungo. Prima la Scorcelletti interpreta alcune composizioni di Hoppè e del paroliere David George, poi a lei e ad Alessandro Bongi, chitarrista, il produttore inglese propone l’incisione di un intero disco con brani di sua composizione. Passa un anno e nasce “Nightingtale”, quindici brani scritti da Hoppè e interpretati dalla cantante pistoiese. Per lei è il primo lavoro discografico con brani in inglese ma è, più in generale, la grande occasione di varcare i confini nazionali e di legare il suo nome a quello di un Michael Hoppé.
Il canto popolare secondo Giuditta
La musica popolare ha le sue regole ed i suoi riti, tramandati nel tempo per mezzo di masse di contadini, massaie, artigiani che per ingannare le ore di duro lavoro o trovare uno sfogo a una condizione di vita tiranna intonavano un motivetto sul quale intessevano poi storie immaginarie o reali. E’ proprio questo, secondo Scorcelletti, uno degli elementi più caratteristici del canto popolare toscano, un genere, a suo dire, di tipo “lirico-narrativo”, nato per diventare il principe delle veglie attorno al fuoco, per essere gustato con pazienza, da seduti, nel crepitare della brace che arrossa i volti e riscalda, oltre alla casa, i cuori. Un genere, insomma, ben lontano dai ritmi forsennati che dominano l’estremo sud di Calabria e Puglia, dove una musica vivace e inarrestabile non lascia spazio ad un testo troppo articolato. In Toscana, però, no. La nostra è una regione attaccata alle cose concrete, che a partire dalla parola pretende di dare consistenza alle storie di tanti uomini e donne che la abitano. Sui suoi canti aleggia qualcosa di magico, da cui scaturiscono narrazioni veramente poetiche. Racconti che, se anche non convincessero i dotti, potrebbero pur sempre vantare il merito di aver riportato in auge il valore dell’uomo, fornendo casi esemplari da cui si può sempre imparare.
Al centro di questi canti possono stare fatti di cronaca, come l’avventura dei giovani di “O poveri soldati”, mandati a fare la guardia per conto del granduca Ferdinando III sulle vette ostili dell’Appennino tosco-emiliano; oppure credenze e leggende prive di qualsiasi fondamento storico, dalle quali traspare però l’umanità di persone costrette ogni giorno a pagare con sudore e fatica la possibilità di fruire, come ogni creatura, della propria vita.
La melodia che incanta l’ascoltatore
Fortuna che, a stemperare le ingiustizie di quel mondo andato, ci giungano all’orecchio le dolci note che solo la voce di un usignolo sa dare. Non più il ruvido canto di una Caterina Bueno, che col suo timbro inconfondibile sapeva rendere tangibile l’asprezza delle campagne toscane, ma una melodia più leggera, in grado di incantare l’ascoltatore creando un’atmosfera da fiaba. In questo riposa l’essenza di Giuditta Scorcelletti, la cui arte non soltanto rende un servigio a un patrimonio fragile come quello immateriale, ma ci invita a guardare indietro, riscoprendo delle radici che, senza vanto, potrebbero farci ritrovare l’orgoglio di sentirci toscani.