Dopo anni di rimostranze e di manifestazioni pubbliche, sostenute dalla Coldiretti, questa volta gli imprenditori agricoli sono stati in parte ascoltati dalla Regione Toscana ed hanno ottenuto una modifica della delibera 310/2016 che di fatto consente agli agricoltori muniti di porto d’armi di abbattere nei confini delle proprie aziende cinghiali, piccioni, nutrie e storni che assalgano i campi coltivati e distruggano i raccolti. E’ un fatto che il numero dei cinghiali, dei cervi e dei daini sia cresciuto a dismisura negli ultimi anni e che ormai questi animali vivano a ridosso delle città e dei centri abitati, minacciandone l’economia e la sicurezza (pensiamo agli incidenti stradali che causano) ed è un fatto che l’equilibrio ambientale si è ormai infranto a causa dei tanti problemi irrisolti che sono stati ipocritamente accantonati, a partire dall’abbandono e dallo spopolamento delle terre alte.
Molte criticità vengono proprio da lì e dall’incapacità di gestire con equilibrio e intelligenza ambienti e territori montani.
I problemi “scendono giù” dai monti
“Quello che chiamiamo destino abita nelle montagne che abbiamo sopra le nostre teste”; così recita un passo delle Otto montagne, il romanzo scritto recentemente da Paolo Cognetti. E’ questa una verità indiscutibile perché molti problemi, come si è già detto, dipendono da una mala gestione dei territori montani.
Le emergenze sono sotto gli occhi di tutti ormai da alcuni decenni: la mancanza di regimazione dei reticoli idraulici secondari unita all’abbandono dei boschi e della microagricoltura montana portano ai dissesti idrogeologici che si riversano in pianura; gli incendi sono spesso alimentati dall’incuria e dal disordine che caratterizzano da almeno cinquant’anni il nostro patrimonio boschivo; la proliferazione degli ungulati e di altri animali nocivi all’agricoltura è l’effetto di politiche poco equilibrate, che hanno strizzato l’occhio ad un ambientalismo metropolitano che poco sa del sistema-montagna, infine le normative di tipo ambientale si sono mostrate inadeguate e talvolta anche sbagliate.
Alla fine i problemi scendono a valle, come fa l’acqua e mi meraviglio quando ci si meraviglia.
In alcuni incontri pubblici degli ultimi tempi si è alzata la voce di vivaisti e imprenditori agricoli della piana, preoccupati per l’invasione degli ungulati che danneggiano irrimediabilmente le colture.
Ma perché, mi chiedo, non si è ascoltata la voce degli imprenditori agricoli montanini quando già da tempo avvertivano dell’esistenza del problema? E perché ci si muove solo quando quelle stesse criticità colpiscono le pianure? Si dirà che il tema è complesso, che non ci sono risorse, che non c’è la volontà politica, che per fare provvedimenti organici c’è bisogno di molto tempo. Tutte balle.
Noi che viviamo in montagna (ma questo riguarda tutte le terre alte italiane) abbiamo visto alternarsi stagioni politiche, formulazioni di progetti nati per scopi elettoralistici e subito defunti, promesse mai mantenute e in cinquant’anni non è cambiato nulla, salvo un proliferare anomalo di provvedimenti restrittivi.
Il provvedimento della Regione Toscana è solo un placebo
L’intervento regionale di modifica della delibera 310/2016 è, dunque, tutt’altro che risolutivo; si tratta di una toppa cucita su un abito logoro, è un pannicello caldo contro una febbre da cavallo. Fuor di metafora: le disposizioni tampone nate in tempi emergenziali non sono mai definitive se non si affrontano i problemi strutturali, se non si ha una visione d’insieme ed un’idea prospettica, se non si pensa al futuro da costruire. Laddove si è tentato di risolvere un’emergenza si è creato un ulteriore danno. Ad esempio, per contenere il sovrappopolamento dei piccioni qualcuno ha pensato di introdurre le cornacchie grigie. Ora le coltivazioni sono assalite dai piccioni e pure dalle cornacchie che qui in montagna si stanno moltiplicando a dismisura creando danni anche all’altra avifauna.
In verità è sempre più urgente una legge quadro per la montagna, specifica e organica che tuteli ambiente, territorio, attività socio-economiche, resilienza e un’equilibrata convivenza tra uomo e fauna selvatica. In questo modo si eviterebbe che molti problemi scendessero a valle.
Ma è ancor più urgente una sterzata culturale che tolga la montagna dall’attuale posizione ancillare rispetto alle città e che restituisca alle Terre alte la dignità e l’orgoglio che nei secoli si sono conquistate.