La ricerca  |  dicembre 24, 2023

QUALE FUTURO PER LA MONTAGNA / Guardare in alto perché rinasca a nuova vita

Riflessione sulle possibilità reali che i giovani non vadano più via, la gente torni a risiedervi, a investire denaro e creare opportunità di lavoro. La proposta di Ballerini alla nostra testata di realizzare una sezione apposita per accogliere idee e progetti che possano poi tradursi in azioni concrete. Per creare un meccanismo virtuoso per chi vive e lavora in questi luoghi

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Che sia difficile rispondere a questo interrogativo tutti ne siamo convinti. Non solo perché nessuno è indovino su quale futuro può aspettarsi chi continuerà a vivere in montagna o chi vorrà provare a viverci – solo i pessimisti hanno la risposta pronta, ovvero “nessun futuro” – ma soprattutto perché ancora nessuno è oggi in grado di dire quando e come finiranno i tempi bui che le terre alte stanno attraversando dal dopoguerra. Vero è che non tutti borghi al di sopra dei cinquecento metri sul livello del mare hanno subito l’esodo che ha reso moltissime località addirittura disabitate, né vanno sottovalutati alcuni timidi segnali di porte tornate ad aprirsi dopo il Covid. Sta di fatto comunque che le attività imprenditoriali presenti sul territorio sono sempre meno, così come i servizi ormai ridotti all’essenziale. Pochissime le scuole, assolutamente carenti i presidi sanitari ed il trasporto pubblico. Per non parlare della viabilità, precaria quella locale quanto non adeguata quella statale e provinciale che collega alle città. Per non parlare del degrado ambientale che ha preso il sopravvento ovunque sui nostri versanti, con conseguenze disastrose anche sulla piana sottostante come purtroppo testimonia la recente alluvione.

La mancanza di prevenzione

Da troppo tempo si è portati ad affrontare i problemi solo di fronte a tragici eventi. Ecco allora scattare un susseguirsi di lucide analisi su quanto era logico prevedere e sul nulla che si è fatto per evitare morti e disastri immani. Placato l’eco della cronaca, archiviate tanto le responsabilità quanto le soluzioni mirabili, tutto torna come prima. “Servono troppi soldi”, questa la conclusione scontata che giustifica ogni futuro mancato intervento a scongiurare che le tragedie si ripetano nel tempo. Per quanto attiene la montagna, non è certo la cementificazione la causa del dissesto del territorio, dal momento che case e terreni han perso ogni valore. È l’abbandono a far da padrone ed a ridurre boschi e castagneti in condizione pietose, i piccoli borghi in paesi fantasma. La natura è tutt’altro che buona: le essenze pregiate dei nostri versanti – carpini, frassini, querce, faggi – cedono il passo agli infestanti acacia e ailanto, mentre i castagni – giganti fino a sessant’anni fa dimoranti in veri e propri giardini – oggi sono monconi sopraffatti dagli stessi polloni e circondati da ramaglie rinsecchite che nessuno raccoglie. Sui pendii del bosco le piante raggiunta una certa altezza si sradicano rovinosamente, provocando ampi smottamenti; il suolo, rivoltato ovunque dai cinghiali, è tutto una ferita: così, alla prima pioggia, dai fossi e impluvi vien giù di tutto.

Una popolazione di anziani

Detto ed assodato tutto questo, ben si può comprendere perché la larga maggioranza della popolazione che malgrado tutto continua a vivere in montagna sia costituita da anziani, vuoi per ostinato attaccamento al territorio e ancor di più per mancanza di alternative. I giovani appena possono lasciano la montagna per mancanza di lavoro e delle strutture indispensabili per la futura famiglia (scuole per l’infanzia e primaria). Venisse meno la tenacia dei proprietari di seconda casa – tali per essere originari dei nostri monti e quindi detenere proprietà avite o gente nuova del luogo che ha acquistato per pura folgorazione emotiva (non certo per fare un affare) – i nostri borghi non vivrebbero neppure quella rinascita estiva, fatta di troppi eventi sovrapposti in un periodo sempre più ristretto data la crisi imperante.

Si può quindi, ragionevolmente parlare di futuro per questa nostra montagna pistoiese? Oltre l’affezione ai luoghi ci sono buone ragioni perché i giovani non vadano più via, la gente torni a risiedere stabilmente in montagna, a investire denaro e quindi creare opportunità di lavoro legate in particolare alle risorse stesse che può offrire il territorio? O tutto questo è pura illusione?

Guarda in alto: una rubrica ed una sfida

Sono a chiedere a questa rivista LA VOCE DELLA MONTAGNA, che negli anni ha affrontato e ripropone in forma continuata i tanti problemi della montagna, di dichiararsi aperta ad ospitare tutti i contributi che verranno dai lettori ed in particolare dalle Associazioni, che di per sé rappresentano già un indirizzo condiviso. Proprio per raccogliere insieme e comparare le varie proposte che arriveranno chiedo venga attivata una sezione apposita della rivista dedicata alle proposte per la montagna intitolata GUARDA IN ALTO! Naturalmente le idee, soprattutto quelle buone, avranno poi bisogno di professionisti che sappiano interpretarle e renderle fattibili, quindi serviranno Amministrazioni/Enti/Banche che finanzino le opere, aziende che sappiano fare il proprio mestiere e lavorino onestamente, supervisori che controllino e certifichino il risultato finale.

Tutto questo si traduce in LAVORO che per quanto possibile è auspicabile verrà svolto in larga prevalenza da tecnici e maestranze locali: un automatismo vincente per far restare o tornare la gente in montagna. Non va dimenticato infatti il grande contributo in tutte le discipline e nel mondo dell’imprenditoria che hanno dato in ogni epoca i figli della montagna, quegli stessi che hanno saputo accogliere e onorare gente venuta da lontano che ha portato lavoro e benessere. Basti pensare alle grandi famiglie Cini e Orlando.

Ci vorrà tempo per GUARDARE IN ALTO e vedere la montagna nata a nuova vita. L’importante è mettere in campo tutte le forze disponibili e soprattutto non desistere mai. Convinti.


Sante Ballerini

Sante Ballerini Dalla natìa Campeda perduta tra i boschi dell’Appennino pistoiese alla fiorente Mantova, l’incanto in ogni dove. Così un giovane di belle speranze lasciò alle spalle l’aura di Selvaggia e il sogno bolognese per scoprire nella terra di Virgilio e Nuvolari altri miti ed uno tutto nuovo che sapeva di fantasia, il mondo della pubblicità. Sono trascorsi più di cinquant’anni e quel viaggiatore continua a vivere delle idee che bontà loro gli tengono compagnia insieme ai libri che dal 2018 ha cominciato a dare alle stampe con il logo SCRITTI&LETTI, libri che nascono per il piacere di scrivere e leggere.