I nostri boschi sono veramente in uno stato disastroso e non è raro sentir pronunciare da qualche vecchio, che li ha visti nel passato in ben altre condizioni, frasi come questa : “Ormai i boschi sono ridotti a prunai e casciai”. C’é molto di vero in queste opinioni, che apparentemente sembrano dettate solo da nostalgia del bel tempo andato.
L’incuria, l’abbandono, lo spopolamento delle montagne (qui da noi si perde l’1% annuo di popolazione) sono le cause più importanti, ma tra la gente si sta diffondendo l’idea che anche le regole dettate dalle leggi regionali, anche in materia forestale, abbiano responsabilità di rilievo. Ormai si ha la sensazione precisa che la montagna sia diventata un luogo di divertimento per i cittadini e, per i residenti, solo un museo delle cere fatto di divieti e di immobilismo, dove risulta difficile fare alcunché senza incorrere in una burocrazia assurda e in sanzioni esose e dove sono in vigore vincoli paesaggistici, ambientali e idrogeologici fatti a tavolino e senza alcun rapporto con lo stato reale dei luoghi.
Su questi e altri temi abbiamo intervistato il dottor Sandro Pieroni, responsabile del Settore Forestazione della Regione Toscana.
C’é l’esigenza di una legge e di un regolamento forestale che abbiano uno spirito nuovo ed una nuova filosofia di approccio nella difesa della biodiversità (invasività di specie alloctone come robinia e ailanto) e nella gestione del bosco non solo come serbatoio di biomasse, ma anche come luogo di bellezza e armonia per lo sviluppo di un turismo lento e sostenibile. Inoltre si dovrebbe stabilire un nuovo patto tra pubblico e privato, fatto di collaborazione e non penalizzante per chi voglia intervenire e manutenere l’ambiente. Cosa pensa la Regione in proposito?
“La superficie forestale rappresenta per la Toscana oltre il 51% (fonte IFNC) della superficie totale e ne connota profondamente il paesaggio. Molto spesso l’utilizzo della risorsa bosco, tuttavia, non presenta la sufficiente sostenibilità economica, dovendo scontare situazioni orografiche e di frazionamento della proprietà che non consentono una gestione ottimale.
In questa situazione la legge forestale della Toscana ha mirato in particolare a garantire in questi decenni, la conservazione della risorsa, dettando le norme di tutela, pur nella logica di una razionale utilizzazione, evitando il depauperamento selvaggio ed incontrollato e riconoscendo nel bosco un ruolo multifunzionale, quindi non solo direttamente produttivo, ma anche di sostegno per lo sviluppo di un turismo particolarmente attento alla qualità del territorio.
In Toscana il sistema bosco, così come si è conservato fino ad oggi, ha conservato anche tutto quel patrimonio di biodiversità che fa della Toscana una delle regioni italiane che può vantare uno dei serbatoi più ricchi e affascinanti. Non dimentichiamo che tra le cosiddette ‘specie alloctone’ la robinia è pur stata coltivata in Italia già nel 1602 e che ha, da sempre, offerto non solo un economico e sicuro sistema di difesa del suolo contro l’erosione, ma anche una elevata resa di biomassa con un elevato contenuto di proteine soprattutto nel fogliame, utilizzato in passato come valida fonte di alimentazione del bestiame. I fiori della robinia attraggono le api che elaborano un miele di qualità ed il legno di robinia, fra i più duri, resistente agli incendi, è molto ricercato sia per la fabbricazione di mobili, giocattoli di legno, parquet, addirittura case, sia per l’impiego come pali e traversine, resistenti nel terreno senza bisogno di alcun trattamento.
La diffusione della robinia va comunque ascritta ad un sempre maggiore abbandono della coltivazione delle aree boscate per quanto ricordato sopra, ovvero alla sempre minore redditività dell’attività forestale. In ogni caso la robinia può essere considerata una specie che si è naturalizzata e fa parte dell’Allegato A della Legge forestale e quindi della vegetazione forestale toscana, anche se la LR 30/15 ne vieta l’utilizzo nei rimboschimenti”.
L’attuale regolamento forestale ha un linguaggio pieno di bizantinismi e difficilmente comprensibile (Vedi definizione di bosco e di perimetro dei boschi) per gli operatori del settore. Non si potrebbe farne un’edizione per i proprietari dei boschi e per i boscaioli?
“Le definizioni utilizzate riprendono, doverosamente, quelle utilizzate dalla legge quadro nazionale. I tecnici che lavorano nel settore e che si occupano di assistenza tecnica sono sufficientemente preparati in materia. Le Unioni di Comuni, che rappresentano gli Enti competenti in materia forestale sul territorio, hanno uffici preparati a fornire tutta l’assistenza ed il supporto necessario a tutti coloro che operano nel settore, dal proprietario, alle imprese che operano nel settore”.
L’Unione Europea ha già diffuso un primo elenco di specie invasive animali e vegetali che minacciano la biodiversità (entro il 2020 l’elenco comprenderà più di 200 specie). A questa direttiva dovranno uniformarsi gli stati nazionali. In che modo la nostra regione affronterà il problema?
“Nel 2014 il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione Europea hanno approvato il regolamento 1143/2014 che prevede che i Paesi membri attuino una serie di misure gestionali per le specie aliene invasive più dannose, che comprendono il blocco del commercio, del possesso e del trasporto, il rilascio nell’ambiente, il divieto di allevamento e riproduzione, il rilevamento precoce e la rapida rimozione, l’identificazione delle principali vie di introduzione sulle quali concentrare gli sforzi di prevenzione. Attualmente la lista si compone di 49 specie di cui 33 già presenti in Italia con effetti sulle attività produttive umane: dalle perdite economiche dirette per la distruzione dei raccolti o la perdita del bestiame a quelli indiretti causati dalla distruzione degli argini dei fiumi o dalla mancata navigazione dei corsi d’acqua. Tra queste non sono presenti piante arboree.
La Regione Toscana si adeguerà alla normative nazionali che dovranno recepire il Regolamento Europeo, ma molto dipende da tutti noi nell’attenzione che dobbiamo porre nell’acquisto, introduzione o coltivazione di specie che non hanno niente a che fare con il nostro ambiente”.
Lo stato dei boschi nella montagna pistoiese è catastrofico e favorisce un dissesto incontrollabile: terreni abbandonati e avanzamento inesorabile della vegetazione. Per contro l’ente pubblico ha emanato nel tempo una serie di regole e pratiche burocratiche che, di fatto, scoraggiano il privato e proprietario di terreni a intervenire. Cosa fare?
“L’utilizzo della risorsa bosco non può non prescindere dalla sostenibilità economica. L’abbandono della superficie coltivata ed il conseguente avanzamento del bosco, che tende a recuperare la superficie che già occupava un tempo, non può essere fermata dalle leggi, né possiamo nascondere dietro il concetto delle norme complesse la causa di un progressivo abbandono che va ricercato piuttosto nel parallelo e progressivo contrarsi della capacità imprenditoriale. Occorre distinguere l’utilizzo della risorsa bosco a livello familiare da quella produttiva e imprenditoriale.
Attualmente la legge forestale consente il taglio liberamente esercitabile per superfici fino a 1.000 metri quadrati per uso familiare del legname e procedure semplificate per il taglio fino ad un ettaro sempre finalizzato ad un uso non commerciale. L’impresa forestale, al contempo, riconosce come il mercato del legno a livello nazionale e la diversa composizione della filiera degli operatori, siano profondamente cambiati rispetto a quello che erano fino a qualche decennio fa, e ciò richiede sempre più capacità imprenditoriale ed innovazione, con notevoli investimenti in mezzi e materiali”.
Più in particolare sono improponibili le soluzioni che prospetta l’attuale regolamento forestale sulle cauzioni di garanzia per rimboschimento (art 4 ) che scoraggia il privato dall’intervenire su un terreno di proprietà, sui turni di taglio (art. 21) in cui si permette una turnazione di 8-10 anni nel taglio della robinia che di fatto rende questa varietà infestante a causa della enorme vigoria dei suoi ricacci, sul rilascio di un numero esiguo di matricine di castagno, in un bosco ceduo in cui sia presente la robinia, tanto per fare qualche esempio. Si potrà intervenire in queste materie?
“La cauzione a garanzia è prevista solo per determinati tipi di intervento selvicolturale (esempio taglio raso) e rappresenta l’unico modo per garantire la perpetuazione del bosco nel caso di inadempienza da parte del privato. L’ente competente interviene con le somme in garanzia solo in caso di inadempienza del richiedente per ricostituire il soprassuolo una volta che questo è stato tagliato. Questo è proprio nell’ottica tanto auspicata di ricostituire un bosco che è multifunzionale valorizzandone gli aspetti paesaggistici e ambientali. La cauzione è prevista laddove gli interventi di taglio hanno caratteristiche di redditività tali da renderli interessanti.
Come detto prima se c’è economicità c’è anche interesse da parte del privato che deve comunque assicurarsi della perpetuazione del soprassuolo che rappresenta un bene comune e sociale. La scelta del turno per la robinia così come il numero di matricine per i boschi cedui sono strettamente connessi all’ecologia della specie e alle stazioni in cui vegetano. Si evidenzia che sia il turno sia le matricine rappresentano un valore minimo; gli enti competenti possono prescrivere un numero di matricine maggiore e il proprietario può optare per turni più lunghi.
Certamente si può intervenire sulle norme regolamentari modificandole purché vi siano motivazioni scientifiche e tecniche che supportino tali variazioni”.
Le esigenze della gente di montagna in materia di gestione dei boschi sembrano semplici e precise e riguardano la necessità di un peso minore della burocrazia per i piccoli proprietari che vogliano gestire con sapienza e buon senso i propri boschi, la possibilità di recuperare terreni già accatastati come seminativi e prati e che ora sono invasi dalla vegetazione, la necessità manifestata anche dai boscaioli di professione di poter realizzare un maggior numero di strade forestali per poter curare il bosco e preservarlo da frane e incendi, il bisogno di incentivare la castanicoltura da frutto che si sta lentissimamente riprendendo dopo l’assalto del degrado e del cinipide ecc. Cosa risponde la regione a queste esigenze insopprimibili?
“La legge forestale della Regione Toscana è l’unica, nel panorama delle regioni italiane, che consente il recupero, a scopi produttivi agricoli, di superfici che hanno subito il rimboschimento. Fanno fede in questo senso le riprese aeree del 1954. Aree che al tempo erano costituite da seminativi e coltivi, possono essere recuperate, al solo scopo produttivo agricolo, dal proprietario. La legge forestale Toscana, permette inoltre, senza particolari complicazioni burocratiche, l’apertura di piste temporanee per l’esecuzione dei lavori di esbosco. E’ altresì vero che la norma cerca di evitare l’uso incontrollato e selvaggio del territorio che porterebbe a conseguenze gravi in termini di tenuta ed equilibrio idrogeologico in un sistema, per altro, reso molto fragile da quei processi di abbandono di cui abbiamo già parlato.
Il tema del recupero produttivo delle aree di montagna è molto articolato e complesso che coinvolge, oltre che, naturalmente, gli aspetti della sostenibilità economica, anche quelli di una maggiore consapevolezza nello sviluppo di percorsi partecipati e condivisi in cui Enti locali e le Comunità si riappropriano del loro territorio. In questo senso può essere visto anche il recupero di attività tradizionali, quali la castanicoltura, non solo in chiave produttiva ma anche multifunzionale (turismo, artigianato, ecc). Tuttavia, anche in questo ambito, il mercato globale richiede una sempre maggiore competitività del prodotto. Una delle strade da perseguire potrebbe essere quella delle filiere corte, capace di esaltare la qualità in una visione multifunzionale in cui le piccole produzioni locali contribuiscono a conferire identità al sistema territorio coinvolgendo in particolare il settore del turismo.
Un ulteriore problema sono i terreni abbandonati da cinquant’anni e più e che appartengono a proprietari sconosciuti o trasferitisi all’estero: può un istituto regionale come la “Banca della terra” contribuire all’acquisizione da parte di privati di questo patrimonio ormai inutilizzato e pericoloso per la tutela del territorio?
“La Banca della Terra, così come definita dalla L.R.80/2012 ed il relativo Regolamento di attuazione 13/2014 stabiliscono che i Comuni censiscano i terreni abbandonati presenti sul proprio territorio al fine di renderli disponibili a coloro che ne faranno richiesta per la coltivazione. La procedura di censimento è piuttosto lunga e solo alcuni Comuni hanno portato avanti questa prima fase. Il nuovo Testo Unico Forestale, approvato nell’Aprile di quest’anno e che costituisce il riferimento “quadro” a cui le regioni dovranno adeguare la propria normativa, introduce il concetto di bosco abbandonato e dei cosiddetti “terreni silenti” cioè di cui non si conosce il proprietario.
Questo patrimonio (boschi abbandonati e silenti) potranno essere messi a disposizione di imprese che, a fronte di una corretta pianificazione, si occuperanno della loro gestione. Le recenti modifiche alla LR 39/00 della Toscana hanno introdotto le “Comunità di Bosco” come forme associative tra proprietari che potranno gestire in forma unitaria superfici complessivamente sostenibili da un punto di vista economico”.
La gente di montagna ha l’impressione che l’ente regionale non conosca veramente le dinamiche ambientali delle aree collinari e montane non protette e che ci sia bisogno di un vero e proprio osservatorio della biodiversità in queste aree, anche perché si può legiferare su un equilibrio ecologico solo conoscendolo adeguatamente.
“Qualsiasi sistema territoriale è frutto dell’interazione tra le attività umane e l’ambiente. Tuttavia sia l’una che l’altra variano al variare degli usi, delle necessità, dei bisogni, delle mutazioni climatiche, cosicché il sistema è dinamico e varia continuamente. Occorre pertanto essere coscienti che ciò implica la continua necessità di saper gestire i cambiamenti. Il concetto di biodiversità nelle comunità locali non è sempre chiaro e non è chiaro il significato, scientifico ed ecologico, che assume. In realtà le comunità tendono a non favorire questo tipo di biodiversità (vegetale ed animale) poiché nei secoli la pressione delle attività umane tende a favorire in particolare la diffusione delle specie utilizzate e la scomparsa di specie ritenute inutili o dannose.
Conseguentemente il concetto di “equilibrio ecologico” è in realtà una forma di equilibrio “artificiale” più o meno influenzato dall’opera umana. Esiste poi una biodiversità naturale che attiene in particolare al concetto di conservazione delle aree protette ed una biodiversità coltivata ed allevata, frutto di secoli di interazione tra l’uomo coltivatore ed allevatore ed il sistema ambientale in cui le trasformazioni hanno avuto luogo. Molto spesso la gente di montagna ha una maggiore considerazione di quest’ultima forma di biodiversità. E’ auspicabile che la governance territoriale, fortemente indebolita in questi ultimi anni, possa ri-appropriarsi della capacità di gestire e monitorare il proprio territorio in un percorso in cui la Regione Toscana funga da supporto e sostegno.
C’è da ricordare, infine, che la normativa forestale regionale ha sempre salvaguardato la biodiversità dedicando un articolo del regolamento forestale proprio a questo aspetto (art 12 ‘Tutela della biodiversità) ove sono elencate le specie che per motivi floristici o faunistici meritano salvaguardia. Inoltre a seguito delle risultanze di un progetto Life proprio sulla biodiversità (PPRspoT) il regolamento forestale è stato modificato ed è stata introdotta una norma ad hoc per la tutela e valorizzazione di singole piante arboree”.