PISTOIA– Ho un nipote di sette anni che gioca a calcio ed è juventino sfegatato, il suo idolo è Paulo Dybala. Ogni volta che segna un goal esulta sempre emulando il suo eroe, con il classico gesto della maschera tipica del giocatore argentino. A volte, quando lo osservo, mi domando quanto potrà emozionarsi tra una trentina di anni, se avrà la fortuna di lavorare in una sala stampa di un qualsiasi stadio e si troverà di fronte Dybala in versione allenatore. In realtà, conosco perfettamente quali potrebbero essere le sue emozioni, le stesse che ho provato io tre anni fa trovandomi catapultato di fronte al mio idolo da ragazzino, Vincenzo Esposito.
Un mito, una leggenda, un giocatore che per tanti motivi ha scritto pagine indelebili della storia dello sport che amo, un’icona che improvvisamente era lì davanti a me, a tollerare le mie domande banalotte, quando fino a qualche anno prima potevo al massimo leggere le sue imprese sul Superbasket.
Il primo incontro
La prima volta, cari amici, è stato un brivido pazzesco. La ricordo ancora, era il media day alla sede della Tesi Group. Gli chiesi cosa avremmo dovuto aspettarci da Kirk, perché dopo anni di lunghi atipici avevamo probabilmente costruito un vero asse play-pivot. Mi era sembrata anche una domanda intelligente, mi ero preparato un po’ per non fare proprio la figura del bischero, tuttavia le competenze erano – e tuttora sono – poca cosa, per cui tanto meglio di quella domandina scolastica non ero riuscito a produrre. Da quel giorno è nato un bel rapporto – credo di potermi permettere il lusso di scriverlo – uno scambio continuo e mai banale nello snodarsi di sabati mattina, per la consueta presentazione della sfida del giorno successivo, e di post partita spesso e volentieri esaltanti, certamente mai scontati.
Su Esposito coach poco da aggiungere
Perdonatemi, nel giorno del saluto ufficiale vorrei scrivere un ricordo davvero personale. Voglio dire, sul piano tecnico e tattico non capisco un tubo di pallacanestro – come del resto il 99% di voi che leggete – e comunque ognuno si è già fatto un’idea precisa, più o meno di pancia a seconda dei casi, di cosa Vincenzino è stato in grado di dare o non dare in queste tre stagioni. Non ha molto senso scriverne, anche se, per quello che mi riguarda, il ricordo della stagione di Kirk e Blasckshear è uno tra i più belli dei miei 33 anni di palazzo. Non ha senso nemmeno sottolineare l’emozionante congedo di oggi, a fianco di Ivo Lucchesi, Roberto Maltinti e Giulio Iozzelli, un saluto pieno di affetto e riconoscenza verso la nostra piazza che non è mai scontato. Quei contenuti sono già virali, tra dirette facebook ed articoli vari.
Esposito, “hombre vertical”
Vorrei scrivere un po’ dell’uomo, oltre l’allenatore. Ho voluto, voglio e credo vorrò sempre un gran bene a Vincenzo Esposito. E sì, lo ammetto, in quei pochi casi in cui probabilmente altri allenatori sarebbero stati decisamente più pungolati non mi è mai stato semplice scriverne in maniera troppo critica. Perché a Vincenzo, al netto del pick’n roll e di altre diavolerie da veri esperti, non puoi non affezionarti visceralmente. Un ragazzo vero, fin troppo – probabilmente – in un mondo di “democristiani”, in cui ogni parola va misurata con il contagocce. Una persona dalla spiccata sensibilità, capace di dare tutto se stesso alla causa, un professionista capace e disposto a mettersi in gioco a 360 gradi, senza calcoli e senza fronzoli di circostanza.
Un genio “infiammabile”
Come tutti i talenti, capace di genio e sregolatezza, dal carattere un po’ infiammabile quando le circostanze lo impongono, ma una persona di una sola parola, quello che in Spagna definiscono un hombre vertical. Indimenticabili alcuni momenti, che purtroppo non avete mai conosciuto e non conoscerete mai, in cui fuori intervista regalava le perle migliori, a 360 gradi. Indimenticabili anche i momenti di grande rilassatezza, magari fuori dal contesto vero e proprio del PalaCarrara, quando è sempre emersa l’anima più genuina di Vincenzo. Una persona con tante storie ed aneddoti da raccontare, dall’esperienza NBA, passando agli allenamenti di Marcelletti, fino alle primissime esperienze da allenatore ed al confronto continuo con i colleghi di panchina. Spesso e volentieri, momenti esilaranti oltre che estremamente interessanti.
Tanti momenti indimenticabili
Tanti momenti incredibili in questi tre anni, dalla Final Eight della prima stagione, al sesto posto, alla gestione di giocatori lunatici come Knowles o Petteway, poi ancora il settimo posto e poi la stagione difficile di quest’anno. Tre stagioni unite da un unico filo conduttore, un Vincenzo Esposito capace – soprattutto nei momenti più complicati – di fare da parafulmine a tutto e tutti e di dispensare fiducia nelle proprie capacità e grande ottimismo sul raggiungimento degli obiettivi stagionali.
L’amico di Pistoia
Insomma, Vincenzo, io ti voglio bene e a me mancherai. La pallacanestro a Pistoia andrà avanti con il solito grande entusiasmo, ma aspetto il prossimo calendario per segnare in rosso la data di Pistoia – Sassari, il giorno in cui un amico di Pistoia tornerà in quella che resterà sempre la sua casa di adozione. Grazie Vincenzo, in bocca al lupo per una carriera piena di soddisfazioni.