Sport & tempo Libero  |  giugno 8, 2016

Gasperetti: dietro quelle curve c’è solo una grande passione

Intervista al vincitore dell'ultimo rally degli Abeti e ormai dominatore della gara, primo per sei volte. Il pilota racconta l'amore per le corse, dagli inizi fino ai tanti successi. Parla della grande tradizione della montagna pistoiese e delle amicizie fra concorrenti. E ancora spiega il suo rapporto con la Gima e la Renault, i test sulle auto, la preparazione alle gare. Fino al dramma umano della morte di un talento come Fabio Danti

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SAN MARCELLO – L’ultima volta è stata domenica scorsa, 5 giugno, dopo due giorni di gare appassionanti e un primo posto raggiunto al fotofinish. Ma per Federico Gasperetti, nativo di Pian degli Ontani, residente a San Marcello Pistoiese, la vittoria al 34esimo Rally degli Abeti e dell’Abetone è addirittura la sesta in carriera – ottenuta insieme al navigatore Federico Ferrari – , un record assoluto, un’affermazione per distacco su tutti gli altri, anche quelli abituati a far bene sui tornanti del nostro Appennino. Federico, 48 anni, è un rappresentante di prodotti sanitari, in particolare strumenti per le sale operatorie, ed è abituato a trascorrere diverse ore in auto per lavoro, in giro per la Toscana. Ma salire su una macchina da corsa, seppur solo per passione e non per professione, è proprio un’altra cosa, come conferma lui stesso, personaggio del momento, che da queste parti – e non solo – nel rally si è fatto un nome ormai da tempo. Per capirlo bastava vedere i saluti e gli incitamenti del pubblico lungo la strada, nelle prove dello scorso fine settimana.
Allora Gasperetti, partiamo dall’attualità. Ancora una vittoria non scontata visto che i favoriti erano diversi. Ormai il rally degli abeti ha un vero padrone?
“Mi fa piacere vincere ancora ‘in casa’, ero già avanti per numero di vittorie, adesso ho staccato tutti. Ma in questi 30 anni di corse, un po’ in tutta Italia, di soddisfazioni me ne sono tolte diverse”.
Da dove nasce la passione e quanto ha influito vivere sulla montagna pistoiese?
“La passione nasce proprio dal luogo dove sono nato e cresciuto, con uno dei rally dalla più lunga tradizione, una zona che ha avuto piloti di altissimo livello come Mario Nesti, il più conosciuto di tutti, ma anche Fabio Danti (ndr, tragicamente scomparso il 3 giugno del 2000, durante la cronoscalata Caprino-Spiazzi) e molti altri”
Non è difficile immaginare quanto il dramma della morte di Danti abbia colpito il vostro gruppo in quegli anni.
“Fra gli appassionati di rally sulla montagna eravamo più o meno tutti coetanei. Eravamo amici. Quell’episodio segnò tutti. Si figuri che la notizia arrivò durante il rally degli Abeti, che fu sospeso, mentre noi eravamo in gara. Fabio stava correndo al top, aveva già vinto sia il campionato italiano sia quello europeo. Aveva le capacità per fare grandi risultati. Quanto a noi la passione ci ha spinti a continuare”.
Torniamo agli inizi. Come scattò la scintilla?
“Cominciai giovanissimo a seguire le gare, ho assistito alla preparazione della Fiat 127 sport da parte di Riccardo Sichi, che fu il mio primo navigatore, poi iniziai, quasi per gioco, insieme ad alcuni amici, a gareggiare con una A112 Abarth”.
Quale fu la prima gara e come furono gli inizi?
“Al Città di Prato, nel 1988, a vent’anni. Ma ci volle un po’ di tempo perché per 2-3 anni feci il navigatore a Fabio Ceccarelli, che domenica scorsa è arrivato sesto. Poi iniziai a lavorare e mi misi da parte un piccolo budget che mi dette la possibilità di comprare una Peugeut 205, 1600, gruppo A. Da quel momento sono arrivati i primi risultati pur avendo a disposizione una piccola auto ma ben preparata dai fratelli Alberto e Adriano Nocentini di Prato, con i quali siamo grandi amici anche oggi”.
Poi cosa è successo, quali sono stati i momenti decisivi della sua carriera?
“Decisi di vendere la macchina e fui tentato di smettere. Il momento chiave fu aver conosciuto Ezio Frino, titolare della Turbo car sport di Savona, e da allora ho iniziato ad uscire dal circuito toscano delle gare, a farmi conoscere anche fuori e vincere le prime competizioni. Ho corso diversi anni con una Clio A della Turbo car sport e della Autoren di Vincenzo Vidori. La seconda svolta nel 2008 e l’incontro con la Gima auto sport di Ovada, in Liguria, con Diego Parodi e Marco Bogliolo, con i quali è nato un sodalizio sportivo e anche una vera amicizia che dura tutt’oggi. Un incontro reso possibile da Pier Giovanni Zinanni“.
Gima vuol dire anche legame stretto con la Renault
“Sì, da allora sono legato a questa casa automobilistica che mi ha chiamato più volte per alcuni test: per la “T”, due anni fa quando non era ancora omologata, mentre quest’anno ho seguito lo sviluppo della Twingo R1 nazionale che è la nuova auto che la Renault sta lanciando per i giovani”.
Quindi non solo gare ma anche collaborazione per lo sviluppo delle macchine e test. Tutto solo per passione? E quanto tempo deve dedicargli, anche a livello di preparazione fisica?
“Assolutamente sì, solo passione. Nei rally il professionismo, almeno qui in Italia, non esiste, se si eccettua Andreucci. Per quanto riguarda la preparazione fisica ai nostri livelli non serve qualcosa di specifico. Io personalmente mi dedico soprattutto alla bicicletta, un po’ di piscina, lo sci in inverno, per essere in grado di affrontare le gare più lunghe”.
Del resto ci sono piloti anche molto in là con gli anni.
“Sì, oltretutto negli ultimi tempi manca il ricambio generazionale. Sono momenti difficili per questo sport, soprattutto per ragioni economiche. Ci vogliono sponsor per coprire le spese, potersi appoggiare ad un preparatore con la propria auto o noleggiandola. In genere ci si affida a squadre che offrono pacchetti completi, il noleggio dell’auto e l’assistenza il giorno della gara e quello precedente. Si può anche pianificare una stazione completa ma l’auto è comunque a disposizione solo i giorni delle gare”.
Per correre serve ovviamente una brevetto. Come funziona il meccanismo?
“Esistono scuole che insegnano la guida, si deve seguire un corso in genere organizzato dall’Aci o anche da alcune scuderie, come per esempio Pistoia corse. Dopo le nozioni teoriche si fa la prova sul campo. E nei rally conta molto conoscere i percorsi, le gare vanno fatte e rifatte prima di ottenere risultati”
Come confermano le sue vittorie ripetute sulla montagna pistoiese. E la figura del navigatore? I non addetti ai lavori si chiedono spesso quanto conti, che ruolo abbia.
“E’ un tassello fondamentale. La vittoria di un rally è una vittoria di squadra. Un pilota bravissimo senza un’auto performante non basta. E serve un buon equipaggio. Il navigatore legge la strada, deve dare il ritmo e caricare il pilota, oltre a controllare i tempi. Se non si rispettano gli orari si rischiano penalizzazioni che influiscono sul risultato finale”.
Sulla montagna pistoiese, si diceva, c’è una grande tradizione. Continua tutt’oggi e quale spirito vi accomuna, siete un po’ una squadra, pur nella competizione?
“Siamo ancora oggi molto uniti, anche se forse un po’ meno del passato. Siamo accomunati dalla passione, ci si conosce tutti. Le gare non durano mai solo il giorno o i giorni nei quali si svolgono. Si inizia molto prima a parlare, a capire chi ci sarà, chi saranno i favoriti, le auto in competizione e poi dopo si scherza, ci si prende in giro. E’ un aspetto piacevole, divertente. Forse solo le difficoltà alle quali facevo cenno prima, i costi aumentati, hanno un po’ fatto perdere l’atmosfera casalinga di una volta. Inoltre il rally ci porta fuori regione ed è un’occasione per conoscere altre località e altre persone e magari far nascere nuove amicizie”.
Quasi un amore, insomma, che però vi espone a rischi per la vostra incolumità e quella degli spettatori. In passato si sono viste scene con gli spettatori a fare da cornice al passaggio delle auto, quasi come in una gara di ciclismo. Come vivete questo aspetto?
“Sono stati fatti molti progressi nel campo della sicurezza, anche se si deve fare di più. E’ vero, ci sono delle immagini del passato rimaste impresse che fanno effetto ma da tempo non è più così. Gli organizzatori hanno compiuto sforzi per regolarizzare l’afflusso del pubblico e metterlo in sicurezza. Se si pensa che in Italia ci sono ogni fine settimana 4-5 gare si capisce quante persone sono coinvolte e, per fortuna, si hanno poche notizie di incidenti”.
Il suo futuro immediato?
“Dovrei rifare qualcosa con la Twingo ma le gare sono ancora da definire. Intanto va avanti la collaborazione per le sviluppo delle auto. La Renault ci punta molto perché non è impegnata nel campionato mondiale e pensa al mercato per neofiti dei rally. Anche dopo che le autovetture sono state messe in commercio, non si esauriscono i test e lo sviluppo va avanti per migliorare le performance, l’affidabilità, per ridurre al minimo le possibilità di rotture meccaniche.
Un lavoro che serve anche per le auto del mercato commerciale?
“Senz’altro, c’è uno scambio di informazioni fra i due settori. Anche il commerciale si avvale dei risultati di questi test, soprattutto sulla componentistica”.


Paolo Vannini

Laurea in scienze politiche, giornalista professionista dal 1998, ha lavorato nei quotidiani La Nazione e Il Giornale della Toscana (edizione toscana de Il Giornale), è stato responsabile dell'Ufficio comunicazione del Comune di Firenze, caporedattore dell'agenzia di stampa Toscana daily news, cofondatore e vice direttore del settimanale di informazione locale Metropoli. Ha lavorato presso l'Ufficio stampa di Confindustria Toscana, ha collaborato e collabora per diverse testate giornalistiche cartacee e on line - fra queste il Sole 24 ore centronord, Il Corriere Fiorentino (edizione toscana del Corriere della Sera), Radio Radicale - si occupa di uffici stampa e ghost writing.