Paolo Cognetti è il vincitore del Premio Strega 2017, con il romanzo “Le otto montagne”, edito da Einaudi. Dopo il prestigioso premio letterario che ha ricevuto quest’anno, è chiamato a vari appuntamenti in Italia e nel mondo, ma il pensiero è sempre rivolto ai suoi monti, a cui intende tornare prima possibile. Come spiega nella breve ma densa intervista che ha gentilmente concesso alla “Voce della Montagna” e che di seguito pubblichiamo.
Per certi aspetti “Le otto montagne” sono state un sasso nello stagno della letteratura italiana contemporanea. Quale pensa sia il segreto di questo successo presso il pubblico dei lettori?
“Intanto spero che sia una bella storia scritta bene! Poi ho capito, dalle lettere dei lettori, di aver colto certi elementi di universalità: il legame forte con una montagna d’infanzia, il rapporto che con lei prosegue, tra fughe e ritorni, per una vita intera. C’è molto desiderio di montagna nei nostri anni, inteso come desiderio di una vita più semplice, autentica, intensa, e delle relazioni che la montagna porta con sé. Infine, come sempre, c’è la fortuna: devo aver scritto una storia che aspettava di essere raccontata, poteva farlo qualcun altro, è toccato a me”.
La montagna è un’esigenza non solo materiale, ma anche spirituale per l’uomo metropolitano di oggi, imprigionato nel caos e nel rumore della vita cittadina. Si è ben compreso questo concetto a livello culturale o si continua a pensare alla montagna come a un luogo di svago e divertimento?
“Penso che chi ci va (sciatori a parte!) lo sappia benissimo. La città per me non è tanto luogo del caos – l’esperienza più comune è viverla dal chiuso di una stanza – quanto dell’alienazione, della povertà dei rapporti, della distanza dalla terra e dalla nostra natura più profonda, quella di esseri umani che fanno parte della terra, ne sono i figli. In montagna io sento che torniamo alle origini, per questo stiamo bene”.
I nostri borghi di collina e di montagna soffrono di tanti mali: lo spopolamento, la distrazione della grande politica, impegnata in altro, nonostante il dettato costituzionale dell’art. 44 che imporrebbe una particolare attenzione per la montagna. Quale rimedio a questo abbandono che è prima di tutto culturale?
“Tornare ad abitarci e costruire relazioni, essere noi prima di tutto soggetti politici, non aspettare la politica istituzionale. Stanno succedendo diverse cose in montagna: i ‘ritornanti’, o ‘nuovi montanari’, che ci vanno a vivere e aprono aziende agricole e rifugi, fondano piccole comunità, progettano eventi culturali. Il problema è spesso la solitudine, per questo bisogna conoscerci, farci visita tra noi, darci una mano per quello che serve e sapere che non siamo soli”.
I giovani sono il futuro di ogni società, ma cosa fare per trattenerli nelle montagne in cui sono nati?
“Lasciamoli andare, nessuno va trattenuto. I prossimi abitanti della montagna lo saranno per loro scelta, perché sono felici di vivere lì. Non è detto che ci siano nati, è importante la libertà di scegliersi il proprio posto nel mondo”.
La nostra rivista on line è impegnata nel far passare messaggi che per molti aspetti sono controcorrente, come l’amore per le proprie radici, il rifiuto dell’omologazione culturale, la bellezza di vivere ai margini e il valore del silenzio che far guardare dentro e scoprire le profondità dell’io. Ma quanta fatica per comunicare questi valori. Che fare?
“Da scrittore, direi che bisogna imparare a scrivere bene! Spesso sulla montagna c’è una retorica insopportabile, una lingua fintamente poetica e del tutto vuota (odio alcune immagini in particolare: i panorami mozzafiato, l’aria buona, l’onnipresenza del cibo, la natura intesa come entità astratta). Leggiamo con attenzione tutto Rigoni Stern, prima di scrivere di montagna. Bisogna impararne la lingua, conoscere i nomi delle cose, raccontarla con la stessa autenticità che cerchiamo in lei”.
Il 2017 è l’anno in cui Pistoia è stata proclamata Capitale italiana della cultura. Prima che finisca l’anno solare, la nostra città sarebbe felice di ospitarla per suggellare un’amicizia ed un patto per la valorizzazione ed il rilancio delle zone marginali, di cui siamo abbondantemente provvisti. E’ dunque fuori luogo auspicare una sua visita?
“Per i prossimi mesi sì. Sono in giro da un anno, ho fatto più di 100 incontri in tutta Italia, ora comincia l’estero perché il libro sta uscendo in tanti paesi e ho il dovere (qualche volta anche il piacere) di seguirlo. Ma c’è un tempo per andare in giro a parlare e un altro per stare in montagna a scrivere. Ora ho fortissimo desiderio di tornare su, ci sarà però senz’altro un’occasione per incontrarci. Un abbraccio a tutti”.
Paolo Cognetti in poche parole
foto ®Loi╠êcSeron
Non ancora quarantenne, Paolo Cognetti ha già alle spalle una vita densa di di esperienze: Facoltà di Matematica, Scuola Civica del Cinema, l’amore per le grandi città (Milano, New York) e di interessi : documentarista, scrittore attivista socio-politico. Poi, intorno ai 30 anni, la fuga dalla città e la ricerca di un rifugio lontano dal caos e dalla superficialità cittadina. Lo trova in una baita valdostana, fra i monti, a duemila metri di altitudine. Quel bagno di solitudine, dopo alcuni mesi di crisi, gli ha fatto ritrovare la felicità dell’essere e gli ha aperto un mondo anche interiore su cui costruire un futuro diverso, per se stesso e per la montagna.
In questo luogo “marginale” Paolo ha scoperto relazioni sociali e umane più autentiche , il piacere di fare lavori manuali, di essere artefice della propria vita; così si è scoperto uomo antico e nuovo, che osserva, medita e scrive. Fra le letture che gli hanno cambiato la vita c’è “Into the Wild”, di J. Krekauer ; ne ha subito il fascino perché gli ha fatto pensare che la montagna fosse il suo vero mondo.