Erano poche in montagna le famiglie che fino a pochi decenni orsono non possedevano animali da cortile, galline, oche, anatre e qualche tacchino, per smaltire i rari avanzi del desco familiare e per integrare un’alimentazione povera con carne e uova.
Sempre meno pollai
Molti, dunque, avevano dei pollai con un numero di capi variabile, a seconda dello spazio a disposizione e in relazione ai componenti del nucleo familiare, a differenza di oggi, perché i pollai nella nostra società ipertecnologica e asfittica emanano cattivo odore, perché richiedono tempo e attenzioni quotidiane, perché facciamo prima a ricorrere ai supermercati e perché esistono leggi idiote che di fatto scoraggiano chi voglia metter su qualche gallina.
I grandi allevamenti di oggi
Le galline, allora, erano allevate in modo naturale, senza quei metodi indecenti e subumani che si usano oggi nei grandi allevamenti, dove migliaia di capi vivono in gabbie strettissime, continuamente illuminate da luci artificiali per forzare la produzione di uova, in un giorno drammaticamente senza fine e senza riposo.
I pollai tradizionali
I nostri pollai tradizionali permettevano alle galline delle pause “biologiche”, determinate dall’alternanza stagionale e della durata variabile delle ore di luce e di buio. Quando le notti diventavano precoci, a partire dal mese di Settembre e fino alla fine di Dicembre, diminuiva drasticamente il numero delle uova. Solo a partire da Gennaio, con l’aumento progressivo delle ore di luce, nei nidi si potevano raccogliere sempre più uova.
A gennaio cresce la produzione di uova
Lo spirito di osservazione del uomo contadino ha tradotto quest’evidenza in un adagio, conciso e colorito: “Gennaio apre il culo al gallinaio”. Ed è proprio così. Lo dice anche la scienza, magari con termini un po’ più forbiti !!!