Forse non ci eravamo accorti che l’autunno era iniziato: ce lo hanno ricordato le prime perturbazioni, che hanno già messo in ginocchio questo gigante dai piedi d’argilla che è la civiltà metropolitana dei consumi. E puntualmente è iniziato il festival dell’ipocrisia e dell’imbecillità. Giornalisti, amministratori e politici ripetono la solita tiritera, farcita di cambiamenti climatici, bombe d’acqua, trombe d’aria e, cosa nuova, di “alberi assassini”.
La prassi dell’allarmismo
Lasciamo perdere i giornalisti, per i quali l’allarmismo sembra diventata una vera e propria vocazione, ma gli amministratori e i politici che, non dimentichiamolo mai, sono i nostri prescelti per guidarci, non hanno ancora capito che occorre cambiare registro. Che devono abbandonare una volta per tutte il ruolo di imbonitori televisivi o di “battutari”mediatici. Che devono guardare oltre e lavorare per un futuro ecocompatibile e per una economia a misura d’uomo. Che devono capire che il rispetto per l’ambiente è il rispetto per ognuno di noi che ci viviamo e che l’oggi è soltanto il predomani, per noi e per i nostri figli.
Mancano progetti a lunga scadenza
Seguendo le cronache di questi giorni è facile imbattersi in definizioni e immagini veramente tragicomiche. Mi limito a due esempi.
A proposito di immagini, non è raro vedere escavatori che, sul greto dei torrenti, sono impegnati a svuotarne i letti da sassi e detriti. E mi dico, da cittadino: non si poteva pensarci prima, ripulendo nella lunga stagione di magra che ci siamo lasciati alle spalle, i fossi che li alimentano, peraltro con spese assai minori? So già che i meno ingenui mi risponderanno che l’emergenza è per qualcuno un business, anche se io mi costringo a pensare che lo stato di emergenza talvolta permetta di uscire dagli stringenti vincoli burocratici (prima o poi, però, dovremo chiederci seriamente cosa sia diventato questo leviatano che è la burocrazia!) Ma si può continuare a lungo così? Senza progetti a lunga scadenza che inducano alla salvaguardia delle aree marginali, il cui abbandono è la vera origine dei problemi, perché l’acqua scende proprio da lì?
Pini e platani “metropolitani”
Le definizioni, poi, sono totalmente comiche. E’ noto che le vittime di questa prima ondata di maltempo sono legate alla caduta di alberi o di detriti dai tetti delle case.
Mi taccio dei tetti, su cui pure si potrebbe dire qualcosa, ma degli alberi si dovrà pur parlare! Ad un osservatore attento non sarà sfuggito che gli alberi caduti al suolo sono “metropolitani” e sono per lo più pini marittimi e platani, il cui fusto è molto alto e spesso sproporzionato rispetto all’apparato radicale, la cui espansione reticolare è frenata da infrastrutture, quali fognature, condotte e scavi continui, che ne impediscono la naturale progressione.
Le potature irrazionali
Inoltre sui pini marittimi, chiamati così perché di solito stanno vicino al mare, si esercitano potature irrazionali facendone sviluppare una chioma altissima (e questo vale anche per i platani), per consentirne la convivenza con le abitazioni, e ignorando che l’apparato radicale del pino “metropolitano” non consente di sostenere grandi altezze, tanto più che il terreno circostante l’apparato radicale è spesso impermeabilizzato dal cemento e dall’asfalto che trasformano le città in suoli innaturali , dove l’acqua percorre condotte forzate che non raramente “scoppiano”, allagando e creando danni ovunque.
Infine, sempre a proposito di pini, si deve sapere che alle piantine allevate nei vivai viene, per motivi di spazio, tagliato il fittone, che consentirebbe una maggiore abbarbicazione al suolo e che alla lunga le radici avvolgenti si strozzano fra loro e si necrotizzano, come affermano gli agronomi, provocando l’indebolimento e caduta degli alberi stessi.
Insomma, è semplicemente una legge fisica che il mi’ nonno, che non aveva studiato, conosceva bene: in un albero ci deve essere proporzione fra l’altezza del fusto e l’ampiezza delle radici. Invece si assiste a potature di alberi “metropolitani” completamente assurde e prive del più elementare buon senso. Questa però non è colpa né dei politici né degli amministratori, ma di una “ignoranza”generale, in senso etimoligico, che diventa pericolosa quando si distacca dall’osservazione della realtà, dal buon senso comune e dall’umiltà e si sposa invece con la protervia e con l’arroganza.