SAMBUCA – La Sambuca sembra davvero un mondo a sé, distante nello spazio e nel tempo. E’ una nidiata di case accoccolate su un monte e, tutt’intorno, boschi e cielo. Oggi il paese è inanimato, in inverno, e si ripopola nei mesi estivi, quando ritornano i sambucani che abitano le città o i villeggianti che sono rapiti dalla pace e dall’atmosfera di questi luoghi.
E’ una paese curato, La Sambuga, e non dà l’impressione dell’abbandono. Si raggiunge a piedi, dopo aver lasciato l’auto al Convento di Santa Maria del Giglio o in un minuscolo parcheggio in prossimità del paese.
Nel dedalo di viuzze
Nei pressi della storica Fontana si diramano alcune viuzze in acciottolato che si arrampicano per poi ricongiungersi in prossimità della Rocca. Ai piedi del paese scorre la Francesca della Sambuca, una delle più importanti vie medievali, percorse da mercanti, pellegrini e briganti che collegavano l’Italia con i paesi d’Oltralpe.
Le case dell’abitato sono murate sulla roccia viva e sembrano emanazione dei macigni che le sostengono; ogni tanto qualche piccolo slargo coronato da muretti a secco che resistono al tempo, o una volticina che conduce a reticoli di stradelli più interni.
Restano solo i ricordi di un passato vivo: l’Ufficio postale, la Pretura, la Bottega della Peppa o la sfocata insegna di una macelleria che si trova nella piazzetta principale del paese, oggi gremita di gente solo il 25 Luglio, in occasione della festa patronale di San Jacopo.
In alto, a guardia del borgo, due maestosi edifici: la Chiesa dei Santi Jacopo e Cristoforo, il cui porticato si affaccia sulla valle angusta e profonda della Limentra occidentale e, in vetta, l’antica Rocca del Castello, da cui si domina un panorama maestoso, accarezzato da un cielo non di rado limpidissimo. Alle spalle della Rocca c’è il Cimitero, un fazzoletto di terra intimo e gentile dove riposano, tra i cipressi, generazioni di sambugani.
Una storia millenaria
Ma la Sambuga non è sempre stata così inanimata. La sua è una storia importante; la posizione strategica del Castello e del suo distretto, situati a cavallo tra Pistoia e Bologna lungo la Via Francesca, e la natura fiera e ribelle dei suoi abitanti, ne sono la spiegazione. L’abitato fortificato di Sambuca esisteva già nel secolo X , insieme alla Villam de Pavano (Pavana), e per tutto il Medioevo è stato conteso dai bolognesi e dai pistoiesi, tra scontri, ribellioni e tradimenti.
Divenuto Comune, Sambuca si è data uno Statuto (datato 1291) che costituisce il più antico esempio di Statuto rurale di tutto il contado pistoiese.
Dall’inizio del 1400 è iniziata la dominazione fiorentina e Sambuca è entrata a far parte del Capitanato della Montagna, che aveva il suo centro nei castelli di Cutigliano e San Marcello. Poi, nel corso del 1800 , divenne sede comunale.
Il picco demografico del paese si è registrato ai primi del 1900, ma lo spopolamento è divenuto emorragico tra gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso.
Quale futuro per la Sambuga
La domanda che ci possiamo fare per Sambuca, ma questo vale anche per tanti altri paesi della nostra bell’Italia appenninica, è la seguente: quale avvenire avrà? La risposta l’ho ricevuta indirettamente da un gruppo di turisti tedeschi che ho incontrato al Convento e che amano visitare questi luoghi dal fascino così intenso e perenne e camminare per le nostre strade storiche. Uno di loro mi ha detto :”Voi, qui, avete tutto: monti, acqua, aria pulita e una grande storia. Perché non amate la vostra terra?”.
E’ difficile non dar loro ragione, anche perché Sambuca dispone di uno splendido Ostello (attualmente chiuso) dotato di cucina, sale da pranzo e diverse decine di posti letto: una perfetta struttura di ricezione e di ristorazione anche al servizio di un turismo lento che sfruttasse le antiche vie di comunicazione e che si legasse ad un sistema turistico incentrato sulla Via Francigena e su tanti altri percorsi storici (La Romea Strata, il Cammino di S.Bartolomeo e altri) sul modello del Cammino di Santiago. L’esperienza positiva della Via Francigena dimostra che un turismo di questo tipo è sempre più ambito e crea ritorni economici e ambientali di grande interesse.
La ciclovia del Sole
In questo senso La Ciclovia del Sole è un primo, seppur timido, passo avanti, ma per dar vita ad una microeconomia incentrata sul turismo verde non basta un tracciato disegnato altrove e a tavolino, occorrono strutture di ricezione , piccoli punti sosta e “alberghi diffusi”, pacchetti turistici che sappiano vendere adeguatamente il territorio e, soprattutto, conoscenze storiche, una buona dose di fantasia creativa, di amore per le proprie radici e, infine, la forza di dare un calcio al burocretinismo che condanna il nostro territorio a diventare un immenso museo delle cere, dove tutto è intangibile e tutto è protetto. Fuorché gli abitanti della montagna.
La problematicità appenninica
Malauguratamente il nostro Appennino dimostra di non saper sfruttare le grandi opportunità che offrono la Storia, le tradizioni e l’ambiente delle nostre terre alte, le quali non sanno far rete su progetti ad ampio spettro e creare le basi per una rinascita. Comuni e comunelli si ignorano o, addirittura, sono in contrasto tra loro, sulla base di antagonismi ideologici o campanili che sono ormai anacronistici.
E non è vero che l’emarginazione geografica sia di per sé un limite insuperabile. Ci sono minuscoli centri sulle Alpi che hanno ripreso a vivere, grazie all’intraprendenza di amministratori e di giovani i quali credono nel ritorno ad un modello di vita più umano.
Uno dei tanti esempi è Paralup, in Piemonte, dove un gruppo di giovani ha ristrutturato, con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Torino e della Fondazione Revelli, alcune baite, che sono sempre piene di turisti i quali, a piedi, in bike o a cavallo, amano frequentare la montagna, oppure il minuscolo Comune di Ostana nel Cuneese, che si sta ripopolando perché l’Amministrazione ha saputo coinvolgere energie pubbliche e private e soprattutto l’Università di Torino, che lo ha fatto diventare un centro culturale importante
E poi, siamo così sicuri che il modello economico industriale e quello post industriale, votato alla virtualità ed alla tecnologia, dietro ai quali stiamo arrancando, siano così solidi e creino quell’equilibrio psico-fisico di cui l’uomo metropolitano ha estremo bisogno?
E ancora, siamo certi che la crescita, di cui parlano sempre gli economisti (i guru del nostro tempo) e a cui siamo tutti condannati, sia così infinita e non ammetta , invece, “pause di riflessione”?
Allora tornerà buona anche la Sambuga e, con essa tanti altri paesi del nostro bellissimo Appennino che, come afferma lo scrittore Mauro Corona, non hanno nulla da invidiare, dal punto di vista delle risorse ambientali, alle più blasonate zone alpine.
Alcune immagini della Sambuca
Tutte le foto del servizio gentilmente concesse da Angelo Celsi