Se io dico che anche qui, in montagna, “si parla arabo”, uso un’espressione corretta, sia in senso proprio che in senso figurato. In senso proprio, perché molte parole di origine araba sono entrate a far parte della lingua italiana nel corso dei secoli.
Gli ambiti dove sono più diffuse
Nell’ambito della Matematica e dell’Astronomia, scienze in cui gli Arabi sono stati maestri e divulgatori, i termini più noti sono Azimut, Almanacco, Zenit e Algebra, Algoritmo, Zero, tanto per fare qualche esempio. Il settore della Chimica contempla arabismi illustri, come Alambicco, Alcol, Alcali, Elisir e anche quello del Commercio, non è da meno: si possono ricordare parole usatissime, come Dogana, Facchino, Magazzino ecc. Per non parlare dell’arte dell’Agricoltura, con nomi di piante, come Limone, Arancio, Albicocco, di ortaggi, come Carciofo o di erbe aromatiche, ad esempio Zafferano.
Parole di uso comune
Venendo a parole di uso quotidiano anche nel nostro Appennino, è quasi naturale pensare a Giubba, Bizzeffe, Sensale, Ragazzo, Fusciacca, Zucchero, Cassero, Assassino, Scirocco (anche se in alcuni paesi prevale la forma locale di “Vento Mangione”) ecc.
In senso figurato
Ma, come dicevo sopra, “si parla arabo” è corretto anche dal punto di vista figurato, perché accade spesso che noi montanini non ci capiamo, non riusciamo a comunicare tra noi. Molti paesi sono ancora ostaggio di un campanilismo idiota che non ha più ragione di esistere e che impedisce di realizzare una “rete” e un marketing territoriale che appartiene, ed è anche economicamente fruttuoso, ad altre zone d’Italia e d’Europa.
Occorrerebbe uno sforzo comune per valorizzare le nostre ricchezze ambientali, che rimangono solo potenziali, perché non si riesce a parlare un linguaggio unico,dettato dalla ragione e dal buon senso. Perciò è vero che si parla arabo!